Una storia sentimentale in musica presentata ieri dalla Francia a Cannes

Una storia sentimentale in musica presentata ieri dalla Francia a Cannes IPopo il felice esito di «Sedotta e abbandonata » Una storia sentimentale in musica presentata ieri dalla Francia a Cannes «Gli ombrelli di Cherbourg», di Jacques Demy, inaugura un nuovo genere cinematografico - « Dio e il diavolo nella terra del Sole » : iilm brasiliano di forte polemica sociale (Dal nostro inviato speciale) Cannes, 11 maggio. Dopo il felice esito di Sedotta r abbandonata, di Germi, confermato anche dai primi commenti della stampa francese, il festival ha presentato un terzo film francese, inopinatamente entrato in concorso, Les parapluies de Cherbourg («Gli ombrelli di Cherbourg») di ciuel Jacques Demy (marito della Varda, autrice di «Cléo») che quattro anni fa, con «Lola» si classificò fra i più promettenti registi della «nouvelle vaglie». Le germinazioni liriche che erano in quel film, a proposito del quale i critici francesi parlarono di « neoromanticismo », sono sbocciate in una vera e propria operina lirica, che ha richiamato le tenere ombre di Puccini e di Charpentier. Sebbene abbia qualche antecedente nel cinema russo «Gli ombrelli di Cherbourg» (scenario e dialoghi dello stesso regista) può essere considerato una sottospecie quasi inedita del film musicale: il che sarebbe bastato a farlo accettare in un festival. Non è infatti un'operetta, né un «musical», né un film-balletto, peneri che dal più al meno ariattano i contenuti alle proprie esigenze formali; ma una commedia larmoyante espressa nell'umile prosa di tutti i giorni, con la differenza che quella prosa, anziché essere detta, è sempre e tutta quanta cantata. Cantano gl'innamorati che si effondono, ma canta anche il benzinaro che ci chiede se vogliamo benzina semplice o «super», cantano il barista e il portalettere, cantano tutti, per una sorta di benedizione (o scommessa) melodrammatica. Non siamo critici musicali e non sapremo giudicare della partitura di Michel Legrand, che nelle sue monotone cadenze di danza e nei suoi affilati recitativi (siamo ben lontani dalla musica torrenziale di un «Porgy and Bess» o di un «West Side Story») ci è parsa flebile, insinuante e struggente come la vicenda narrata. Tre atti. Nel primo, « La partenza *, Geneviéve, figlia d'una vedova che tiene bottega di ombrelli a Cherbourg, amoreggia, contro la volontà materna, col suo diletto Guy, meccanico in un'autorimessa. Il giovanotto è chiamato a fare il servizio militare in Algeria, dove dovrà stare due lunghi, insostenibili anni. Nello strazio del distacco Geneviéve gli si dona, cosicché nell'atto secondo, « L'assenza », ella è incinta, Guy manda poche lettere (si sa. il servizio militare in Algeria vuol dire la guerra). La madre tira acqua ai suo mulino e perora la causa di un buon partito, disposto a sposare la ragazza madre. La ragazza china la testa, si idv a i la. Nel terzo atto, « 11 ritorno », il tempo che è talvolta un crudele galantuomo opera anche sul povero Guy, che prima disperato di non trovare più la sua Geneviéve, linisce col rassegnarsi anche lui, sposando una giovane amica che lo aveva sempre amato in silenzio. La notte di Natale, Geneviéve si ferma a una stazione di servizio e rivede il suo amante. Hanno seguito due destini diversi che non si incroceran- vede all'ottavo mese, e accet- j no mai più. Fa freddo e nevi- ca litto come nel terzo attodella «Bohème», salvo.che peri nostri amanti non ritornerà la stagion dei fiori; il loro amore è già morto, e non ne resta, in fondo ai loro occhi, che il rimpianto. La veste canora fa un po' specie ria principio, poi ci si avvezza. Qualche sorriso per le cadute più prosaiche, e basta. Segno che :1 film, pur nella sua tenuità, è saldo e coerente, con una sua finezza tonale da far pensare, se fosse possibile, a un settecentismo cinematografico. All'insegna della più patetica effusione, il film non si spappola nelle sue tenerezze, ha un suo piccolo ma innegabile incanto stilistico. Nel bel mezzo ha un richiamo contenutistico a « Lola », ma anche senza quello si farebbe sentire uscito dalla stessa grazia. Ma è anche vero che musica e immagini restano sovrapposte in termini di gioco, e non entrano in simbiosi, non ne nasce un vero cinema melico. Vogliamo dire che se invece di cantare i personaggi declamassero o più semplicemente parlassero, il film resterebbe quello che è, un caprìccio intelligente. Gli interpreti hanno parte nella riuscita del film che ha vinto il premio Delluc 1964 Catherine Deneuve (Geneviè! ve) manda bagliori rii vera at ri trice, non è soltanto bella; • à , l ' i e sono persuasivi pur nella ituazione insolita, anche l'italiano Nino Castelnuovo (che fu fra gli interpreti rii » Giorno per giorno disperatamente» e «Un maledetto imbroglio»), -Marc Michel («La ragazza ri: Bulie ,), Elle Ferner, e la provetta Anne Vernon. Fini i colmi, che battono specialmente sugli interni ». Si è poi visto il secondo film d'un Brasile forse quest'anno troppo prodigo di se stesso a Cannes. «Deus e o diabo na terra do Sol » è firmato dal regista Glauber Rocha, anche lui appartenente, come Nelson Pereira Dos Santos. rii cui s'è visto pochi giorni fa «Vitias secas », ai gruppo «Cinema novo », espressione del cinema brasiliano più socialmente consapevole e impegnato. Rocha oggi al suo secondo lungometraggio, non è nuovo alle mostre cinematografiche, avendo vinto con »: Barravento » il premio ■ Opera prima » al festival rii Kaiiovy Vary 1962. Girato a Bahia, il film s'ispira a una leggenda popolare, e ambientato nel i: Sertao », l'arido deserto del Norrieste brasiliano, prospetta su una disperata condizione umana, rieterminata da sopravvivenze feudali e da una natura ne- mica. Essa porta alla rivolta, e questa ha due facce intercambiabili: Dio e il diavolo. Da una parte la rivolta esprime dal suo seno i falsi profeti, i santoni dagli accenti apocalittici, che promettono alle folle affamate la terra promessa, benedetta dall'acqua; dall'altra essa produce i « cangaceiros », briganti e predoni di strada, fra i quali ebbe fama il capitano Virgulino Ferreira, detto «. Lampiao », che per trent'anni tenne testa alla polizia dei cinque Stati della federazione brasiliana. In questa morsa, tra mistica e sanguinaria, il film, che ha anch'esso impianto melodrammatico e passaggi canori (si vede che era la giornata), inserisce la storia del «vaquero » Manuel e della moglie Rosa, che la spietatezza dei padroni ha spinto a cercare rifugio fuori del quadro sociale, in un clima rii esaltazione. Sono così coinvolti nella guerra che Dio e il diavolo, cioè il falso profeta e il sanguinario bandito, hanno dichiarato da opposti fronti alle autorità costituite, simboleggiate da un focoso «killer» che avrà ragione prima dell'uno e poi dell'altro. E' il film, in sostanza, un « cantare » da cieco, col cieco in funzione di coro, e ha momenti vigorosi, ma anche lungaggini, involuzioni formalistiche, e una faticosa irrequietezza di macchina che cincischia e oscura la visione. Resta però un interessante documento di cinema alieno da ambizioni commerciali, votato a rappresentare, o come qui ad echeggiare attraverso moduli di letteratura popolare, motivi di un'aspra e amara verità so male. Nel virulento coro degliinterpreti spiccano Yona Ilagalhaes, Cerlado Del Rey e Othon Bastos. Leo Pestelli Janies Mason al Palazzo del Cinema di Cannes con l'attrice israeliana Haya Harareet (Tel. "Associateci Press»)