VERGA

VERGA VERGA Nel primo Novecento, quando splendeva alto nel cielo letteràrio italiano il sole di D'Annunzio, c'erano ancora molte fandulie che lacrimavano leggendo la Storia, di una capinera e Tigre reale di Giovanni Verga. Tutte e due le storie ci commuovevano, quella della fanciulla soave e angelica, sacrificata agli interessi familiari e rinchiusa in convento per la vita e quella della donna fatale di nonie Nadia, bellissima russa divoratrice di uomini, oggetto delle più turbinose passioni, che alla fine si sacrificava, lasciando l'amante alla moglie e andando a morire lontana. Era il Verga della prima maniera. . Ma anche le opere della seconda maniera erano già state pubblicate: le magnifiche novelle, / Malavoglia e Mastro don Gesualdo. E anche queste ti prendevano il cuore, questi più che mai erano tesori di emozioni, di fantasticherie, di lacrime segrete, di un'ammirazione che diventava amore, doloroso amore. (Parlo sempre, s'intende, di giovani lettrici). Ma in libreria quei volumi non si vendevano. Si vendevano costantemente quelli di D'An nunzio e, freneticamente, le. prime novità di Guido Da Verona. Ma Verga no. Perché mai? Che altri grandi scrittori come, ad esempio, il De Marchi, fossero messi in ombra dal fulgore dannunziano, lo capivo, ma per Verga non mi rassegnavo. Almeno I Malavoglia: un capolavoro! Ricordo che una volta, parlandone con Tina Di Lorenzo, che era non soltanto una brava attrice, ma anche una donna intelligentissima, non priva di amenità < lei disse seller¬ ai umorismo, zando: < Dev'essere per quel titolo cosi poco incoraggiante: / Malavoglia...*. Sia come si sia, Verga era il nostro grande amore letterario E non ci consolava il pensiero che, col passar del tempo, sarebbe stato innalzato nella sua giusta luce e sempre più apprezzato. Che questo sia avvenuto ne testimone, fra l'altro, un volume bellissimo appena stampato dalla casa editrice Utct nella grande collezione diretta da Nino Valeri, La vita sociale della nuova Italia: Verga del giovane scrittore fiorentino Guido Cattaneo, che ha messo in quest'opera, non solo la sua- cultura e il frutto di diligenti e scrupolose ricerche, ma anche quel palpito, quella passione, quel sènso di nostalgia ^"struggente, che non può" mane are quando si tratta dell'opera di Verga. E vediamo la vita di questo grande. Giovanni Verga nacque a Catania il 2 settembre del 1840. Il padre Giovambittista Verga Catalano e la madre Caterina Di Mauro erano gente distinta, possidenti, che avevano messo al mondo sei figli, di cui Giovanni era il maggiore. Abitavano nel bel palazzo di loro proprietà in via Sant'Anna, una via appartata, con case costruite fra il Sette e l'Ottocento, dai balconi con le belle ringhiere panciute di ferro battuto. Belle stanze, bei mobili, un'infinità di libri ben rilegati, un ambiente ricco ed elegante. Ma cominciavano allora i tempi agitati, quelli del risveglio politico siciliano. Nel '60, quando Garibaldi conquistò la Sicilia, i fatti più gravi accaddero proprio nella provincia di Catania, con la ribellione dei contadini a cui era stata promessa la terra e che la volevano : uccisioni, saccheggi, violenze d'ogni sorta. Verga aveva vent'anni e s'arruolò nella Guardia Nazionale, dove rimase quattro anni. Aveva già fatto un po' di giornalismo e scritto alcuni romanzi molto giovanili. Ora scriveva La peccatrice, to manzo molto ardito, e glie lo stampò l'editore Negro, di To rino. Non si sa bene quando lasciò Catania per andare, a Firenze, comunque era il tempo di Firenze capitale e si conduceva nella bel la città una vita brillantissima. Il giovane non aveva l'aria di un provinciale, era alto, sottile, elegante, con un viso dalle fattezze regolari e gli occhi pieni di espressione. Insomma un giovane affascinante, solo un po' delicato di salute, ma ciò non toglieva nulla al suo fascino, anzi. Conduceva una bella vita, quantunque i suoi, non più ricchi come prima, non potessero provvederlo di molto denaro, del resto egli stesso era restio a spendere e poi era un figlio esemplare e prima di tutto nel suo cuore c'era la sua famiglia. E ci fu sempre. Fu a Firenze che, frequentan do la casa del famoso patriota e scrittore Dall'Ongaro, conobbe la signorina Giselda Fojanesi che doveva essere un.. suo grande amore. Aveva diciott'anni la si gnorina Giselda, era una bella ' brunetta, vivacissima e spiritosa, aveva appena conseguito il diploma di maestra elementare, ma mirava a studi più alti. Probabilmente i due furono attratti subito l'uno verso l'altra, ma Verga non lasciò trapelare nulla, riservassimo c chiuso co m'era nelle sue faccende di cuo re e come sempre fu. E poi ormai era deciso di tornar? a casa, non avendo trovato in .Firen¬ st ze quei vantaggi che forse sognava. Ma, cosa curiosa, nel viaggio di ritorno gli furono compagne la Giselda e sua madre. La ragazza, richiesta di andare a insegnare in un istituto' di Catania, si era impuntata contro la volontà del padre che non voleva saperne di vedere la figlia lasciare la casa per andare a lavorare nel mondo. Per lui era un vero dolore. E poi che bisogno c'era? Ma Giselda era già una di quelle ragazze ardite che volevano vivere la propria vita. Mal glie ne incolse, povera creatura, perche a Catania l'aspettava il matrimonio col poeta Mario Rapisardi, che fu uno dei matrimoni più sbagliati e più infelici del mondo. Intanto usciva la Storia di una capinera... ' Da Catania Verga questa volta spiccò il volo per Milano. Era il novembre del 1872. Erano i tempi del salotto della contessa Maffei, delle prime opere di Verdi, dei concerti di Franz Liszt in fuga romantica con la contessa. Maria d'Agoult, del Lohengrin dato per la prima volta alla Scala e della Scapigliatura milanese con Boito, Praga, eccetera. Anche qui Verga era giudicato bellissimo giovane dall'aria fatale, apprezzato in società per il suo fare riservato, misterioso, non meno che per l'eleganza squisita del suo sentimento artistico. Dicevano che aveva delle avventure... ma lui non ne parlava... Erano usciti Eros Eva Tigre reale. E poi le novelle, i Malavoglia Mastro don Gesualdo... E Giselda? Da dieci anni non si vedevano. Verga l'incontrò un giorno a Firenze dov'era di passaggio, tornando a casa. E seppe subito quant'era infelice. Una esistenza inaudita col marito poeta stravagante tiranno e geloso, a cui capitava perfino di tirare una scarpa in faccia alla moglie o di adoprare su di lei un frustino, per poi spasimare in ginocchio chiedendo perdono. E c'era una suocera terribile, i parenti ostili, il paese estraneo... Nell'81 di nuovo a Milano dove c'era l'Esposizione, Verga nella grande amicizia con Boito, Giacosa, la Duse e altri, pensò al teatro allora in gran voga 1 ridusse ad un atto la sua cele bre novella Cavalleria rusticana. L'estate del 1883, Verga era Catania. L'estate, l'autun La realtà-era che si incontravaUche la scinrilÌalno e il principio dell'inverno... pssSqgsncsdsmzscon Giselda e,, d'amore era finalmente scoccata? due si incontravano, si amavano, e quando non potevano vedersi si scrivevano lettere d'amore appassionate non solo, ma anche di fervida amicizia. Giselda aveva ingegno, voleva scrivere, e Verga l'aiutava in tutti i modi. Una di quelle lettere capitò nelle mani del marito che cadde in un accesso di ira furiosa. Lui e la madre insieme cacciarono Giselda di v.jsa su due piedi, dandole soltanto i soldi per il viaggio, perché tornasse a casa a Firenze. Verga, avvertito, aspettò invano per più giorni i padrini del poeta, ma poi vedendo che non comparivano, partì prima per Firenze a consolare Giselda,- poi per Torino dove, la sera del 14 gennaio del 1884, fu rappresentata al teatro Carignano la sua commedia Cavalleria rusticana recitata dalla Duse. Come si sa fu un trionfo. E Giselda? Praticamente era tutto finito, ma lui le fu sempre amico e non l'abbandonò mai. Ebbe una lunga vita Giselda e la dedicò tutta al lavoro e all'insegnamento, traendone guadagni e onori. Al termine di quelle esperienze forse all'amore non pensò più. Dopo il 1893 cominciò la sistemazione a periodi sempre più lunghi a Catania. Da allora, Catania e non Milano — scrive il Cattaneo — fu per lui, in misura crescente, la mèta, il luogo ideale per vivere. Si esaudiva cosi « il desiderio della casa e del paese natio » tanto più gran de quanto più il Verga si sentiva invecchiare. Dalle esperienze continentali, lo scrittore aveva ricavato, nonostante tutto, una somma di delusioni che aveva finito per pesare più di ugni acquisto positivo, date le sue disposizioni a sentirsi sempre defraudato e le inclinazioni al pessimismo. Ma al di fuori di certi risentimenti, era rimasta ferita Uendette mtte,.;net^fif5aS(t^Vllnil^«n-^iiuLlw.^u<^4i4,^«^nm^ profondamente la coscienza di un artista che aveva aspirato giustamente alla grande affermazione e non era riuscito a ottenerla per l'immaturità dei tempi. Di qui il ritiro dignitoso e il silenzio ostinato e superbo ». C'era ancora una donna nella sua vita: la contessa Dina di Sordevolo, una dama torinese che abitava a Milano. L'aveva conosciuta a Roma, nel 1881, quando lei aveva vent'anni e lui già passava i quaranta. Lei era sposata... Dei primi dieci anni della loro relazione non si sa nulla. Lei rimase vedova nel '91, ci fu allora tra loro una certa freddezza, cagionata forse dal fatto che la contessa voleva essere sposata e Verga rifuggiva dal matrimonio come pochi. Il silenzio fra loro.durò due anni, ma poi, dal '96 la corrispondenza riprese, un vero fiume di lettere ardentissime. La contessa aveva delle velleità artistiche, suonava bene il pianoforte e dipingeva miniature. Come già con Giselda egli non risparmiava nulla in fatto di raccomandazioni e anche di aiuti materiali a ogni momento eran doni di frutta, di dolci e perfino di stivaletti, inoltre alla fine le passava anche cento lire at mese. La vecchiaia di Verga non fu serena. Legato com'era alla famiglia, ogni avvenimento men che lieto: affari, raccolti, figliolanze, malattie e le altre vicissitudini delle famiglie numerose, si ripercuoteva dolorosamente nel suo cuore. Le terre non rendevano più, il lavoro non procedeva. Egli scriveva sempre agli amici che lavorava intorno alla Duchessa di Leyva, che doveva compiere con i Malavoglia e. Don Gesualdo il ciclo dei Vinti, ma in realtà l'opera non fu compiuta. «Sono qui a domicilio coatto — grida all'amica — malgrado il caldo, i malanni e tutto il resto. Non ho più la salute, né la gioventù, né denari. Che cosa volete che faccia e dica? Se scrivo queste cose a voi, la sola, dovete comprendere e scusare, senza accusarmi d'altri torti, né immaginarne d'altri a voi. Bruciate queste righe-che mi bruciano* la penna e dite solo': è un uomo finito, ecco tutto.:. ». La contessa non bruciò né quella né le altre lettere e quando fu, nel bisogno.e Verga era mono il 24 gennaio, del ."22, le ? Ltruzida^^it^esomma di cinquemila lire.- Erano cinquecento! E cosi tutti poterono conoscere i gridi di amore e gémiti di . tristezza di Verga; quale ingiustizia per un cosi grande artista che per tutta la vita aveva con tanta dignità e tanto pudore nascosto il suo vero cuore, poiché, come scrive il Cattaneo, « egli poteva considerare l'opera d'arte in una necessaria perfetta indipendenza, nel suo cammino privo di intrusioni, in un distacco radicale dall'autore ». Carola Prosperi