"I discorsi di Lisia,, di Francesco Bernardelli

"I discorsi di Lisia,, La «prima» iersera al Teatro Carignano "I discorsi di Lisia,, Lo spettacolo di Giovampictro e Prosperi ripropone alcune arringhe dell'oratore greco, vissuto nel IV secolo avanti Cristo - Casi di vita quotidiana e grandi problemi politici Bellissimo esempio di questo genere di teatro, lo diede in questi ultimi anni Francesco Della Corte, insigne latinista o letterato geniale, con due spettacoli che ebbero gran successo, il Processo per magin, del 1961, tratto da un'operetta magistrale di Apuleio, Atene anno zero, del 1962, utilizzando testi di Senofonte, Platone, Lisia, Filostrato, Aristofane. Non fu una trovata, ma qualcosa di meglio: una rivelazione. Raramente il pubblico aveva ascoltato parole così intense, drammatiche e alte, si era commosso in tanta luce di inaspettata attualità e di verità perenne. L'evocazione storica, il fremito del passato erano fatti trasparenti da un'intelligenza penetrante e densa, ch'era di per se stessa affascinante e simpatica. Il Della Corte, nella meditazione che accompagnò la sua attività teatrale, si convinse che soltanto così, riproducendo le parole stesse pronunciate nei secoli dai prota ironisti, e immergendole in un'immaginazione dì stretto rigore colturale, aderentissima e pur liberamente poetica, si può ricavare dalle incerte, buie anfrattuosita della storia, la certezza morale artistica del « dramma storico s>. Renzo Giovampictro, che era stato ottimo interprete, appassionato e austero, di quegli spettacoli, ha voluto ora continuare per conto suo l'impresa, riducendo in due tempi scenici, con la collaborazione di Mario Prosperi, alcune eccellenti pagine di Lisia. E questa nuova elaborazione si collega strettamente ad Atene anno zero giacche il suo primo tempo propone la stessa situazione e la stessa celebre orazione di Lisia: Contro Eratostene. Lisia, sì sa, nato nel 445 ad Atene e morto verso il 360, era un grande avvocato, o meglio uno splendido e vario «logografo» e scriveva discorsi di accusa e di difesa, che le parti, aven doli appresi a memoria, e dal frlecmrnsqdgdtsincrgnsavgrmvmdspvbdEscfui" ammaestratebanche nel mo-!/do di atteggiarsi e di porgere.^'ssdovevano poi pronunciare di| persona, in tribunale. In tale attività c'ora già, in nuce, una fertile idea teatrale; e Lisia, osservatore accorto, duttile, sensibilissimo ai fatti della vita e ai lorn moventi leciti o illeciti, con queste figure della realtà era venuto crean-l gzDbdsilo una specie di mondo auto-|nonio e pittoresco, commedia \e dramma; personaggi che| della cronaca viva ancora ave-|vano il tratto e la voce, e.della riflessione dello scrittore]il segno tipico e rappresenta- j tivo. iCosi, nel secondo tempo dei Discorsi di Lisia sono intrb-\dotti tre casi minori; quello\ai un povero do accusato da un malvagio vicino di riscuotere, senza vera necessità, l'obolo che la,città oli riva a tutti 1 mino- |lbarbiere invali- rati; quello poi di un invertito che per amore e gelosia di un giovanetto era venuto a botte con altra gente della sua specie (nella chiara civiltà greca, Sofocle Socrate Platone, queste l'accende ripugnanti erano ammesse, e fu Croce, se non erriamo, ad osservare che, vedete un po', Socrate Platone, sta bene, ma nei inondo non era ancora passato il Cristo); e, infine, il j terzo caso più grave e dolo- Lroso, esposto in una forma co- si carica di realismo contadi-1 nesco, cosi trasudante di carnalità e di astuzia vendicatrice, che appare quasi grottesco, è quello di un tale che uccide l'amante della moglie colto sul fatto. Quanto siano aderenti, ironiche, rivelatrici queste pagine, come siano umanamente intense e teatralmente attrattive, è inutile ridire; meglio andare ad ascoltare e vedere. Della prima parte (Contro Eratostene) il problema centrale, che la condiziona e investe, è sommo. Abbattuti i Trenta Tiranni, liberata Ate ne ad una nuova zia (tuttavia controllata dagli Spartani, naturali alleati della parte sconfìtta), torbido, infido il sottofondo politico, serpeggianti le agitazioni traditrici, le nostalgie feroci e compresse, in agguato la crudeltà dei potenti, mimetizzata, dissimulata ora, ma sempre pronta a rinnovare le sue nefandezze, in queste condizioni minacciose e dubbie, per i vincitori sorge un dilemma: come comportarsi? Fare giustizia, totale, recisamente, duramente, eliminando con rapida violenza tutti i criminali che avevano sopraffatto e schiacciato la città, disperso ucciso e depredato, oppure cancellare con un sol tratto il passato grondante di barbarie, eliminandone persino la memoria? Qual è la giusta soluzione? Dov'è la giustizia? Trasibulo, capo dei vincitori, sceglie la conciliazione; e un solenne patto di amnistia è tosto giurato dai cittadini delle opposte fazioni Ma Lisia non accetta il senso di questa con ciliazione, e accusa Eratostene, che gli aveva ucciso ildemocra- fratello Polemarco, non quale criminale politico, ma perché assassino. Sono problemi che fanno tremare la coscienza. In sede storica politica sociale giuridica non è facile, ma è possibile scegliere e sostenere questa o quella soluzione. Facendo la dovuta giustizia, la catena degli orrori non si spezzerà più, dicono gli zelatori dell'assolutismo, solleciti a che l'ordine, sia pur fondato su arbitrii e infamie, garantisca loro ricchezza e dominio e li rassicuri. Non compiendo l'atto di giustizia sanguinoso, ribattono i rivoluzionari, il fiume di sangue proromperà lo stesso alla prima occasione ed a favore di quegli sconfitti d'oggi che già stanno pensando a rivincite e vendette. E la clemenza allora, a che avrà servito? Ma questi sono i problemi della politica come forza, della storia come azione. Rimane inesplicato, misterioso, l'altro più vasto, indefinito problema che tutti gli altri investe e raccoglie in sé. Il problema metafisico, il problema del male. Che cos'è il male? E come ci accosteremo a questa mostruosità mentre voci celesti accennano dal profon¬ do della coscienza? Dobbiamo dire che in Atene anno zero questo arcano viaggio dell'uomo dalla colpa e dal delitto all'idea di Dio c'era forse apparso in un linguaggio più solenne e sovrano, quasi in attonita meraviglia; ma anche l'eccellente versione offertaci ora da Prosperi e Giovampietro ci ha turbati, con agile finezza e con interesse incalzante allacciando, entro i margini di una cronaca frondosa, innumerevoli motivi di realtà piagata, di crudeltà e di dolore. Su tutto, anche qui, quel la commozione inspiegabile quel terrore del male trionfante che solo le anime totalmente religiose, Giobbe, Geremia l'Ecclesiaste, Gesù, possono sopportare o risolvere; anche qui odio e carità ci hanno stretto il cuore. Renzo Giovampietro ha una intelligenza acuta, ben maturata di queste cose; conosce come pochi il contorno e il colore delle parole, e di quelle antiche e perenni sa, quasi ascolta la musica interiore, e la rende con trasparente letizia. Attore ammirevole per la semplicità cui costringe l'arte sua, maestoso, affabile nel dire, vigilante sempre sulla re¬ gola d'oro del fraseggio: chiarezza e profondità. Ma il pubblico da anni ormai ammira la sua forza, e probità e schiettezza. Perché Giovampietro ama questo teatro altissimo e affascinante con assoluta sincerità. E la sincerità lo ha fatto penetrativo, persuasivo, evocatore e gli ha portato fortuna. Diciamo che gli ha fatto toccare e ridire testi stupendi senza sgualcirli mai, anzi ottenendo da storie che parevano fuori del tempo un luminoso disegno scenico e nobilissimo risalto. Chi ama il teatro concreto, senza trucco, sostanzioso vada ad ascoltarlo. Anche iersera, in uno spettacolo retto da austera misura, egli e i suoi compagni hanno ottenuto un affettuoso successo e calorosi applausi. Con lui recitavano Marisa Belli. Carlo Sammartin, Adolfo Belletti, Marcello Mandò, il Sonni, il Maronese, il Dell'Arti. Scenografìa, più o meno convincente, di Felleni, musica di Chiaramello. E così con pochi attori, lo spettacolo, spoglio di vane acrobazie registiche, tutto ridotto all'osso, fu estremamente ricco, pittoresco, commovente. Fu vero teatro. Francesco Bernardelli

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