Due insigni «maestri della realtà»: il fiammingo Permeke e Renato Guttuso di Renato Guttuso

Due insigni «maestri della realtà»: il fiammingo Permeke e Renato Guttuso UN LEGAME IDEALE ED ESTETICO UNISCE I DUE PITTORI LONTANI Due insigni «maestri della realtà»: il fiammingo Permeke e Renato Guttuso Non a caso il Guttuso ha dedicato un saggio critico all'artista belga, che per la prima volta (a dodici anni dalla morte) è presentato al pubblico torinese - Ma assai più vasto è il respiro dell'opera guttusiana: se ne può seguire la complessa evoluzione, attraverso oltre quattrocento pezzi, nella grande mostra allestita a Parma Realtà come categoria dello, Vspirito, non realismo comeìdespediente linguistico. E allo- dra non sorprenda vedete acco munati sotto il medesimo titolo un maestro straniero ormai scomparso da dodici anni, il belga Constant Permeke. (1886-1952) del quale in questi giorni sono esposte per la prima volta a Torino venti opere nella galleria «Narciso», ed un pittore italiano nel pieno della sua forza creativa, il cinquantenne Renato Guttuso, la cui imponente mostra ili 184 quadri, studi, disegni dal 1925 al 1963 allestita nelle riattate scuderie del palazzo della Pilotta a Parma, è uno dei grossi avvenimenti attuali della cultura artistica non soltanto nazionale. E tanto meno deve sorprendere l'accostamento se si tien conto che uno degli scritti critici inseriti nel catalogo dell'esposizione torinese, con pagine di Paul Fierens, Pierre Courthion, Maurizio Calvesi, è proprio del Guttuso, il quale, com'è noto, è anche eccellente saggista, di eloquio forte e concreto al pari del suo tocco pittorico. Nell'arte del suo predecessore fiammingo, egli individua due punti che ci paiono essenziali: l'autonomia della forza realistica che lo ha staccato dagli aspetti più consueti dell'espressionismo, sì che sono assurdi certi tentativi della critica moderna per farlo rientrare nella corrente di un generico c astratto >; e l'accento epico del paesaggio e < dell'uomo che ci vive dentro », il senso eroico di una umanità cupa e sofferente che il pittore belga ha saputo imprimere alle sue immagini. Prima ancora d'essere un grande pittore, Permeke — come il Van Gogh del periodo olandese — è una grande forza morale che non si rassegna e non accetta La sua umanità il povero popolo di Laethercv Saint-Martin, contadini, pescatori gente che duramente fatica nell'esistenza quotidiana « si alza faticosamente dalla terra, si è fatta della stessa materia della terra >, e viene in mente l'infanzia del poeta acmtnpcuscdpgslaaèlas«cvctclstolnsltemgcifdmc Verhaeren «sous rles cienx d'auragan, de fumee et de cen die ». Si può pensare, insieme, al vigore di verità naturalistica del Courbet e per accostamento letterario alla religiosità del Claudel; ed è giusta la notazione del Calvesi: «I suoi personaggi non hanno una psicologia, ma soltanto un peso, una gravità costante». * * Quando Renato Guttuso scrive a proposito di Permeke che * il realismo è il contrario del verismo, del fotografismo passivo, ed c termine che riguarda, essenzialmente la visione, l'atteggiamento morale, il " punto di vista. " di un autore», è evidente che pensa a se stesso. Non per nulla egli è considerato in Italia il baluardo contro la tendenza astratta, l'intrepido e generoso campione di una pittura di « contenuto » che muove unicamente dalla realtà, che non vuol essere altro che realtà, con tutta la violenza dei sentimenti che indissolubilmente, con convinzione assoluta, la legano a una determinata posizione polìtica e sociale. Il picassismo che potè nutrirla al tempo di due quadri ormai celebri, Lo fuga dall'Etna (1939) e la Crocifissione (1941) — e se Giovanni Testori nell'ampio catalogo della mostra parmigiana che i testi suoi, di Roberto Longhi e di Franco Russoli trasformano in una compiuta monografia critica, può affermare che La fuga «è chiaramente il primo quadro europeo che faccia i conti con Gtiernica », dipinto del resto appena pochi mesi prima, ci sembra d'altro canto che le Ragazze di Palermo (1040) non sfuggano al la suggestione delle Demoiseiles d'Avignon, programma cubista a parte —, quel picassismo, diciamo, s'è poi tosto se non del tutto dileguato, perché ricompare ancora verso il 1947-48 nell'impaginazione guttusiana, almeno depurato d'ogni gioco formale e del funambolismo spirituale e figurativo che caratterizza il gran « malagueno ». Dopo quel capolavoro del '42 ch'è la Donna alla finestra, la x , a i o, o e o o n a i a i n à, e, a i i i roe e e », hi o al iuie ro e o uun 2 a coerenza stilistica è infatti as-nsoluta, e l'equilibrio forma-j tcontenuto diviene costante e iTperfetto rendendo possibile la|lrappresentazione e la comuni- jq(•azione. Ogni residuo della po-|slemtca di «Corrente», se pur sGuttuso possa essere annesso a questo movimento (e ne dubita Testori), è superato, talché volendo Longhi elogiare l'immenso « telerò » La Spiaggia (1955-56), <; uno dei quadri più ambiziosi, ma anche gturcsspiù coraggiosamente meditati |pdella pittura moderna dopo 1 zLa Grande .latte di Seurat * non è alle tele sovversive di' Picasso che immagina averi fatto cenno il suo amico Guttuso, bensì « verso l'antico Si-1 gnorelli protocubista di Orvie- j to o con la volta di Michelangelo ». Quali dunque i veri maestri] di Guttuso nella sua scelta deij modi della figurazione natu-' ralistica, modi rischiosamente; scelti in posizione d'avanguardia « proprio perché non si prestano a suggestioni vaghe e a trucchi, perché impongono davvero un continuo e profondo lavoro di trasfigurazione e di controllo» (Russoli)? Alla lontana Cézanne, ma citiamo ancora il Longhi: «tu hai preferito .estringere il dialogo-a pochi antenati, tutti moderni di diritto, che da Goya a Géricault a Daumier a Delacroix aggredirono a loro rischio e pericolo discorsi e problemi di vita ancor oggi apertissimi e non punto risolti ». Problemi affrontati, dice il Russoli, « sino al limite della sfida veristica e retorica»; oppure, aggiungiamo noi, aggirando il grave ostacolo del racconto popolaresco-patriottico (negli smaliziati tempi nostri!), sì da trasformare La battaglia di Ponte Ammiraglio (1952) in una specie di grandiosa « image d'Epinal»; che il tema, diversamente tratta to, avrebbe potuto trascinare iimilLFlupivshcltdisdMvnspccsvtil pittore ad un ottocentismo] valla Fattori o, peggio. all'In-1 sduno, mentre l'espediente nonidera stato necessario, due anni|fdopo, per il Boogte-Wooi/ic. ]VRomantici e realisti france- tsi, d'accordo; ma non dimen-ls ielleremo, in un Guttuso ma-1 turato appunto negli AnniiTrenta, la seconda ondata del-i'espressionismo tedesco. E' su! questo fondo che fermenta >. sUa moralità umana ed arti-1 stiea, il suo mai smentito « en- gagement » pittorico, quello tragico ed atroce del Gott mit uns. 11 terreno si fa allora terribilmente infido, perché è facile trascendere, e l'enfasi rischia di prender la mano. Non sempre vi si sottrae Guttuso, per ercessi gratuiti di violenza rìi passione> cne si rinet. tono persino nelle nature morte, e traboccano poi nei quadri di figura Donna col drappo bianco. Piccola stiratrice, La discussione politica, Comizio, fra il '60 ed il '62 E' un periodo recente, e perciò un poco inquietante. Basterebbe un ulteriore cedimento a tentazioni più o meno « populiste ;> (che se mai devono esser sorvegliate dallo sti-l le) per compromettere la superba evoluzione d'uno deil maggiori pittori italiani. mar. ber.

Luoghi citati: Italia, Laethercv, Parma, Ponte Ammiraglio, Torino