IL P. M. CHIEDE L'ERGASTOLO PER FERRARI Parla un difensore; la folla grida ««E' innocente»»

IL P. M. CHIEDE L'ERGASTOLO PER FERRARI Parla un difensore; la folla grida ««E' innocente»» L'IMPUTATO E» SCOPPIATO IN PIANTO IL P. M. CHIEDE L'ERGASTOLO PER FERRARI Parla un difensore; la folla grida ««E' innocente»» Il magistrato conclude la requisitoria dicendo: «Il delitto è senza attenuanti. Se avessi soltanto l'ombra di un dubbio non avrei fatto queste richieste» - Il veterinario ascolta con gli occhi a terra, pallidissimo, stordito - Il P. M. prosegue : « Ha scelto il veleno, l'arma dei vili e dei serpenti, per uccidere un uomo buono, mite e generoso. La colpa del Ferrari è tale che egli meriterebbe due volte l'ergastolo » - Nell'udienza pomeridiana prende la parola l'avvocato novarese Carlo Tolgano - Dice : « Manca un movente fondato ; molte accuse poggiano su dichiarazioni discutibili della Lualdi. Non esistono prove ma un blocco di indizi: esaminati uno per uno appaiono inconsistenti» - Conclude con la richiesta di assoluzione - Il pubblico applaude per un minuto : « Bravo l'avvocato, viva Ferrari !» - Il presidente fa sgomberare l'aula e minaccia di proseguire il processo a porte chiuse - Oggi comincia l'arringa del secondo difensore (Dal nostro inviato speciale) Imperia, 11 maggio. Il pubblico ministero, dott. Antonino Sanzo, ha concluso la sua requisitoria contro Renzo Ferrari chiedendo che egli sia condannato alla pena massima del nostro codice: l'ergastolo. A rigore, dovrebb'esserci stata anche un'aggiunta perché il veterinario di Barengo è accusato di veneficio (e già questo comporta la pena massima), con premeditazione (e questa è un'altra aggravante che conipoita l'ergastolo) e di due tentati omicidi nelle persone di Arnaldo Paini e di Isacco Allegratila. «Dorrei chiedere l'inasprimento della pena mediante la segregazione cellulare, ma ritengo die questi due tentati omicidi non siano reali a sé, ma rientrino nell'unico disegno criminoso die mosse il Ferrari a uccidere il povero Tino Allevi: perciò, la pena è assorbita nell'ergastolo. Ren-\ zo Ferrari — dice il Pubblico Ministero — merita che nei suoi confronti sia applicata la legge, in tutta la sua gravità. E' un delitto senza, attenuanti: il. contegno del Ferrari durante l'istruttoria e enti in udienza non mostra in lui il minimo segno di pentimento per ciò die Ila commesso. Se rileiigiamo la lettera con cui egli spedi il bitter avvelenato all'uomo die egli voleva uccidere, vi troviamo una sfumatura di macabra ironia, e anche nelle sue dichiarazioni in aula egli ha avuto accenti che suonano offesa alla memoria della vittima. «Non so che motivi potranno invocare i suoi difensori per sostenere che egli meriti una qualche attenuazione della, pena — ha aggiunto il P.M. — • sono addolorato, signoii giudici, di dovervi chiedere di applicare, con fermezza e con rigore, la pena nella misura che vi ho indicato: se non fossi certo che il Ferrari è colpevole. Se vi fosse la minima incrinatura di dubbio in qualcuna delle prove che vi Ito portato e illustrato, non avrei avuto il coraggio di fare queste richieste. Lo faccio, per rispetto alla verità, che l'imputato ha tentato di nascondere, e per rispetto alla giustizia, che e stata offesa da un'uccisione cos'i barbara e vile ». Renzo Ferrari ha lo sguardo Asso a terra. Sembra stordito, deluso, sgomento; ed è la prima volta che lo si vede davvero in questo stato. La mazzata gli è venuta all'una, quando la requisitoria si è avviata alla conclusione. Per certe vibrazioni che sembravano suonare commiserazione, compatimento, rampogna non scevra di misericordia per il reo, era parso che la lunga orazione del pubblico accusatore s'avviasse verso conclusioni meno drastiche. Stamane, poi, in un intervallo dell'udienza, era arrivata al banco dell'imputato una mezza voce che forse, nell'intenzione di chi la riferì, avrebbe avuto lo scopo di rincuorarlo: si dava per certo che la Procura della Repubblica era orientata a proporre una condanna grave, sì, ma non perenne. La svolta finale, invece, nell'esposizione del Pubblico Ministero è stata molto severa: l'imputato s'era illuso che sarebbe finita diversamente. E' crollato nell'udire quanto sia pesante il conto che l'accusa presenta ai giudici: le lacrime sono sgorgate dai suoi occhi. La grandinata delle accuse era incominciata venerdì: prima la « prova generica », e cioè la dimostrazione che il veleno usato dall'omicida era e non potè essere che la stricnina; poi la « prova specifica », l'illustrazione documentata che proprio il Ferrari comperò quel veleno, lo chiuse nel pacchetto e lo spedì all'indirizzo dell'Allevi. Incominciata sabato, questa seconda parte della requisitoria s'è conclusa stamane. In totale, Antonino Sanzo ha parlato per dodici ore. Quali sono gli argomenti passati in rassegna stamane? Dopo un accenno alla carta della lettera del «bitter» e alla posizione degli amministratori comunali di Barengo all'esame del dott. Sanzo passano le due opposte tesi, della signora perito d'ufficio e del controperito, in merito alla macchina per scrivere Lexlkon SO in dotazione al comune d! cui il Ferrari era vicesindaco. Sarà anche vero che lo studio della signora ViottiSturlese non è cosi attrezzato come dovrebbe essere a sentire il contreperito; sarà anche vero che vi sono delle ingenuità nella sua esposizione: ma anche il controperito Aurelio Ghio ne conta di grosse, e non è poi nemmeno in grado di dare dimostrazione di aver compiuto le prove che afferma d'aver compiuto. E poi quel ripulire dei tasti, quel gi¬ rPcsnfcpsLansLvsmrAnspgmnnrAc rare il nastro: insomma, il Pubblico Ministero non vede come si possa dar credito non solo alla controperizia, ma nemmeno alla dichiarazione fatta dal Ghio in udienza, con cui esclude che la macchina per scrivere che batté il messaggio del bitter sia la stessa Lexihon HO su cui la legge ha apposto i suoi sigilli. «Il Ghio, dopo queste manifestazioni sui tasti e sul nastro, ribatte a macchina sulla Lexikon m sequestro il testo della lettera mandata all'Allevi. Poi mette a confronto questo scritto con l'originale e dice che vi sono molte dissimiglianze. Nemmeno la signora Viotti-Sturlese le ha vedute. Anzi: ha. presentato una tavola di raffronto da cui risultano almeno cinquantaquattro elementi dì somiglianza tra lo scritto originale e lo scritto comparativo. Come fa, il Ghio, per le poche, pretese dissimigllanze che avrebbe trovato, ad escludere che la macchina sia quella di Barengo e nello stesso tempo a sostenere che le somiglianze, trovate cosi numerose dalla Viotti-Sturlese, non significano nulla? E tutto questo, si noti, dopo averci detto che un giudizio sicuro di identificazione dì una macchina per scrivere attraverso l'esame del dattiloscritto non si può dare con certezza ». Una breve sosta, e poi la requisitoria riprende. Il dott. Antonino Sanzo esamina ora il lembo più sfuggente della vicenda: il movente. Come mai il Ferrari spedì il veleno al mite e inoffensivo Tino Allevi? In primo luogo — dice il Pubblico Ministero — stabilire con esattezza questo genere di motivazione al delitto, mancando la confessione dell'imputato, è assai difficile. Ma, poi, la questione è secondaria quando si hanno le prove certe della colpevolezza. Si va per ipotesi, comunque, cercando nei meandri della personalità dell'accusato con il lume delle testimonianze raccolte su di lui. Principalissima, la voce dell'antica amante, Renata Lualdi. La donna non ha detto solo cose gravissime, che accusano il Ferrari, ma ne ha dette anche alcune che attenuano la sua responsabilità: quindi, non parla per sentimento di vendetta, e dunque è credibile. Lo è, tranne nel caso in cui vengano in luce i suoi rapporti con Giuseppe Mattei: qui, effettivamente, qualche bugia scappa fuori anche dalla bocca della verità. « Penso che non vi sia uomo al inondo, nemmeno rivestito della toga di magistrato, che in vita sua non abbia mai detto alcuna bugia: forse i santi... ». Torniamo alla Lualdi, che santa eerto non è, almeno per il momento: il pubblico ministero osserva che il valore delle sue dichiarazioni diminuisce o s'oscura del tutto, quando la si vuol far parlare della sua relazione con il giovane « factotum » del defunto marito. La cosa si spiega: un po' la donna prova un sentimento di vergogna, un po' forse serba riconoscenza per l'uomo che le fu vicino dopo la morte dell'Allevi (e anche prima, a dire il vero), e si preoccupa di non compromettere tlel tutto le possibilità che si prospettano al Mattei per una riconci¬ liazione con la moglie, per un ritorno al tetto domestico. In ogni modo, non vi possono essere dubbi su questi punti: a) il Ferrari era preso di lei; b) in modo morboso; c) questo infastidiva il povero Allevi; d) il quale non era poi quel rassegnato individuo che si vorrebbe far credere; e) reagiva, e duramente, alle pretese del Ferrari; /; sicché, in definitiva, il motivo principale del trasferimento degli Allevi dal Novarese ad Arma di Taggia era proprio il desiderio di allontanare quest'uomo, di metter molti chilometri tra lui e la Lualdi; g) ma questo non bastò, anzi inasprì l'animo del Ferrari; h) perché vide formarsi il triangolo Allevi-Lualdi-Mattei, cosa inammissibile per un uomo geloso come lui; i) e fu questo il motivo delle scenate alla Lualdi, delle minacce e delle percosse. Il Ferrari, secondo l'accusatore, non perdonava all'Allevi d'esser così tollerante nei confronti del Mattei, e cosi ostile a lui: secondo il Ferrari, quella donna gli spettava per diritto, diciamo cosi, d'anzianità. Vi furono approcci per tentare d'indurre il povero Allevi a modificare la situazione: per esempio, con quattro milioni il Ferrari avrebbe voluto ottenere che l'Allevi gli consegnasse la moglie, così risanando le condizioni economiche dell'azienda. « Ti sei lasciato sfuggire un buon affare », disse all'Allevi la sorella Giuseppina, quando fu informata della fallita compravendita. Dopo il trasferimento degli Allevi ad Arnia di Taggia, le cose cambiano: in peggio, per il Ferrari. Entra in scena il nuovo amante, e Ferrari a torcersi dalla gelosia. Tanto più che la donna, un po' oggi un po' domani, gli fa capire che la fiamma s'è venuta spegnendo, da parte sua. Annuncia di volerla smettere, vuole diventare ia brava moglie fedele, che non è mai stata, per non dispiacer troppo a quell'angelo di suo marito. Renzo Ferrari, di quell'angelo non ne vuol sentir parlare: c'è in lui l'orgoglio ferito (Terdoppio, scoperta del veterinario con i calzoni in mano), il dispetto per essere stato tagliato fuori del gioco, l'avversione, il rancore, il disprezzo per l'uomo che gli impediva di avvicinare l'oggetto delle sue brame. E così siamo alla macchinazione del delitto. Il Ferrari conosce bene (piale sia il debole della vittima designata: l'Allevi sogna una rappresentanza di liquori per la Riviera. L'ha sempre saputo. Stabilito il punto vulnerabile, concepisce il piano d'attacco. « Sceglie l'arma dei vili, il veleno! E' l'arma i'. t rettili. Ma i serpenti perlomeno rischiano di rimanere schiacciati sotto il tacco. Qui non c'è il rischio del tacco. Il veleno è spedito per posta. L'aggressore se ne sta lontano. E' l'azione più vile e crudele che un uomo possa immaginare per uccidere un suo simile: questo è il r,.odo scelto dal Ferrari per uccidere l'onesto Tino Allevi, un uomo laborioso, sfortunato ma serio, instancabile, generoso con tutti. In un rapporto, tristemente famoso, della Questura di Novara egli fu dipinto quasi come un usuraio: ma non è risultato vero affatto, era anzi benvoluto da tutti i suoi creditori, che spesso dovevano loro ricordargli le scadenze dei prestiti ricevuti da lui! Averlo ucciso, è un delitto senza giustificazioni, ed è per questo che chiedo ai giudici che la legge sia applicata nei confronti del colpevole nel suo massimo rigore. La colpa di Renzo Ferrari è tale che meriterebbe due volte l'ergastolo, e per la premeditazione con cui lo ha compiuto, e per averlo compiuto mediante l'uso del veleno. Sulla premeditazione non ci possono essere dubbi: è un caso tipico di delitto premeditato. Infoiti, il Ferrari ebbe il tempo per concepire la sua vendetta, per comperare le fiale, per miscelarle al " bitter", per scrivere la lettera, confezionare il pacco e spedirlo. Quanto all'intenzione che lo mosse in questa, successione di atti criminosi, credo non vi sia. motivo di avere la minima incertezza. Ferrari voleva uccidere, e uccise ». Nel pomeriggio, riprende l'udienza, e si ascolta la prima arringa a difesa. Parla l'avv. Carlo Tolgano, novarese, il legale che ebbe cura del Ferrari fin dal primo istante e che ha osservato uno scrupoloso silenzio in tutto il corso del processo. Torgano ha toccato con accenti molto umani, gli argomenti dell'incertezza delle prove, e infine ha esortato i giudici a ben riflettere sulla gravità del decidere della vita di un uomo: sicché alla fine, l'aula è esplosa in un bell'applauso: «Bene, bravo!» e il presidente: «Faccio sgomberare l'aula »: e la folla, ancora: «Bene, bravo l'avvocato! ». « afa dov'è la forza pubblica? Cos'è questa gazzarra? », urlava il presidente esterrefatto. E l'aula, imperterrita: «Bravo l'avvocato, evviva Ferrari innocente!»; e giù un fioccante battimano di rincalzo. Renzo Ferrari, nel suo recinto, si rigirava commosso verso il pubblico, e appariva un po' sollevato dall'improvviso mutamento della atmosfera. Un'atmosfera che aveva le note d'un rito funebre, in mattinata, e che adesso gli aveva dischiuso un vago pertugio di speranza. L'avvocato Torgano, un bell'uomo occhialuto, dritto e alto, piuttosto calvo, una gamba rigida (conseguenza d'una mutilazione di guerra), è un parlatore d'impasto « provinciale» Lo dice lui stesso, all'esordio, di non essere che un avvocato di provincia assolutamente disavvezzo a'misurarsi con questo genere d'imputazioni. Parla ancora sotto l'incubo delle gravi richieste avanzate dall'accusatore pubblico: la Corte si accingerebbe a condannare a vita un uomo, che nessuno ha capito e nessuno conosce. Il Ferrari apparso in aula durante due mesi e più di dibattimento, è uomo diverso da quel che era nel suo paese, a Barengo. Un anno e mezzo di carcerazione hanno spento in lui gli stimoli dell'intelligenza. Com'era diverso il Ferrari autentico, il Ferrari veterinario e vicesindaco nel suo paese! Benvoluto, buon compagnone, pronto alle battute di spirito, ma semplice, schivo, un po' prigioniero del complesso dei timidi. Da suo padre, ufficiale di Marina, non ha certo preso lo spirito d'avventura, e dalla madre, la maestra del paese, non ha certo preso l'austerità severa. Barengo, dice l'avvocato, è il punto più depresso della provincia di Novara, e proprio di qui avrebbe inizio la catena degli indizi che lega la figura del Ferrari alla figura dell'ucciso. Ma questa catena manca di alcuni anelli piuttosto importanti. Per esempio: :ì movente. Dice l'accusatore che non è indispensabile conoscere l'esatto « perché » del delitto quando si hanno le prove certe contro il reo. Ma qussto è il punto: il pubblico ac- cusatore dà per certe pro''e che non sono certe. E non lo sono perché in gran parte ?i ricollegano ai racconti di Renata Lualdi ai carabinieri e a quelli dei parenti di lei e dell'ucciso: c'è stato un concerto monocorde, dice l'avvocato di fensore, tra tutti questi testimoni, al fine d'indicare ai:a giustizia un solo possibile colpevole, il Ferrari. Pp1dPcztqIdtPerché? Perché ognuno, in idvia diretta o indiretta., teme-1 vva d'essere coinvolto nall'im-t dbroglio e tutti avevano inte-Uresse a spingere gli indagatori . verso il veterinario. La più :n-l teressata a quest'operazione e' Renata Lualdi vedova Allevi. La Lualdi ha condotto un gioco abile, scaltro: malgrado ciò, s'è contraddetta più e niù volte, E allora, perché assumerla come fonte di prova infallibile, come ha fatto il signor; Pubblico Ministero? S'è con-' traddetta quando ha parlato degli aborti, ha taciuto il ve-' ro quando ha parlato della sua ; relazione con il Mattei: possi-j bile che abbia detto il veroi quando ha parlato del Fer-' rari? «Anche la madre dell'Allevi ha inventato alcuni particolari sull'episodio del torrente Terdoppio: il Terdoppio non è un fiume boccaccesco. Uao-\Rcusa dà per provata e sicura[sla scoperta, dei due amanti] qfatta dall'Allcvì e. riferita dalla madre di questi. Invece la cosa <"; smentila dal maresciallo dei carabinieri. Nemmeno la signora Giuseppina Allevi, csCdsorella del defunto, è attendi- 'bile. Quando parla delle pro-Vposte del Ferrari a suo fratel-]1Io (quattro milioni, in cambio.1 della moglie infedele), l'episo-\dio è smentito dalla stessa Rc-\nata Lualdi, che non ha maiUsentito questo discorso da suo'smarito. .sDiee l'oratore che tutti gli\cepisodi su questo argomento sono stati riferiti in modo di-I verso e contraddittorio dai te-1 stimoni: non ve n'è uno che|coincida con un altro. Restano: incerti i modi e i tempi della; faccenda. Se fosse vero, dice,al'avvocato, che questa donnai sera perseguitata dal Ferrari,! p; perché non fece intervenire suo marito? o il Mattei? oj suo fratello? E perché mai i figli della Lualdi, che pure do-i vrebbero. a sentir lei, averla vista sgomenta dopo uno di I questi terribili incontri. nonldissero nulla in casa? Insomma: non è proprio vero che questa vedova sia così, attendibile come si vuole dal- la parte dell'accusa. Non è ve-| ro che sia venuta in dibatti-i mento in atto di contrizione eld'espiazione: «Tutti l'abbia-mo vista, agghindata, non cer-\to nelle affettuose gramaglie-che usavano le nostre nonne, | che persistevano due o tre\anni a portare il lutto del con-iglunto scomparso!» «Questa donna — continua con veemenza l'avvocato Tor-!gano — deve tacere Qualcosa.'[ Perché quel giorno uscì di casa, per andare al magazzino, alle 16,30 e cioè proprio in coincidenza con l'arrivo della posta? P< rché intercettò il pacco? Che cosa andava a fare in magazzino? E che cosa fece, là dentro, insieme con il Mattei, con quel pacchetto tra le mani? Io non lancio nessuna accusa: dico solo che il Mattei fu in¬ terrogato dal capitano Teobalidi soltanto un mese dopo iti c1 veneficio. Dico che la careno s degli indizi non è saldata ad nUn'ancora, ma è monca, s/nes-jc . , lccgecrcapc ata! Riflettete su. questi inerrogativi e dite, in coscienza, e quella che vi ha offerto l'acusa è la prova certa e sicura della colpevolezza del Ferrari!». Altro elemento che proveebbe l'estraneità del Ferrari è la testimonianza di Luigi Scotti, l'uomo che si recò a spedire una raccomandata un atimo dopo che era partito il pacco del «bitter». Lo Scotti vide davanti a sé, allo sportelo, un uomo che gli cedette il posto: Chi era? Indubbiamente o speditore del pacchetto avvelenato, afferma il difensore. Ma posto a confronto con il Ferrari, lo Scotti negò d'avero mai visto. Non solo, quindi, l'accusa non ha dato la prova che il Ferrari era alla stazione centrale di Milano nell'ora in cui partì il « bitter », ma, semmai, c'è questa testimonianza in contrario, e si deve tenerne conto. L'alibi, tanto criticato perché sembra un falso, regge invece assai bene, a parere dell'avvocato Torgano. Le strade di Miano erano, in quell'epoca, tutte a soqquadro per i lavori della metropolitana: il Ferrari, partito dall'Università alle 10,30 avrebbe dovuto attraversare di gran corsa mezza città, tra semafori, vigili, sensi vietati, strade sconvolte: nel ritorno, ugualmente, per infilare l'autotrada ed arrivare in piazza, a Novara, in giorno di mercato, nel momento culminante del traffico, avrebbe dovuto marciare a velocità impossibile. Anche qui i tempi dati dal'Accusa sono inattendibili. Appena di notte e con le stra- ch'era stricnina, e magari lasciando cadere a terra la faniosa scatola con la testa di cavallo? I suoi clienti glide deserte un buon automobilista avrebbe potuto farcela,Ma poi, che strano avvelena-tore sarebbe questo Ferrariche, con un pacchetto di qUelgenere nel portabagagli, se neva annunciando a destra e asinistra il suo viaggio a Milano, quel mattino, e persino sferma, prima di partire, nell'abitazione del segretario comunale di Homo per chiedergli se desidera far quella scappata insieme a lui? E se quel lo avesse detto di sì? Il difensore si scaglia ora contro un'altra prova che l'Accusa dà per raggiunta, e raggiunta non sarebbe: l'acquisto e l'impiego della stricnina. Che cosa sarebbe costato al Ferrari, se è vero ohe stava mac chinando d'avvelenare l'Alleviandare in giro per le stalle a praticare ai suoi animali qualche iniezione innocua, dicendo avrehbero creduto! « Se non 'ha fatto, segno che la stricnina egli l'Ila, usata, davvero sul toro del signor Cerri e sulla bovina, del signor Donna. Il veterinario provinciale di Novara, perito d'ufficio, ha detto che la diagnosi comportava quelle cure e che le iniezioni si potevano praticare sul collo, senza l'assistenza di alcun bovaro. Ha detto anche che le dosi erano usate correttamente, e cioè non letali. Per finire, il Cerri ha testimoniato che. il veterinario era padrone della stalla: padrone di fare le iniezioni che voleva, quando credeva, senza chiedere a nessuno il permesso, e senza essere visto. Perché non credere al Ferrari? E' un uomo che non sa difendersi, ma contro di lui non sta un complesso di prove, bensì soltanto un blocco di indizi. Presi uno per uno. questi indizi appaiono inconsistenti. La Corte dovrà analizzarli, sistematicamente, e rendersi conto del come e del perché essi si sono venuti formando a danno del Ferrari ». L'avvocato, qui, è al termine della sua fatica. Stamane, egli dice, al sentir pronunciare la parola « ergastolo » gli al è stretto un nodo alla gola, come se avesse udito pronunciare una condanna di morte. Esorta la Corte a soppesar» con ogni scrupolo tutti gli argomenti esposti e a non accogliere per certe le verità che non sono sicuramente provate. Invoca l'assoluzione (adombra la formula dell'insufficienza di prove) e conclude: « Affido a voi, giudici, alla vostra coscienza, la vita di questo uomo ». L'avvocato, stanchissimo, Piomba a sedere. E qui scatta fragorosamente lo scroscio dei1'anr>lallS0 di cui abbiamo fat!to cenno più sopra. Il presi|llente e colto alla sprovvista: lFerrar' è commosso. Torgano e tutti gli avvocati sono sorpresi. Il presidente con le mani nei capelli: «Silenzio, sgomberale l'aula. Domani si procede a porte chiuse ». Voci da! fondo: «Bravo Ferrari, Ferrari è innocente ». Sessanta secondi di battimani: un raptus innocentista che i pochi carabinieri non riescono a placare che a stento, abbrancando le principali applauditrici (perché eran donne, soprattutto, a proclamare l'innocenza dell'imputato con tanto entusiasmo) spingendole affettuosamente fuori dell'aula. Domani, parlerà il secondo difensore, l'avvocato Franco Moreno, per la cui arringa sono in calendario due udienze. Gigi Ghirotti L'imputato Renzo Ferrari, molto, scosso per la richiesta di condanna all'ergastolo appena formulata dal P.M,, viene assistito da un carabiniere (Telel'oto Moisio) Applausi e frasi di consenso del pubblico ieri dopo l'arringa del primo diiensore di Ferrari (Telef. Moisio)