Preoccupati gli industriali biellesi si teme una crisi nel settore tessile

Preoccupati gli industriali biellesi si teme una crisi nel settore tessile 4M lOBtBti: CONTENERE I COSTI PER LA CONCORRENZA STRANIERA Preoccupati gli industriali biellesi si teme una crisi nel settore tessile I primi sintomi: un lanificio di Vallemosso posto in liquidazione - Un gruppo di dipendenti costituirà una cooperativa per riattivare l'azienda - Il pensiero di Stefano Rivetti: l'organizzazione ancora artigiana aumenta i costi rendendo difficile l'esportazione (Dal nostro inviato speciale) niella, 3 aprile. E' squillato un campanello d'allarme. L'annuncio che il Lanificio Giuseppe Simone in Vallemosso viene posto in liquidazione e che 320 dipendenti rischiano di restare senza lavoro, suscita giustificate apprensioni in tutto il Biellese. L'episodio verrà forse risolto dall'iniziativa di un gruppo di dipendenti che contano di costituire una cooperativa per riattivare l'azienda e riassorbire duecento operai: sarebbe la prima cooperativa del genere che nasce nel Biellese; ma si teme che il caso di Vallemosso sia un sintomo di crisi che incombe sull'industria tessile e che avrebbe gravissime ripercussioni in tutta la zona. Nel corso di una breve inchiesta vedremo che la situazione è preoccupante, ma per ora non drammatica. Cominciamo col fare il « punto » con qualche dato statistico. I biellesi, gente pratica, amano le nude cifre che rispecchiano la situazione. Nella sede di uno dei bollettini che diffondono quotazioni, notizie di mercati e numeri indici, Germano Caselli sta consultando gli ultimi dati giunti da Roma. Ecco, per esempio, la produzione dei tessuti di lana che nel 1953 era indicata col numero base di 100: nel 1962 era di 128,28; nel '63 è scesa a 124,9; nel gennaio 1964 è caduta a 110,6. Vediamo le esportazioni: nel 1962 501.000 quintali di tessuti di lana; nel 1963 quintali 481.000; nel '64 sta ancora diminuendo. Per contro stanno aumentando le importazioni di tessuti che fino a qualche anno fa erano quasi nulle: nel 1962 26.800 quintali; nel 1963 31.422. Diminuiscono la produzione e l'esportazione aumenta l'importazione. Un brutto quadro per l'indù stria laniera biellese. Sentiamo i primi commenti alla situazione: molti industriali sono scoraggiati, i prezzi delle materie prime sono aumentati del 25 per cento, il costo del lavoro del 45 per cento in due anni, i bilanci delle aziende non hanno più margini per gli ammortamenti e il rinnovo dei macchinari, la concorrenza fa precipitare i prezzi a livelli inaccettabili. Altri osservano: l'esportazione è difficile, ma molti industriali non se ne curano, ci pensano soltanto nelle annate « morte » quando non riescono a vendere in Italia. La situazione non è disperata, ma lo scoraggiamento e il panico potrebbero avviarla al peggio. Sentiamo, ora, la diagnosi acuta della situazione fatta da un industriale di gran nome, il conte Stefano Rivetti che, spostandosi ogni dieci giorni dal nord al sud dell'Italia, dirige gli stabilimenti del Biellese e quello, nuovo, di Maratea nel lontano golfo di Policastro. Ci riceve nel suo ufficio: su una parete campeggia un grande ritratto del padre, Oreste Rivetti. « La situazione laniera biellese — ci dice — è caratterizzata da una crisi di passaggio dall'artigianato all'industria ». Finora ogni azienda ha prodotto tessuti di ogni genere: cardati e pettinati, classici e di fantasia, per uomo e per donna. Ogni azienda vuole presentare un campionario complesso, la cui creazione è estremamente costosa e blocca la produzione per due mesi. Tutte, poi, si dedicano alla fabbricazione del tessuto che ottiene il maggior successo, e ne risulta una concorrenza accanita che fa precipitare i prezzi, i quali non lasciano margini pei l'autofinanziamento delle aziende e i rinnovi di macchinari. Le difficoltà sono aumentate da un cambiamento avvenuto nei « canali di distribuzione^; dei tessuti: prima i grossisti presentavano ai compratori la merce valorizzando i nomi dei produttori che davano garanzia di qualità; ora i « confezionisti » procedono direttamente agli acquisti mettendo i produttori su un piano competitivo di prezzi non più remunerativi. pstdivuPmoogDlvpbsvltammdb«sdavCSap più difficile: i nostri prezzi sono più alti di quelli praticati all'estero. Dobbiamo diminuire i costi. « I salari italiani — nota il conte Rivetti — sono press'a poco uguali a quelli degli altri Paesi, ma forse all'estero è maggiore la produttività, ottenuta con una migliore organizzazione di " assegnazione di macchine ". Dobbiamo impegnarci in un lavoro di raffinamento dal vertice alla base: è un'impresa a cui devono contribuire dirigenti e maestranze ». Concludendo, Stefano Rivetti riassume in due punti le cause della diffìcile 3i tuazione : un'organizzazione ancora artigiana che aumenta i costi e non permette di esportare; la modifica dei canali di distribuzione (prevalenza dei « confezionisti » sui grossisti) che costringe le aziende ad accettare ordinazioni a prezzi non remunerativi. Un industriale della «nuova generazione», Alberto Cerniti, succeduto al padre Silvio nella direzione della azienda, condivide alcuni punti di vista del conte Ri vetti: « Finora — dice — abbiamo soltanto i sintomi di una possibile crisi. Le fabbriche lavorano, ma non più a piei.o ritmo; le difficoltà maggiori sono sentite dalle aziende che producono merce di media e bassa qualità, su cui la concorrenza lima i prezzi al massimo. Dobbiamo contenere i costi con una migliore organizzazione: quando vado all'estero constato io stesso che i tessuti costano meno che in Italia ». Il dott. Cerruti ritiene che molte aziende sono ancora vitali perché sono aziende familiari. Tradizione e prestigio inducono i dirigenti a insistere in imprese fondate dai loro avi, sebbene non diano più un reddito ragionevole. Sentiamo, poi, il parere di un rappresentante dei lavoratori, Remo Foglizzo, segretario aggiunto della Camera del Lavoro : « Ho fatto stamane un giro negli stabilimenti — ci dice — per controllare gli orari di lavoro. Finora la situazione non presenta caratteri di gravità, ma la tendenza non è ottimistica ». Le difficoltà, secondo lui, sono dovute ai processo in atto nell'industria tessile in generale e al problema della riorganizzazione e della introduzione di nuovi macchinari. Sono in corso le trattative per il nuovo contratto di lavoro e i punti di maggior contrasto sono quelli relativi all'* applicazione ai macchinari », cioè la maggiore produttività chiesta all'operaio affidandogli un maggior numero di macchine, e la difesa dei livelli di occupazione. L'introduzione di nuove macchine, sostiene, non deve ridurre il personale occupato. Il segretario Foglizzo accenna anche alla crisi del mercato finanziario che può creare imbarazzi nelle piccole e medie aziende, per cui è stato chiesto un diverso trattamento a queste e ai gruppi monopolistici. « Fra una settimana — con- elude — si riunirà la Com-missione provinciale per laintegrazione e si potrà ave-re un più chiaro sintomo della situazione se saranno chieste riduzioni di perso- naie». Nel Biellese, secondo i dati della Camera del Lavoro, vi sono 47 mila dipendenti di aziende tessili, 1500 dell'abbigliamento, 3000 dell'industria meccanica e 5000 edili. Queste cifre dimostrano la fortissima incidenza dell'industria laniera nel Biellese, che conta complessivamente 200 mila abitanti. Il capoluogo ha 52 mila abitanti e un tenore di vita fra i più sviluppati. Circolano nella zona 22 mila autoveicoli (uno ogni 10 persone) e 17 mila moto e ciclomotori. Complessivamente si ha un mezzo motorizzato ogni 5 abitanti. La rete telefonica comprende 10.250 numeri: un apparecchio ogni 7 persone. L'industria laniera' non ha praticamente fruito del « boom » degli anni scorsi : l'attuale temuta recessione,di cui compaiono i sintomi, intaccherebbe subito al vivo la moderata prosperità ragigiunta da Biella attraverso il tenace laborioso sviluppodella sua industria caratte-ristica. Ettore Doglio

Persone citate: Alberto Cerniti, Cerruti, Ettore Doglio, Germano Caselli, Giuseppe Simone, Oreste Rivetti, Policastro, Stefano Rivetti

Luoghi citati: Biella, Italia, Maratea, Roma