Stranieri alla scoperta dell'Italia

Stranieri alla scoperta dell'Italia Un campo da esplorare Stranieri alla scoperta dell'Italia Durante quattro secoli è andata accumulandosi una immensa letteratura di viaggio sull'Italia: di gran lunga la più ampia e interessante di cui disponga paese al mondo. Chiunque è appena interessato all'argomento, sa che manca una bibliografìa generale; che le quattro o cinque opere fondamentali, invecchiate e introvabili, sono dovute a studiosi stranieri; che i contributi italiani sostanziosi sono pochissimi. Giuseppe Prezzolini pubblicò, nel '33, un volume molto utile, Come gli Americani scoprirono l'Italia. Si trattava della prima metà di un lavoro, limitata al 1750-1850; la seconda metà, sebbene pronta, non è mai uscita, mi informò lo stesso Prezzolini, per mancanza di coraggio da parte dell'editore. Se si eccettua un numero ristretto di opere, lumini galleggianti su un mare di tenebra, il resto è di nessun aiuto, contribuisce, anzi, a disorientare. La partita sembra riservata a dilettanti, orecchianti, velleitari, che considerano la materia buona per fornire articoli a riviste turistiche. I nomi ricorrenti in tale sciatta, vuota pubblicistica, sono sempre gli stessi: Montaigne, De Brosses, Goethe, Stendhal, Chateaubriand; le teste più forti si spingono fino a Taine. Siamo al di sotto della petite hisioire, che almeno ha il merito di divertire; si passa da una rimasticatura all'altra, senza il minimo controllo critico, senza nep pure il tentativo di cogliere nessi, di distinguere, di coordinare. Si dà per scontata l'esistenza di un genere, la letteratura di viaggio, consistente in un accumulo di aneddoti di costume. Il risultato è che migliaia di opere, magari mai ristampate dopo la prima, introvabile edizione, mai tradotte, attendono di essere esaminate, classificate, immesse nella nostra cultura. L'impresa — da condurre in molti, seguendo un meto do comune — richiede tempo, pazienza, larghezza di mezzi; e c'è caso che, almeno in un primo momento, non rappresenti un successo commerciale. Ma una volta compiuta si vedrebbe di che importanza è per il nostro paese la serie sterminata di referti, di impressioni, di esami che, dalla metà del Cinmiecento a oggi, gli stra• nieri di passaggio o dimoranti nella penisola hanno messo insieme. * * Tali considerazioni mi ha suggerito la lettura di un volumetto di Angela Bian chini, pubblicato da Vallee chi con il titolo enigmatico di Spirili Costretti. Sebbene raccolga scritti d'occasione, l'opuscolo rappresenta uno dei rari esempi positivi nel campo di cui sopra s'è lamentata la povertà. « Spirti constretti », secondo l'esatta citazione ariostesca, sono le figure che la Bianchini rievoca, tutte più o meno alla ricerca di « incanti », per dirla sempre con l'Ariosto, per esse necessari. Si tratta, in buona parte, di donne; il paese ove «scrivere, riposare o dimenticare », è l'Italia. Si va da Lady Mary Worthley Montagli, nota alle cronache del nostro Settecento per i suoi trattenimenti e i suoi amori (specie quello per Francesco Algarotti), madre di Edward, uno degli avventurieri più singolari in un secolo che aveva in soprannumero fantastici ed impostori, a Marguerite Le Comte, concessa in usufrutto dal signor Le Comte a Claude-Henri Watelet, autore di un poemetto sulla pittura, ma soprattutto creatore di giardini all'inglese M'arrivo della coppia, a Roma, nel 1763. fu un avvenimento). E si va dalla signora Frances Trollope, madre anche lei di un figliolo famoso, Anthony il romanziere, leonessa in pensione su un colle fiorentino, verso la fine del secolo scorso, alla rigida, tormentata VVilla Cather, alla baronessa Frieda von Richthofen, l'« Ape Regina ., come la chiamava il suo compagno D.H. Lawrence, che qualcuno ancora ricorda scendere in via Tor- nCDpirnIedepgsctbdnle«imeJs nabuoni da villa Mirenda, a Caitlin Thomas, moglie di Dylan, che io stesso accompagnai in giro per Firenze, il giorno dopo il primo arrivo. L'interesse della Bianchini è rivolto a donne che in Italia cercano compimento, equilibrio, diciamo felicità: donne dagli occhi aperti, esperte di letteratura ma soprattutto di vita, che sanno giudicare il paese e scrivono su di esso con penetrazione, competenza, finezza. Il capitolo più impegnativo del libro, tuttavia, quello che fa desiderare una continuazione del lavoro, da parte dell'Autrice, nella direzione in esso segnata, è intitolato « Viaggiatori prima e dopo il diluvio » e ha come argomento principale le prime esperienze italiane di Henry James. * * Un diluvio, secondo il romanziere americano e alcuni suoi connazionali della stessa epoca, rappresentò l'ingresso degli italiani nella Roma papalina. Ebbe allora inizio una trasformazione che cancellò rapidamente caratteri, distrusse reliquie, abolì costumi che, inattuali com'erano, potevano dare un'impressione di eterno; venne meno quella « continua muta eloquenza » che rappresentava, secondo l'autore del « Ritratto di giovane signora », un perpetuo miracolo per chi sapeva percepirla, il « legame ideale», come dice la Bianchini, « tra tanti scrittori di allora e opere che dall'Italia trassero ispirazione ». Nel presentare una raccolta di lettere e diari dello scultore W. W. Story, vissuto a lungo a Roma, James scrisse: « Io ricordo soltanto l'ultimo inverno prima del diluvio (James arrivò a Roma, scendendo all'Albergo d'Inghilterra, in via Bocca di Leone, nel 1869) e di questo soltanto una parte; ma vi fu un tempo in cui, come se prevedesse il grande assalto die avrebbe dovuto subire, il grande cambiamento che sarebbe avvenuto, la maga dei sette colli si drizzò per la sua ultima comparsa, per il suo ultimo spettacolo, diciamo così, nel suo gran manto fulgido. Il Concilio ecumenico del 1S69, abbia o no definito cose importanti, diede almeno luogo ad un quadro perpetuo di grande varietà: la vasta e ricca tela in cui l'unità italiana dove- j va, per cosi dire, fare un i buco che non è stato più rattoppato. Oggi a Roma il \ buco è quasi più grande di qualsiasi altra cosa ci sia dato vedere, e la maggiore fortuna dei nostri predecessori consistette, in generale, nel non sapere che vi fosse un buco ». Fu davvero una fortuna ? L'affermazione ò opinabile. Ma il brano di James è da assaporare adagio, per riconoscere la complessità degli ingredienti che lo compongono; come adagio è bene leggere il libretto della Bianchini, delibando pagina dopo pagina, per apprezzare l'intelligenza ferma, sfumata, nutrita d'esperienza, capace di rendere lieve una scrittura tutta cose. Giorgio Zampa