Roberto Devereux di Donizetti al San Carlo dopo cento anni

Roberto Devereux di Donizetti al San Carlo dopo cento anni Roberto Devereux di Donizetti al San Carlo dopo cento anni Una vicenda tragica, ambientata nel regno di Elisabetta I d'Inghilterra - L'opera diretta da Mario Rossi (Nostro servizio particolare) Napoli, 2 maggio. (a.l.) Desiderosi di rispondere alle sollecitazioni della cultura, e d'altra parte neces sitati ad ampliare il repertorio teatrale, alla cui gradevolezza i contemporanei operisti provvedono scarsamente, i soprintendenti, i direttori artisti- ci, si volgono ancora una voi- ta ai grandi del passato e cercano fra i melodrammi ell'Ottocento quelli non più rappresentati, per il cangiamento del gusto o per le difficoltà dell'esecuzione, e tuttora meritevoli di ricordo. Indotto da tali considerazioni, il soprintendente del San Carlo, Pasquale Di Costanzo, che con rappresentazioni di opere nuove e antiche ha molto promosso il rinnovamento della cultura del pubblico ■ apoietano, trae ora dall'obblio una delle partiture di Gaeta 110 Donizetti, che pur fu accla- mata in Italia e fuori, Rober- t0 Devereux. Un'altra cagione della sceUa di quest'opera è l'essere stata composta espressamente per il San Carlo, co- me soleva accadere el tempo in cui gli impresari nelle maggiori città impegnavano direttamente i compositori. Autore di molte r pplaudite opere, fra le quali la Lucia di Lammermoor, 1835. Donizetti fu invitato dal famoso teatro napoletano a fornirne una ;r la stagione invernale del '37'38. Chiese ancora "n libretto al fecondo Cammarano. e ne ottenne quello che, derivato dalla tragedia Elisabeth d'Angìeterre di Jacques Ancelot, intrecciava aspre passioni e truci vicende di persone e di ambienti storici. Protagonista è in fatti il Conte di Essex, cioè Roberto Devereux, il valente guerriero, devotissimo alla regina Elisabetta, figliuola di Enrico Vili e di Anna Bolena, e da lei amato. Ma al desiderio di lei, facile alle intemperanze, il Conte non corrisponde, essendo fedelissimo alla damigella Sara, e da lei riamato. Partendo per una spedizione guerresca, ebbe dalla Regina il dono d'un anello, che in ogni pericolo gli avrebbe- assicurato la protezione di lei, e da Sara la promessa dì perenne fede. Tornando vittorioso, Roberto è accusato dai Pari di troppa clemenza verso i nemici, e processato. Elisabetta, che invano ritenta d'esser amata da lui, non interviene a salvarlo, malgrado l'intercessione del Duca di Nottin gham, amico di Roberto. Questo Duca aveva potuto, duran te l'assenza di Roberto, co stringere Sara a sposarlo. Di ciò informato dalla stessa Sara, Roberto indulge, e per mostrarle immutata la sua devozione, le affida il prestigioso anello della Regina, ac cogliendo in cambio una sciar pa trapunta da lei. E' appunto la vista di quell'oggetto che rivela al Duca la relazione della consorte con Roberto, e lo incita alla vendetta. Egli impedisce a Sara l'invio dell'anello al condannato. La sentenza di morte viene attuata. Elisabetta abdica. Le lettere di Donizetti, nell'estate del 1837, ai suoi amici pietosamente attestano il suo profondo turbamento per la morte della moglie e d'un figliuoletto, e per la ripulsa della sua aspirazione alla direzione del Conservatorio di Napoli. Grave, dunque, lo stato dell'animo. E' per altro da osservare che il languore della genialità ed i manierismi nella stesura appaiono qui affini a quelli in molte altre sue opere men felici. Il difetto maggiore, come hanno ammesso i più schietti studiosi di Donizetti, sta nella scarsa individualità drammatica dei personaggi. Malgrado le proposte del libretto, le passioni di Elisabetta e di Sara, di Roberto e di Nottingham, non prorompono angosciose e veementi, ma soltanto superficialmente s'agitano, appena distinte. In pochi pezzi l'una o 1 altra persona pare determinata nei suoi sfoghi. E uno dei più vigorosi è il terzetto « Ecco l'indegno », nel quale si intrecciano i diversi sentimenti di Elisabetta, di Roberto e di Nottingham. Un altro è l'invettiva di Elisabetta: « Va, la ritorte sul capo ti pende ». Alquanto stanca risuona l'aria < Come uno spirto angelico », che ebbe fortuna anche nei salotti. Benché frettolosa, come in altri casi, la stesura reca talvolta elementi singolari. E' notevole per esempio il mutamento di convenzionali recitativi in ariosi, e l'accento vibratissimo dei recitativi concordi con intensi procedimenti armonistici. Anche è pregevole che il virtuosismo non aggravi la vocalità, quanto nella Lucia, e che più d'un moto orchestrale rifletta l'espressione del momento drammatico, come nella funebre introduzione al terzo atto. Rappresentata nell'ottobre del '37, nel San Carlo, l'opera fu ripetuta in cinque stagioni consecutive, poi nel '55, nel '58, e mai più dopo il '65. Sarà questa rievocazione una resurrezione? Essa è stata affidata alla direzione del maestro Mario Rossi, di cui i torinesi bene apprezzano la competenza e 11 fervore, e che nulla ha trascurato allineile i pregi adeguatamente risaltassero. Allo spettacolo ha provveduto Margherita Wallmann, nobile e colta regista. Fra i solisti spiccavano Leyla Gencer, Ruggero Bondino, Piero Cappuccini, Anna Maria Rota. Tutti sono stati calorosamente applauditi dal pubblico. Molti festeggiamenti sono stati tributati in particolare al maestro Rossi.

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