Rottura di Ferdinando Vegas

Rottura MOSCA E PECHINO Rottura La spaccatura in due del movimento comunista mondiale è oggi un fatto consumato, irreversibile. Suslov, l'ideologo ufficiale sovietico, l'ha constatata e consacrata nel suo rapporto del 14 febbraio al Comitato centrale del pcus, pubblicato per intero l'altro ieri su sette pagine della Pravda. I cinesi, è detto nel documento, si contrappongono al movimento comunista nel suo complesso, « su tutte le questioni fondamentali della sua strategia e della sua tattica ». La previsione di Suslov è quindi che « davanti a noi sta una lotta serrata e, a quanto sembra, lunga, per consolidare l'unità di tutte le forze socialiste, per l'amicizia e la collaborazione fra i popoli sovietico e cinese ». Anche Kruscev, a Budapest, ha affermato che « la lotta contro questa eresia sarà molto difficile, ma alla fine l'u nità dei paesi socialisti ne risulterà consolidata ». Temiamo fortemente che le speranze di Suslov e Kru scev siano destinate a non realizzarsi. Un'eresia è sem pre molto difficile da rias sorbire; più che mai quan do è sostenuta da una «chiesa» così numerosa e poten temente organizzata quale il partito comunista cinese E col partito, inestricabilmente fuso, sta lo Stato, la gigantesca Repubblica po polare cinese ; sicché la f rat tura è insieme ideologica e politica, questione di impostazione dottrinaria e di po tenza nazionale e internazionale. Semplificando all'estremo, si può dire che il fulcro del dissidio è ideologico, purché si intenda questo termine in senso concreto, pratico. La politica dei partiti e dei governi co munisti, cioè, non può non trovare la fonte prima di ispirazione nell'ideologia del comunismo: solo che Mosca e Pechino, dal '50 circa, la interpretano in maniera sempre più divergente, ormai antitetica. Il problema centrale è chiaro nell'enunciazione: quale linea generale il movimento comunista internazionale debba adottare nell'attuale fase storica per raggiungere il fine, che rimane sempre, per i sovietici ed i cinesi, la vittoria sul capitalismo e l'imperialismo. Questa vittoria, naturalmente, segnerebbe anche il trionfo della potenza sovietica e cinese. La divergenza comincia nella valutazione della situazione e quindi delle opportunità che essa offre al comunismo, sia nell'Occidente capitalistico sia nel mondo ex coloniale e sottosviluppato. Per Mosca, sul piano internazionale la situazione è dominata dalla realtà atomica, che rende la guerra impossibile; d'altra parte, il comunismo si è talmente rafforzato che può giungere egualmente alla vittoria per via pacifica. Imboccare questa via significa: nei Paesi progrediti dell' Occidente (Italia, Frància) puntare sulla lotta parlamentare, sostenuta da forti pressioni di massa della classe operaia; nei Paesi sottosviluppati, appoggiare i movimenti di liberazione, evitando però l'« avventurismo » e contando soprattutto sull'esito positivo, alla lunga, della « competizione pacifica » tra il sistema capitalista e il socialista. Per Pechino, invece, l'atomica è una « tigre di carta»; salvo poi, come ha rivelato Suslov, ad essere i cinesi disposti a restare « senza pantaloni » pur di costruirla e ad accusare i sovietici dei peggiori delitti perché non hanno voluto fornirgliela. Che poi cinquanta milioni di italiani (non tutti capitalisti) o diciotto milioni di cecoslovacchi (a regime comunista) possano essere sacrificati nell'olocausto atomico, questo — secondo affermazioni cinesi riferite da Suslov — è secondario: «Altri popoli sopravviveranno e l'imperialismo alla fine sarà stato distrutto ». Non la lotta per la pace, dunque, è il primum per i cinesi, ma la rivoluzione mondiale, anzitutto quella dei popoli sottosviluppati. Poiché questi popoli sono in maggioranza afroasiatici, non hanno quindi tutti i torti i sovietici quan¬ e do accusano i cinesi di raz-tèzismo. I cinesi, insomma, stanno trasformando il movimento comunista in un generico estremismo rivoluzionario, in un indiscriminato appello alla rivolta dei popoli oppressi contro gli oppressori. E pure, a leggerle, le tesi cinesi appaiono più elaborate dialetticamente, più calzanti alla tradizione marxista-leninista, che non le battute contadinesche dell'empirico Kruscev. L'accusa di « revisionismo » ai dirigenti sovietici, la più atroce che si possa lanciare contro un comunista, al primo momento certamente colpisce. Ma basta riflettervi per vedere quanto sia infondata: il revisionismo dei Bernstein e dei Kautsky agiva all'interno delle strutture capitalistiche e finiva per diventarne strumento di conservazione, mentre la linea di Kruscev csastdetlss è sempre la linea di un bloc co di Paesi dove i comunisti sono al potere. Per rigido attaccamento all'ortodossia, i cinesi finiscono così col diventare eretici; e bene si meritano la duplice accusa di Suslov, di esser al contempo stalinisti (esaltazione del defunto dittatore, culto della personalità di Mao) e neotrotzkisti (estremismo rivoluzionario). Dove condurranno queste posizioni, quale sarà l'influsso dello scisma comunista sulla situazione mondiale, è per ora impossibile prevedere. Una conseguenza appare comunque molto probabile: che la Russia sarà spinta sempre più verso l'occidente, alla ricerca della pace e del benessere. Ricade così sugli occidentali il compito oneroso, ma suggestivo, di non sciupare un'occasione storica. Ferdinando Vegas a a

Persone citate: Bernstein, Kautsky, Kruscev, Mao

Luoghi citati: Budapest, Frància, Italia, Mosca, Pechino, Russia