Hanno abbandonato la campagna per fabbricare «mobili antichi»

Hanno abbandonato la campagna per fabbricare «mobili antichi» Viaggio sigile strade da Verona n Rovigo Hanno abbandonato la campagnaper fabbricare «mobili antichi» Le cascine della Bassa Veronese si sono trasformate in aziende artigianali - Lungo una trentina di chilometri se ne incontrano circa 600 che danno lavoro a 3500 persone - Ogni anno si costruiscono mobili per un valore che supera i sei miliardi (Dal. nostro innato speciale) Verona, 5 maggio. Uscendo da Verona e prendendo la strada di Rovigo si è nel regno dei mobilieri. Per una trentina di chilometri, (Ino a Legnago, si cammina nell'odore di buon legno e di colla, che avvolge il paesaggio come l'odor d'incenso una navata di chiesa. Si attraversano paesi che sono tatti di case ma soprattutto di laboratori di mobili, e un laboratorio è in ogni cascina che fiancheggia la strada o che si addentra nella campagna; ad ascoltar bene, dalle stalle e dai pollai non sorgono muggiti o chicchirichì, ma l'ansito ritmico delle pialle. E su ognuno di questi laboratori, modernamente attrezzati o frettolosamente improvvisati, l'insegna < Mobili d'arte », nella quale di sicuramente concreto e indicativo talvolta non c'è che la prima parola. Anche il mobile d'arte della Bassa Veronese, inteso come industria e come artigianato, ha avuto il suo boom. Un boom che si espande costantemente, e che ora impegna circa 3500 persone, tra proprietari, dirigenti e operai, distribuiti in un numero di az.iende che sfiora le 600. Di esse, quasi ■150 sono esclusivamente addette alla produzione — le altre sono dedite alle rifiniture 0 al commercio — nei quattordici comuni in cui il mobile d'arte rappresenta una tradizione famosa non soltanto in tutta Italia, ma anche in Europa e in America. Supera 1 6 miliardi, secondo un calcolo prudenziale, il valore dei mobili costruiti in un anno nella Bassa Veronese, e distribuiti dal Veneto alla Sicilia. Di quei 6 miliardi, uno e mezzo vanno oltre confine. I migliori clienti sono la Germania federale, la Svizzera, gli Stati Uniti, ma anche la Francia e l'Inghilterra, e l'America Latina e i Paesi scandinavi. La tradizione del mobile d'arte nacque una quarantina d'anni fa, in un modo asso Ultamente casuale. Vivacchiava ad Asparetto, frazione del comune di Cerea, un modesto falegname, abilissimo nel riparare tavole e sedie, e anche qualche attrezzo agricolo. Si chiamava Giuseppe Merlin; è lui l'ingegnoso capostipite della numerosa e agguerrita dinastia. Un giorno del 1920 Merlin si vide presentare in bottega un tale: alcuni suoi mobili antichi, i tarli e l'umidità li stavano rovinando; aveva voglia di rimetterli in ordine? Giuseppe Merlin vi si dedicò con scrupolo; giunse al punto di rifare, servendosi dello stesso legno, alcuni pezzi più danneggiati degli altri. Li riconsegnò che erano irriconoscibili, sembravano usciti dalle mani dell'artigiano che li aveva costruiti tanti secoli prima. L'altro tornò qualche mese dopo con una scrivania malandatissima, e anche con essa Merlin non si limitò ad un'opera di restauro ma addirittura la rifece quasi tutta servendosi dello stesso legno tarlato e corroso. Ne risultò un gioiello, e l'altro soddisfattissimo ne parlò in giro. Alla bottega di Merlin cominciarono a presentarsi degli antiquari per rimettere in sesto mobili antichi, in un primo tempo. Poi gli chiesero di farne delle copie, provvedevano loro stessi a procurargli il legno, ricavato da vecchie cassapanche, da armadi non più riparabili, da tavole sgangherate. Merlin li demoliva, sceglieva i pezzi migliori, metteva insieme un mobile che veniva venduto come autentico, proprio dell'epoca; e poteva benissimo attribuirsi tale titolo. Di nuovo non c'era che la mano, ma era così abile e sagace, aveva così bene appreso i segreti di lavorazione e i pregi dello stile, che era come se un artigiano di due o tre secoli prima fosse rivissuto. Poi egli, aiutato dai figli, cominciò a produrre in proprio. Incettava mobili antichi e consunti, e li trasformava in mobili perfetti, vendendoli tuttavia come ricostruiti; incettava legni vecchi o stagionati, con essi costruiva cassettoni o armadi in stile Settecento veneziano — era quello in cui si era specializzato — che avevano le medesime finezze ed eleganze di quelli originali, vendendoli però per quelli che erano, imitazioni. La bottega di Merlin divenne un grande e attrezzato laboratorio con numerosi dipen denti, in gran parte ragazzi che da lui imparavano il mestiere. Nel '34 l'Istituto nazio naie del lavoro aprì ad Aspa retto una scuola artigiana, dotata d'una buona attrezzatura e diretta da un figlio di Merlin- I ragazzi però imparavano a eseguire passivamente la copia d'un mobile rimanevano ignari della caratterizzazione e della funzionalità dei vari stili. Nelle cascine dalle quali provenivano, gli allievi attrezzarono a poco aesdqnsAnazcsgscqLtvsvspc a poco dei piccoli laboratori, e la sera cominciarono a costruire mobili, incoraggiati dallo stesso Merlin, che li acquistava grezzi, li faceva rifinire dalla sua maestranza specializzata, e li rivendeva. Alla vigilia della guerra c'erano una quindicina d'imprese artigiane addette alla produzione del mobile d'imitazione, con circa 250 dipendenti. Gli stili preferiti erano il Settecento veneziano e i tre Luigi, XIV, XV e XVI, non trascurando però il neo-classico con in testa il Maggiolini. La qualità era pregevolissima. La guerra interruppe tutto. La ripresa del dopoguerra segnò il risveglio anche nel settore dei mobili d'arte della Bassa Veronese. Merlin e i vari artigiani cominciarono a darsi da fare. Dapprima lavorarono, come un tempo, per lui; ma a poco a poco si sganciarono, costruendo e vendendo in proprio. Nuovi artigiani si formavano continuamente. Quando avevano imparato il mestiere, gli operai attrezzavano un laboratorio nella cucina di casa, nello scantinato, nel cortile; fienili e stalle, sgomberati dal fieno e dai bovini, divennero laboratori. A Bovolone, a Cerea, a Sanguinetto, a Casaleone, a Bionde, e in altri dieci o undici paesi, sorsero imprese artigiane dedite alla produzione di mobili d'arte, o l'esecuzione completa o parte di essi. Parecchi abbandonarono il lavo¬ ro dei campi, trascurarono cascina e terreno, per occuparsi dei mobili d'arte. Famiglie intere, dai nonni ai genitori ai figlioletti, piallano verniciano impiallacciano intarsiano, con zelo febbrile, con furore. Molti vendono direttamente al cliente, altri invece preferiscono cedere tutta o parte della produzione a un grossista; altri ancora vendono agli antiquari, che non esitano a spacciarli per originali. Non sempre però i risultati qualitativi corrispondono al desiderio di far bene, perché la richiesta supera le possibilità produttive. E' il boom dei mobili d'arte, tutti vogliono la casa arredata dai mobilieri della Bassa Veronese, costruiti in solido noce o in robusto panforte. Ma talvolta la fretta di consegnare impedisce di usare il legno a un buon grado di stagionatura. Qualcuno si è ora preoccupato di disciplinare tecnicamente e artisticamente questa produzione che sa d'improvvisato e di tumultuoso. Da otto mesi è in funzione l'Istituto veneto del mobile d'arte, col compito d'istruire i giovani in modo da formare ottime maestranze qualificate e specializzate. E si discute in questi giorni l'opportunità di costituire, con criteri più ampi e in sede regionale, l'Ente del mobile d'arte, con sede, ovviamente, a Verona. Giuseppe Faraci