Sarah Bernhardt

Sarah Bernhardt — DAI MIEI APPUNTI Sarah Bernhardt Leggo che in Francia si preparano commemorazioni e celebrazioni di Sarah Bernhardt. Ricordiamo anche noi* la famosa attrice, tanto più che io l'ho conosciuta personalmente. Mi ci condusse, nel suo camerino del Teatro della Pergola di Firenze, dove lei teneva un breve corso di rappresentazioni, Ferdinando Paolicrì. Paolieri, che era il critico teatrale del maggior giornale della città, era soddisfatto quando poteva farmi conoscere attori ed attrici, l'« ambiente » di teatro, come diceva. Si era messo in capo che io dovessi collaborare con lui , al libretto' di: un'operetta. In.'quell'epoca aveva iche fare, all'università, col greco del Padre Pistelli e con la storia di Gaetano .Salvemini, sicché mi pareva,che non mi trovassi proprio nelle condizioni di spiritò migliori per dedicarmi al genere di componimento, cui teneva il mio amico. Non osavo però dirglielo apertamente, che non volevo farlo diventare rosso in volto come un peperone, con chi sa quel che gli sarebbe uscito dalla bocca. Ma a salire con lui sul palcoscenico mi adattavo volentieri, .e ad ascoltare le sue interviste, che a,momenti sembravano risse, tanto assumevano tono polemico, con questo o con quell'attore. La Bernhardt ci accolse, naturalmente, immobile, che, come si sa, aveva una gamba di legno e, per causa di quell'inconveniente, recitava seduta in una commedia che si era fatta fare su misura da un suo parente, Louis Verneuil. Di lei, durante la recita, mi aveva soprattutto fatto colpo il modo con cui pronunziava il eh francese, per esempio nel nome Michel, che risultava, come doveva,.un Miscel, ma nel modo c i ratteristico di chi è sdentato o con la dentiera male in arnese. Misceel, Misceel; e noi le si faceva il verso. Lo si era fatto, da Paolieri e da me, anche un istante prima che varcassimo la soglia del camerino; sicché c'era ri inasta, sul volto, un'ombra di sorriso, che non eravamo riusciti li per lì a cancellare. La Bernhardt, che se non aveva buoni denti aveva però buon occhio, e soprattutto intuito psicologico, ci accolse cori queste parole: «Sono allegri, i signori; mi felicito non tanto col giovanotto (che ero io) quanto con lei (Paolieri) che ha i capelli bianchi (ma poi dopo un attimo di riflessione), anzi che non ne ha». (Paolieri era, infatti, pelato). Nando non si perse d'animo a questa strana battuta d'introduzione e replicò immediatamente con la sua arguzia: « Certo siamo felici di vedere una gloriosa attrice che, anche a quest'et;\ all'età che le darebbe diritto di riposare, non abbandona il palcoscenico e dà ancora una prova di quanto forte sia la sua passione ». Non so se l'attrice abbia sentita la punta, tutta toscana, implicita in quel complimento. Prese soltanto questo, e volle dare una specie di spiegazione, c Già, voi in Italia, non siete abituati a vedere sulla scena attori piuttosto anziani. In Italia, lo so, appena si è conseguita un po' di fama, ci si ritira, come si dice. Paolieri non si trattenne: «Non proprio mi pare. Basti, per tutti, l'esempio della Duse ». £ lei, prima ancora che Nando avesse terminato la frase: «Oh, la grande Duse, la mia cara Eleonora, povera anima! Mi dicono che si sia trovata in non buone condizioni economiche... Eh, già; sa lei cosa significa non avere abbastanza denaro quando ai è avanti con gli anni, e si sente la necessità dei comodi, e si ha un decoro da tutelare? Povera anima! E' ricomparsa sul palcoscenico, perché non aveva più denaro. Ma altrimenti, creda, ne avrebbe fatto a meno. Non ne ha forse fatto a meno per tanti anni? No no, gli attori italiani, a una rana età, non se la sentono più di recitare; e forse anche gli italianv gli italiani come .pubblico, non amano di vederli più sul palcoscenico ». (Mi viene ora in mente che un tal discorso l'ho sentito fare, alcuni anni addietro, da Emma Gramatica che, portò, ricordo, proprio l'esempio di Sarah Bernhardt). Preso quell'avvio, si stentò a cambiare argomento; voglio dire, che si andò per un pezzo avanti sull'argomento dell'età. La nostra famosa interlocutrice si abbandonò a una vera e propria apologia della tarda età e del piacere che, in quella situazione, si prova a recitare. «Più si diventa anziani (lei non adoperava le parole "vecchi" o "vecchiaia"), e più si affina l'arte del recitare, più l'interpretazione acquista di profondità e di poesia. Le stesse battute, che io pronunziavo una volta, molti anni fa, hanno ora, - con la mia esperienza e- col mio gusto, un tono più essenziale, più intenso, più lirico. Ecco, un artista dovrebbe cominciare a recitare dopo i cinquanta anni. A recitare, spiego, dopo aver recitato per altri vent'anni. I primi anni dovrebbero servirgli da preparazione, da studio; una specie d'introduzione, insomma, a quella che risulterà la sua vera realtà ». Paolieri osò interromperla : « Ma lei, signora, era grande artista, perfetta, anche nel periodo che definisce • d'introduzione o di preparazione ». Rispose, la Bernhardt. « Non esiste, signore, perfezione assoluta per chi recita. E poi, il mio caso, se mi permette, è tutto speciale. Dicono che di Sarah Bernhardt non ce ne sia stata e non ce ne sia che una ». A questo punto, parve che ne avesse già abbastanza, che volesse mettere il suggello alla conversazione, e darci commiato. Ma, da dama assai cortese, si ricordò anche di me che ero rimasto fino ad allora in silenzio. « E il giovinotto — disse —, il giovinotto che cosa pensa, che cosa fa? Medita anche lui una commedia? ». Le dissi che studiavo all'università e che, anzi che scrivere commedie, leggevo tragedie, tragedie di Eschilo e di Sofocle. E lei: «E di Euri pide no? Eschilo e Sofocle sono autori grandi, grandissimi; ma io sento soprattutto Euripide Più moderno, più vivo, più fremente. Medea, per esempio, è un'imponente figura, un immen so personaggio. E' tremenda, lo so, crudelissima, ma un'attrice la sente meglio, la vive meglio di una Cineasta o di un'Antigone. L'amore, la- gelosia, la vendetta trovano, in lei, l'espressione Tliù potente1, •q'ueHav chenoi donne avvertiamo con. maggiore profondità e sincerità. Chi ha detto che, in una donna innamorata, c'è sempre un po' di Medea? Sarà un'esagerazione, non nego; eppure sono sicura e l'affermazione ha un certo fondamento ». Continuò, per una decina di minuti, a parlare con me di tragici greci. Sostenne che, in quei loro testi, è espressa tutta la vita umana, la casistica psico. logica più semplice e più complessa. Se il teatro si fosse fermato ad essi, se non se ne fosse più scritto- dopo, si avrebbe già una forma d'arte di tono altissimo, impónente. Gli scrittori di teatro che sono venuti dopo i greci, anche i maggiori, non avrebbero fatto altro che ap profondire le esperienze inventate da quei loro gloriosi antenati. Concluse stranamente: «Se scriverà un'opera di teatro dramma o commedia, prima di cominciare il lavoro, pensi a quei grandi, che ora sta leggeri do a scuola; ma pensi — aggiunse — con- moderazione e, a un certo punto, non pensi più, se no non riuscirà a scrivere neanche una riga, a trovare, neanche una battuta». Ferdinando Paolieri mi dava dei gran colpi sulla schiena, che non so se volessero essere d'incoraggiamento o di dissuasione, mentre Sarah Bernhardt, sempre immobile sulla poltrona, ci licenziava, agitando una mano. Luigi M. Persone

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