Vivaci contestazioni all'affittacamere che ospitò il Ferrari e il Mattei, i due amanti della vedova

Vivaci contestazioni all'affittacamere che ospitò il Ferrari e il Mattei, i due amanti della vedova UIM PICCANTE RETROSCENA AL PROCESSO PEL «BITTER» Vivaci contestazioni all'affittacamere che ospitò il Ferrari e il Mattei, i due amanti della vedova E' Giuseppina Pallavera, che un mese fa si diede malata per non deporre - Subito la teste nega tutto - Ma l'imputato interviene: «Mi affittò una stanza e le versai cinquemila lire. Poi seppi che ricattava la Lualdi minacciando di rivelare la tresca» - La donna protesta: «Non è vero. Si incontrarono una volta sola, nell'anticamera» - Interrogato il "detective** che indagò sugli amori segreti di Renata Lualdi e affermò: «La donna e il Mattei coabitavano» - L'inchiesta gli era stata ordinata dalla moglie del geometra Giuseppe Mattei (Dal nostro inviato speciale) Imperia, 6 aprile. « Quel bitter l'ho spedito io... ». « Quel bitter l'ha spedito mia cugina... ». « Le assicuro, signor presidente, che la spedizione del " bitter" avvelenato all'indirizzo del signor Tino Allevi in Arma di Taggia è stata effettuata dal mio padrone di casa... ». Moltissime lettere si sono ammonticchiate in questi giorni di riposo pasquale sul tavolo del presidente della Corte d'Assise d'Imperia, dott. Pietro Garavagno: almeno dieci — egli ha dotto stamane, alla ripresa del processo — sono di persone che annunciano d'avere essi stessi spedito quella bevanda avvelenata all'indirizzo della vittima. Peccato che preferiscano tenersi nell'ombra dell'incognito. « Sono tanti e da tutte le città d'Italia — ha detto il presidente. — Potrebbero riunirsi in cooperativa ». Ogni processo celebre, e misterioso in qualche suo aspetto, scatena le fantasie, gli esibizionismi, la dilettantesca passione per la scoperta del bandolo inutilmente ricercato per tanti mesi. Nulla da meravigliarsi, dunque, di questa « leva » di speditori improvvisati di « bitter » e di solutori del « giallo », in incognito. Ma, tra le tante lettere, il presidente ne sceglie una, che ha il nome e il cognome del mittente, e anche l'indirizzo. Si tratta, ahimè, d'un detenuto, e sappiamo che le carceri sono vivai di testimoni volontari dell'ultima ora. Presidente — C'è un detenuto, Paolo Nocera, torinese, che scrive dalle carceri di Treviso dicendosi disposto a testimoniare sii un episodio che potrebb'essere interessante. Mentre il Nocera era detenuto nelle carceri di Sanremo, egli avrebbe parlato due o tre volte, attraverso la finestra, con Renata Lualdi. Costei, lo avrebbe pregato di avvicinare il Ferrari, che era detenuto in quelle medesime carceri. La Lualdi avrebbe prenato il Nocera di dire al Ferrari che si decidesse a confessare: in compenso, lei, la Lualdi, lo avrebbe aiutato in tutti i modi... Che vogliamo fare di questa lettera? Chiamiamo il Nocera a testimoniare? P. G. — A me, quest'episodio non dice proprio nulla... In ogni modo, si potrebbe incominciare a chiedere alla Lualdi se sia vero che parlò con un detenuto, in quei giorni. L'avvocato di parte civi le, Bruna, rompendo il lungo silenzio che si è imposto per tante udienze, allarga le braccia con un gesto sacerdotale ed esclama: « Per me, non ho nessuna difficoltà » Ma la signora Lualdi non è in aula, e il presidente, al lora, d'improvviso, gira la domanda a Renzo Ferrari che con uno scossone s'alza dalla sua panca, tutto insonnolito e di pessimo umore Presidente — Nocera, Paolo Nocera... le dice nulla, Ferrari, questo nome? Conosce, ricorda d'aver conosciuto, nel carcere di Sanremo, un detenuto che risponde al nome di Nocera? Ferrari — No, questo nome non l'ho presente. No, nessun detenuto mi ha mai riferito nulla da parte della Lualdi. No, nessuno m'è ve nuto a dire che avrei dovuto confessare... Presidente — E va bene, allora riprendiamo la nostra indagine... Non è cambiato nulla, in somma: il processo, dopo undici giorni di riposo, rico mincia sulle stesse posizioni che aveva in partenza. E ricomincia, press'a poco, sugli stessi temi che avevamo lasciato in sospeso fin dalle prime udienze, quando arri' vavano sul pretorio le amiche, le confidenti di Renata Lualdi, coloro che ebbero in mano, poco o tanto, qualche filo dell'intrigo amoroso che fa da sfondo alla vicenda. Giuseppina Guzzetti vedo va Pallavera alloggiava, ad Arma di Taggia, nello stesso stabile abitato dalla fami glia Allevi: al piano di so pra. per la precisione. E poiché la vedova Pallavera aveva nel suo appartamento un vano disponibile, ecco che lo mette prontamente nel gioco, fittando questa stanza ora al Ferrari, ora al Mattei, il « terzo uomo » della tresca. Quando Giuseppina Pallavera fu convocata la prima volta, circa un mese fa, si diede malata, ricoverata in ospedale per spondilite: il presidente mandò carabinieri ad indagare, scopersero che si trattava di spondilite diplomatica, o meglio giudiziaria: fu ordinato alla Pallavera di presentarsi volente o nolente in aula. Ed ora è qui, stizzita, brontolante, ben decisa a non farsi strappare nulla dalle labbra — labbra molto tinte — come già le riusci in istruttoria. Giuseppina Pallavera — Io, questo Ferrari, l'ho vi sto una volta soltanto; se lo rivedessi per la strada non 10 riconoscerei neppure! Fu la Lualdi che, una volta, pregò di ospitarlo. Presidente — Sicché, non s'incontrarono mai, in casa sua, la Lualdi o il Ferrari? Pallavera — No. Presidente — Oh, signo ra, noi ne sappiamo più di lei! Perché non dice la verità? Pensi che su questo episodio, cosa strana, sono d'accordo tutt'e due, sia la Lualdi sia il Ferrari. Ci di ca: in che occasione ospitò 11 Ferrari? Pallavera — Non mi ricordo più nulla. Il presidente attacca una paternale in piena regola: « Non ci vorrà dire che il Ferrari e la Lualdi se lo so no inventati quest'incontro a casa sua? Io la debbo esortare in modo tutto speciale, signora, a dire la verità. Già in istruttoria, lei rimasta molto titubante. Ma qui siamo al processo, lei ha giurato... ». Infine, si viene a sapere che un giorno, nell'estate di tre anni fa, la Lualdi andò dalla Pallavera per pregarla di dare ricetto a un signore che sarebbe venuto a trovarla cercando di lei... Non disse proprio « un signore »; ma « un dottore di Novara ». Quando questi si presentò, la Pallavera lo accolse, come d'accordo con la coinquilina e andò ad avvertire chi di ragione, la Lualdi. Ma la Lualdi aveva da fare, e al lora il Ferrari, che era stan co morto, si andò a coricare nella stanza disponibile di cui s'è detto più sopra. Pallavera — E' tutto qui Presidente — Eh, no! E l'incontro, perché non ci rac conta di quest'incontro? Pallavera — Non c'è stato alcun incontro! Presidente — Come, non c'è stato alcun incontro? Pallavera — No, signor presidente. L'indonvani mattina la Lualdi salì nel mìo appartamento (ma io ero nel bagno!), e il Ferrari era lì in anticamera: si videro, Due parole, e via! Presidente — Allora s'in contrarono! Pallavera — No, lo giuro! Fu, un incontro per modo di dire. P.G. — Forse la signora intende « incontro » in senso tecnico... (in aula si ride). La vedova Pallavera lancia uno sguardaccio al pubblico ministero, riaggiustandosi, nel folto dei capelli biondi, i tre pettini di foggia andalusa, splendenti di lustrini, che adornano la sua acconciatura. Il dott. Garavagno torna a indagare sull'affittacamere. Presidente — Il Ferrari, signora, dice d'aver saputo da lei, proprio da lei, che la Lualdi aveva dei rapporti con quel Giuseppe Mattei... Pallavera — Non è vero. Presidente — Lei, Ferrari, vorrebbe ricordare alla testimone ciò che la signora Lualdi diceva circa la Pallavera qui presente? Ferrari (in piedi) —Beh, di preciso non ho proprio presente... A quel che mi diceva la Lualdi, pare che le due donne fossero molto amiche. Diceva che andava spesso in casa della Pallavera, e che v'incontrava anche dell'altra gente... Insomma, avevano delle amicizie in comune, non so... Presidente — Com'è tortuoso e involuto, Ferrari! Lei ci disse cose molto gravi, nel suo interrogatorio: adesso non ricorda più? Perché? Ferrari — Ho detto che s'incontravano, in casa della Pallavera, la Lualdi con delle altre persone. Presidente — Chi sono queste persone? Ferrari — Non lo so. Presidente — Di che sesso ? Ferrari — Uomini. Presidente — Null'altro? Ferrari —- La Lualdi mi disse che la Pallavera la ricattava. Ma non so in che modo. Presidente (alla Pallavera) — Ha sentito? Che cosa risponde? Pallavera — Sono tutte bugie. Presidente — Pare, signora, che lei pretendesse dei soldi, se no minacciava di rivelare la tresca al si¬ gnor Allevi... La Lualdi le avrebbe consegnato dei mobili, per farla star zitta... Pallavera — Macché mobili! Due sedie stracce di vimini che se me le avessero regalate non le avrei nemmeno volute! Presidente — E un tavolino, sembra... Pallavera — Un tavolinetto... Me lo prestò il signor Allevi. Presidente (al Ferrari) — Lei pagò la stanza, Ferrari, alla signora Pallavera? Ferrari ( in materia di danaro, prontissimo alla risposta) — Cinquemila lire, signor presidente! Pallavera — No, lei mi voleva pagare, ma io rifiutai... Vede, signor presidente, io posso anche ospi tare una persona a casa mia, e non fargli pagare la stanza... E siccome la testimone s'impunta a dimostrare di non avere voluto in alcun modo accettare moneta dal veterinario che arrivava da Barengo, e il Ferrari a sua volta a ricordarle che quelle cinquemila lire gliele pagò, il presidente placa la piccola burrasca : « Bene, bene, non facciamone una tragedia: questa è una situazione ridicola, e noìi sarà su questo particolare che si deciderà il processo ». Si passa ad altro. La Pal- laverà è interrogata sulla sua amicizia con la Lualdi. Pallavera — Amicizia, amicizia... Ero amica degli Allevi. Ma quanto alla Renata, si guardò bene dal farmi le sue confidenze. Io, poi, signor presidente, di queste cose non mi sono mai interessata. La dichiarazione lascia in aula un'eco d'incredulità. Punzecchiata dal presidente, e dal Pubblico Ministero e anche dal giudice a latere, la testimone si decide infine a farci sapere che anche Giuseppe Mattei, il contabile del povero Allevi, ebbe ricetto nell'appartamento della Pallavera: una stanza, adibita a studio. Non sappiamo se fosse la medesima che ospitò il Ferrari. Sappiamo, soltanto, che per poco i due rivali non incrociarono i loro passi sulla testa, per cosi dire, del povero Allevi, nelle stanze ospitali del piano di sopra, auspice la vedova Pallavera. E con quest'ultima rivelazione, la testimone si congeda, impettita. Sull ' emiciclo sale poi Giampiero Galli, un uomo alto, con barba, impiegato al Distretto militare di Vercelli. Il teste è stato chiamato poiché durante una perquisizione in casa di Renzo Ferrari, al tempo delle indagini sul delitto, venne trovata una lettera scritta a macchina con i caratteri blu che assomigliavano molto a quelli della missiva del « bitter ». Ferrari in istruttoria dichiarò di aver rice vuto la lettera appunto dal Galli, e l'impiegato è stato chiamato a confermare questa circostanza. Il Galli prende in mano la lettera e dice: «Sì, l'ho scritta io stesso; si trattava di una comunicazione riguardante una richiesta fattami dal Ferrari nel 7.056; lui voleva che gli dicessi quale ente poteva rilasciar gli un certificato di appar tenenza alle forze partigiane, che gli sarebbe servilo per un concorso». S'interroga adesso il rag Enrico Villa, direttore dell'agenzia Faro di Sanremo Nella fase iniziale del dibattimento il vigile notturno Cane — colui che scrisse il primo verbale sulla vicenda •— narrò d'avere tenuto d'occhio la vedova Allevi, dopo il delitto, per incarico del suo superiore diretto, il rag. Villa, per l'appunto. Poiché la Lualdi, a suo tempo, aveva raccontato di essere stata pedinata, prima del delitto, tant'è vero che il Ferrari sapeva sempre tutto di lei e dei suoi movi¬ menti, si vuole ora sapere se la Faro ebbe qualche incarico in questo senso, e come lo portò a termine. Presidente — Prima del delitto, lei ebbe incarico di sorvegliare la Lualdi per conto di qualcuno? Rag Villa — No. Fu soltanto dopo la morte dell'Allevi: i difensori dell'imputato, gli avvocati Torgano e Moreno, mi incaricarono di seguire i personaggi della vicenda, e cioè il Paini, l'Allegranza, la Lualdi... Presidente —- Anche il Mattei? Villa — Anche il Mattei, ma in un secondo tempo... Nell'estate del 1963, la sorella e la moglie del Mattei mi pregarono di interessarmi alla condotta di questo uomo. Presidente — E che cosa risultò? Villa — Risultò che il Paini e l'Allegranza continuarono a frequentare la signora Lualdi per ragioni di interesse, per farsi liquidare. P. G. — Ha accertato anche qualche rapporto amoroso della Lualdi con il Paini o con l'Allegranza? Villa — Voci... Presidente — Se sono vo¬ ci, non hanno diritto di cittadinanza. Sentiamo che cosa seppe sul conto della Lualdi e del Mattei! Villa — Vìvevano, praticamente, in coabitazione! Presidente — Beh, a noi il Mattei ha detto che andava a consumare i pasti dalla Lualdi, dopo la morte dell'Allevi. Era un pensionante, insomma... Ciurlo — Risulta anche a lei che il Mattei fosse un pensionante della Lualdi? Villa — A me risulta che andava vestito con gli abiti del povero Allevi. Glieli aveva regalati la Lualdi. Perché l'Allevi e il Mattei avevano la stessa taglia... Aw. Moreno (difensore) — Che cosa le disse la moglie del Mattei, quando la venne a trovare per quell'incarico ? Villa — Vuotò il sacco. Presidente — Ci spieghi! Villa — Per esempio, disse che il mattino del 2C> agosto, quando giunse la telefonata della Lualdi che chiamava il Mattei ad Arma di Taggia dov'era mor to l'Allevi, il Mattei se la prese comoda, e nicchiò pa recchìo prima di decidersi a partire per Arma. In casa gli dovettero far premura: Ca e a a a « E vai, dunque, da quella donnaccia! ». Presidente — Si vede che qualcosa sospettava, su quella relazione... Villa — La signora Mattei mi disse che suo marito aveva perso la testa al punto che per correre dietro alla Lualdi s'era scordato anche dei bambini. Quando morì all'ospedale « Gaslini » di Genova il bambino, il piccolo Luigi, suo padre, il Mattei, lo andò a visitare una sola volta, in punto di morte... L'ultima pennellata è crudele, e getta una luce agghiacciante sulla coppia, che trescava alla faccia dell'Allevi e alle spalle del Ferrari. Il difensore, Ciurlo, chiede che sia ammessa la testimonianza del vigile Verna, dipendente del rag. Villa, il quale fu presente al colloquio di cui s'è detto e che dovrebbe confermare il racconto del suo capo. P.G. — Se viene il vigile Verna, facciamo venire anche la signora Mattei! E tanto per non lasciare perdere nessuna traccia, il procuratore generale dottor Sanzo chiede anche di riascoltare il segretario comunale di Barengo, il messo comunale Francesco Donna, il maresciallo comandante della stazione dei carabinieri di Momo Novarese, tutti per riferire intorno agli acquisti di carta da scrivere fatti dal Comune di cui il dott. Renzo Ferrari era vicesindaco. Chiede, inoltre, che siano chiamati a deporre tutti i fornitori di carta che ebbero rapporti di commercio con il municipio di Barengo. Un'operazione assai complessa, identificarli tutti : ma il rappresentante dell'accusa suggerisce il modo rapido e sicuro per venire a capo di ogni cosa. P.G. — Chiedo che l'incarico di compiere quest'indagine sui fornitori di carta sia affidata al capitano dei carabinieri Alberto Teobaldi. Ciurlo ("fingendo sorpresa, con ironia) — Oh, davvero? Non me l'aspettavo... Presidente — Il capitano Teobaldi è a nostra disposizione fino alla fine del processo. La Corte si ritira a deliberare! La Corte delibera : sia ammesso il vigile Verna, riascoltata la signora Mattei, incaricato il solerte Teobaldi delle nuove indagini sulla carta, al fine di spiegare arcano del foglio d'accompagnamento al « bitter » che somiglia, ma non è lo stesso foglio che il messo Francesco Donna avrebbe consegnato al vice-sindaco la vigilia del veneficio. Il capitano Teobaldi, prescrive inoltre l'ordinanza della Corte, riferirà sulle forniture di carta del comune di Barengo, specialmente quelle avvenute nell'anno 1962, e indicherà i testimoni che potrebbero essere utilmente ascoltati. Gigi Ghirottì qtalcmdcMumdg L'affittacamere di Arma di Taggia Giuseppina Pallavera ed Enrico Villa, direttore di un'agenzia investigativa di Sanremo, ieri in aula ad Imperia (Tel. Moisio) Un atteggiamento del dott. Renzo Ferrari al banco degli imputati durante l'udienza di ieri (Telef. Moisio) Il testimonio vercellese Giampiero Galli durante la deposizione (Tclefoto Moin-