L'avvocato della Lualdi chiede una «dura condanna» "Ferrari è colpevole; tutto parla contro di lui 8..."

L'avvocato della Lualdi chiede una «dura condanna» "Ferrari è colpevole; tutto parla contro di lui 8..." DUE ARRINGHE PI PARTE CIVILE IN UN'AULA AFFOLLATISSIMA L'avvocato della Lualdi chiede una «dura condanna» "Ferrari è colpevole; tutto parla contro di lui 8..." L'aw. Settimio Bruna (patrono dei due figli minorenni del commerciante assassinato) invita la Corte a negare qualsiasi attenuante al veterinario - Poi elenca le accuse a carico dell'imputato: l'acquisto della stricnina, la lettera, la macchina da scrivere, la passione per la Lualdi - Infine rievoca la figura della vittima: «Un uomo onesto, veramente tranquillo, un po' disgraziato negli affari, un uomo che lavorava tanto da dimenticarsi della moglie» - Subito dopo parla il legale di Arnaldo Paini (il socio dell'Allevi, intossicato dal «bitter») - Renzo Ferrari ascolta preoccupato le arringhe - Dice: «E' assurdo, è pazzesco: se mi riterranno colpevole, dovranno mandarmi in manicomio» - L'imputato sottoposto a grande sorveglianza in carcere: si teme un gesto disperato? - Domani la requisitoria del Pubblico Ministero (Dal nostro inviato speciale) Imperiti, 6 maggio. Renzo Ferrari è. colpevole: non c'è carta in tutto il voluminoso processo, non c'è voce di testimonio in tutto il dibattimento che non parli contro di lui, che non lo additi come il responsabile dell'assurdo delitto del «bitter». Questo è il concetto svolto dai due avvocati che, primi, hanno preso la parola quest'oggi all'aprirsi della discussione. Gli avvocati sono il senatore Settimio Bruna, penalista quasi settantenne, e Giuseppe Contino, di Parma, non ancora quarantenne, entrambi di parte civile. L'avv. Bruna parla nell'interesse dei figli minori di Tino Allevi, la vittima. La sua arringa si presenta agghindata con proprietà, alla maniera che s'usava ai tempi di Linda Murri, tutta svolazzante di citazioni da Gozzano ad Angiolo Silvio Novaro, passando per Alessandro Volta, Tranquillo Cremona, Copernico, Giovacchino Forzano, Petrarca, I misprnbili e Gabriele d'Annunzio. Ricca d'addobbi filosofici e moralistici, nutrita di elevati sentimenti, sostenuta da eccellenti motivi giuridici, impeccabili argomenti di fatto, la Corte si è ascoltata quest'arringa con visibile soddisfazione. L'impresa non era facile: l'anziano penalista doveva parlare nel nome di una donna che, ahimè!, non è davvero una povera educanda capace di suscitare le simpatie della folla, o la commiserazione unanime, o semplicemente la comprensione che spetta per antico diritto alle vedove e alle madri. L'ha fatto con buon garbo. «Se questa donna. Renato Lualdi, ha peccato, come ha peccato, è vero anche che ha espiato. I suoi figli l'hanno perdonata. Datemi atto — ha detto l'avv. Bruna — che Renata Lualdi è stata sincera, e non è mai caduta in contraddizione ». Ad ascoltare l'oratore era convenuto nell'aula della Corte d'Assise un pubblico di qualità. La vedova di Tino Allevi sedeva dietro il banco del suo patrono. In aula, con l'aria compunta, di circostanza, c'era anche Arnaldo Paini, l'uomo che per poco non tini anche lui vittima del bitter avvelenato. I preliminari dell'udienza consistono nella presentazione da parte del perito prof. Chiozza delle sue conclusioni in ordine ai rilievi a lui mossi dai controperiti Tappi e Beccari a proposito della perizia tossicologica. E proprio di qui prende le mosse l'avvocato Bruna. Dopo il rituale saluto alla Corte e al suo presidente («Forse senza d\ lui, senza la sua energia, sarebbe mancata a questo processo la "prova della carta", sarebbe sfumata la testimonianza di molti che, in istruttoria, non avevano voluto dire tutta la verità»), il patrono di parte civile ha illustrato ai guidici la figura dei periti e quella dei controperiti, quali appaiono nel Codice Penale. Il perito giura, e vincola nel giuramento la propria coscienza. Il controperito, non solo non presta giuramento ma, per legge, è esentato come il difensore dall'obbligo di dire alcunché dì pregiudizievole all'interesse dell'imputato. Sembra poco, ma è invece importantissimo: è la chiave che l'avvocato Bruna offre ai giudici popolari per valutare l'attendibilità processuale della fatica dei professori Tappi e Beccari e di Aurelio Ghio, il consulente dattilografico che ieri ha negato che la « Lexikon » del comune di Barengo abbia potuto « battere » lo scritto d'accompagnamento al « bitter ». Sulla panca degli imputati, dice l'avv. Bruna, siede «un disgraziato», per il quale egli prova un sentimento di intensa pietà. Non intende infierire: dirà l'indispensabile. A cominciare dal giorno in cui la morte entra in casa dell'Allevi, sotto forma di innocente aperitivo analcoolico, a lui giunto per raccomandata, in un lieto alone di lusinghe. Veramente, l'avvocato Bruna non pronuncia la parola « morte »: nella sua prosa oratoria, lo spiacevole evento si trasforma liricamente: diventa «quella signora vestita di nulla », come la definiva Guido Gozzano. Chiusa nella bottiglietta, codesta signora entra addirittura nel frigo di casa Allevi; poi si comporta nel modo che sappiamo: ghermisce il povero Tino Allevi, e « in meno di un'ora lo consegna al regno del silenzio ». Si può dubitare che in quel flaconcino vi fosse il veleno? Si può prendere per valide le ipotesi degli avversari che vorrebbero l'Allevi ucciso da un insetticida? L'avvocato Bruna esclude tali ipotesi: sia perché le ha escluse il perito d'ufficio (< quel prof. Chiazza, cos'i ma guvacFmmmfisq o l ? e n a é o grolino, che sembra uscito da un incunabulo »), sia perché vi sono prove inconfutabili che attestano l'acquisto della stricnina da parte del dott. Renzo Ferrari nella farmacia di Momo Novarese, pochi giorni prima del delitto. Veramente, il Ferrari afferma d'avere iniettato quelle fiale su animali sofferenti, questo di paresi al prestomaco, quello di paresi alla gamba posteriore destra. Ma gli si può dar credito? «Io non conosco le usanze delle stalle novaresi: ma qui da noi certo non era mai capitato che un veterinario entri nelle stalle, insalutato, e compia pratiche terapeutiche di quest'importanza senza nemmeno avvertire il proprietario dell'animale, o il capostalla, o chicchessia ». Stupirebbe molto l'oratore, se apprendesse che nel Novarese i veterinari si comportano in questo modo: e tuttavia non c'è solo questa stranezza. Anche la fretta con cui si presenta al farmacista di Momo, il dott. Baguzzi, per quell'acquisto; anche la scelta del dott. Baguzzi, suo conoscente (che omise di registrare il passaggio del veleno per i suoi scaffali: ed è proprio questo che al Ferrari premeva); anche la ragione dichiarata dell'acquisto (avrebbe dovuto curare un cavallo colto da collasso; ma poi di questo cavallo si perdono le tracce): tutto è sospetto. Ed è sospetto che la stricnina, ordinata di tutta corsa, se ne resti per un giorno Intero in farmacia, senza che il Ferrari la venga a ritirare, con il pericolo che quel cavallo, o quel toro, o quella manza per cui era stata fatta venire al gran galoppo ne abbiano a soffrire. Insomma: con tutta la pietà che gli Ispira, il Ferrari non convince il sen. Bruna. E siccome un sospetto tira inevitabilmente l'altro, una prova si salda indubitabilmente all'altra, ecco l'avv. Bruna entrare nel piccolo municipio di Barengo e interrogare la carta quadrotta, la famosa Lexikon e il celebre messo comunale, Francesco Donna. Lì per lì, la sua testimonianza poteva sembrare zoppa e addirittura nulla. Ma poi, lo zelo del capitano Teobaldi («lo Javert. del processo») ha messo la giustizia sulla retta via: la carta è stata ritrovata. La ricevuta pure, e gli amici barenghesi del Ferrari sono stati persuasi a dire tutt'intera la verità. La deposizione del messo Francesco Donna, sotto la luce di queste prove, ha riacquistato il suo valore. « Il messo comunale di Barengo — afferma il patrono Bruna — ha dichiarato che il Ferrari, il 88 agosto 1062, si presentò a chiedergli la consegna delle risme di carta da cui egli aveva tratto il famoso foglio servito per quella, misteriosa scrittura fatta dal vice sindaco alcuni giorni prima... Il Ferrari disse al Donna: "Hai letto di quella storia di Arma di Taggiat lo non c'entro, ma c'entra un altro uomo. Dammi quella cartami sert-e. Poi la restituirò..."Ma come poteva sapere il Ferrari che la carta era uno degli indizi che gli investigatori stavano valutando? Chi spedi il "bitter" avvelenato non può essere altri che colui che si preoccupò di portar via la car¬ trpAtcppopc atdmBo i i ta dal municipio di Barengo!». Ma poi, perché mai il veterinario si occupa di fare scomparire da casa sua la rivista Annali Medici da cui era stata ritagliata la strisciolina di carta, incollata a tergo del pacchetto del «bitter»! Il capitano Teobaldi rovistò con ogni cura l'abitazione dell'imputato: mise sossopra persino le gabbie dei conigli, alla ricerca di un barlume di prova. Sparita la rivista — che pure arrivava regolarmente da alcuni anni al Ferrari — sparito lo « scotch », sparite le forbicine da unghie che, probabilmente, servirono alla grezza operazione di ritaglio... se non bastasse, c'è la dannata coincidenza del viaggio del Ferrari a Milano, proprio il mattino in cui, dalla Stazione Centrale, parte da Milano il pacchetto con la « signora ve stita di nulla» chiusa dentro. Il pacchetto arriva. L'arma colpisce esattamente? Il pa trono non può dire, in coscien za se quello, e quello solo, fosse il bersaglio del Ferrari. Chi muore è Tino Allevi, « un uomo onesto e veramente tranquillo, un po' disgraziato negli affari, ma animato da una tenace buona volontà di lavorare; lavorava tanto che persino dimenticava d'occuparsi della moglie ». Il senatore coglie il destro, qui, per lanciare una frecciata in direzione della Questura di Novara, che nel suo primo rapporto non esitò a dare un ritrattino abbastanza losco dell'Allevi, fondato su informazioni frettolose e sostanzialmente errate. Fatto sta che l'Allevi muore, e la morte di quest'onesta persona suscita l'interrogativo più inquietante del processo. Perché? A chi dava fastidio, un marito così remissivo, e cosi sordo e cieco ai tradimenti che s'intrecciavano a lui d'intorno? E' la questione del movente, scoglio piuttosto serio per un patrono di parte civile che voglia dare un quadro esatto e completo dell'ifer criminoso. L'avvocato Bruna sostiene che tra la Lualdi e il Ferrari una relazione in piena regola vi fu, e durò cinque anni. « Sentirete, sentirete a porte chiuse, che cosa dirò su quella donna! » minacciava il Ferrari nelle prime udienza. Ma poi, chiuse le porte, si tacque: le minacciate bufere non si scatenarono sul capo della Lualdi. Segno che la Lualdi ha detto il vero, anche quando il vero scottava, e il Ferrari no. Dunque, resta dimostrato che le cose andarono come la donna le ha narrate fin dal primo giorno: il 13 agosto, lui e lei s'incontrarono per l'ultima volta. Lui insiste per ottenere ciò che la donna non gli ha mai negato. Ma lei insiste nel rifiuto. « V'ò stato un "noli me tangere" di Renata Lualdi a quell'uomo cui pur s'era data anima c corpo per tanti anni. I due si congedano con un bacio. Lo so bene che l'avvocato difensore, Luca Ciurlo, imposterà la sua causa su questo bacio. Ma che cosa significa un bacio! ». L'anziano senatore ce lo spiega: vi sono baci freddi Ucome una tomba», ed altri «caldi del calore dell'inferno ». 'e poi dovrebbe esserci a nostro parere tutta una gamma intermedia di baci semifreddi e semicaldi, ben noti a chiunque abbia provato di persona. Il termometro è il venir meno del sangue nelle vene. Il bacio di cui trattasi sarebbe del primo tipo: tipo « tomba », per intenderci. Il Ferrari ne fu sconvolto. In ogni modo, l'avvocato Bruna conferma che la Lualdi diede freddamente il benservito a quell'uomo, e questi cominciò a macchinare in cuor suo il delitto. « Vunico inciampo ai disegni del Ferrari non era quel Mattei, che si è tentato di far passare per il " terzo uomo " delta vicenda. Era l'Allevi: a lui si rivolse il Ferrari proponendogli quattro milioni in cambio della moglie; da lui, la Lualdi si sarebbe dovuta staccare, per andare a vivere con il Ferrari in America o a Torino. Il Ferrari spera di riavere quella donna eliminando l'ostacolo che si frapponeva costantemente ai suoi desideril Questa è la mia ipolesi: non potrei darvene le prove. Posso solo dirvi ciò che la mia cliente mi ha sempre ripe tuto: "Io non so, avvocato, se sia Ferrari il colpevole; so solo che quell'uomo era attaccato a me, mi considerava cosa sua, e io lo consideravo cosa mia; se poi mi ha tradito, questo proprio non so " ». L'oratore si è rivolto con fervidi appelli alle signore giurate perché, nella camera di consiglio dove si riuniranno per la decisione, abbiano ad illuminare il resto della giuria sulle complesse sfumature dell'animo femminile: la Lualdi avrebbe voluto ritornare al marito, redimersi; se poi scelse strade storte, resta il fatto che il Ferrari le scelse ancora più oblique e criminose per impedirglielo. « Vi parlo nella certezza che egli è il responsabile, signor giudice, sicuro che voi lo punirete secondo giustizia, con una condanna senza attenuanti ». Al termine dell'arringa l'avv. Bruna ha chiesto i danni per gli orfani dell'Allevi e una provvisionale dì un milione. Arringa numero due. Parla l'avvocato Giuseppe Contino, patrono di Arnaldo Paini, commerciante in formaggi cui toccò in sorte di sorseggiare un nonnulla di quel maledetto aperitivo. L'episodio è troppo noto, perché si stia a rievocarlo. Basti dire che, nel corso del dibattimento, s'è venuta sdrammatizzando la parte del Paini e dell'Allegranza. Se la sera stessa in cui vennero raccolti all'ospedale, poterono chiedere ed ottener" di essere dimessi, segno che non vi fu che un principio lievissimo, quasi impercettibile di avvelenamento. O nulla del tutto? E se così tosse, per qual ragione il Paini è qui a chiedere i danni al Ferrari? L'avvocato Contino presenta innanzitutto certificati da cui si rileva che il suo cliente abbisognò di cure, al suo rientro a casa, e non si senti mai più del tutto in salute, dopo quel modesto assaggio di «bitter» nel magazzino dei formaggi. Ma, in fin dei conti, il punto della questione non è questo: se anche si fosse trattato di un modesto capogiro, o d'un malessere, o d'una sensazione di disagio soltanto, il Paini ha le carte in regola per domandare i danni. Che centrava con gli amori traversi della si gnora Lualdi? Pur *e si fosse trattato d'un semplice spavento, e nulla di più, che diiitto aglpgccstsa e aveva il Ferrari d'infligger glielo? Non è in discussione l'offesa in senso fisico alla persona, ma l'offesa in senso giuridico. Il processo, afferma l'avvocato Contino, ha dimostrato la colpevolezza del Ferrari. Costui s'è voluto vendicare? Oppure ha tentato, diabolicamente, un colpo malvagio per ritornare in possesso di quella donna che gli accendeva i sensi? Sono questioni che al signor Paini interessano poco: ma è certo e lampante che la iniziativa dissennata del Fer- rari colpisce, di striscio, anche lui, Arnaldo Paini, commerciante in prodotti caseari, da Ponte Taro, persona totalmente estranea alle ire del veterinario. Il nostro Codice, rammenta il patrono, punisce l'offensore anche per i guasti che egli ha provocato involontariamente ai « terzi », come recita l'articolo 82. E il Paini, in quest'affare, è la comparsa che non parla: anche lui ha posto il piede nel tranello mortale teso dal Ferrari. Non s'è considerato abbastanza, dichiara il suo patrono, ciò che sarebbe successo al malcapitato Paini se avesse bevuto una stilla di più di quel veleno. In ogni modo, la sua sfera personale di libertà è stata lesa: sarà solo una scalfittura? Può darsi: resta che Renzo Ferrari non aveva diritto di turbare né tanto né poco questo signore che se ne andava placidamente per i formaggi suoi. Di qui, per le ragioni dell'articolo 82, discende la richiesta al Ferrari di pagare al Paini i danni, nella misura che sarà determinata in separata sede. Terminata la lucida, breve, esatta arringa dell'avvocato Contino, egli s'è andato a complimentare con il suo patrono. Domani festa; dopodomani, la requisitoria del procuratore generale, dott. Antonino Sanzo. In questa vigilia di requisitoria l'umore del Ferrari è parso così preoccupante che, a quanto si dice, l'autorità giudiziaria avrebbe disposto un servizio ininterrotto di sorveglianza, notte e giorno, nella sua cella. Su questo argomento sono molti i « si dice » e tutti incontrollati. C'è chi afferma che, addirittura, il compagno di cella del Ferrari sia stato spostato e il suo posto l'abbia preso un agente di custodia; c'è chi sostiene di aver udito il veterinario mormorare: «Per me è finita, che co sa mi resta da sperare!». Queste dichiarazioni vengono interpretate come un angosciato proposito di togliersi la vita. Gigi Ghirotti L'avvocato di parte civile Bruna durante la sua arringa. A destra Renata Lualdi, sullo sfondo l'imputato (Moisio) Il dott. Renzo Ferrari ieri ad Imperia mentre ascoltava le accuse di uno degli av* vocati di parte civile. L'imputato è apparso molto turbato e preoccupato (t. Moisio)