Nessun artigliere italiano di Cefalonia passò a combattere con le truppe tedesche

Nessun artigliere italiano di Cefalonia passò a combattere con le truppe tedesche LETTERE AL O I R E T T O R E Nessun artigliere italiano di Cefalonia passò a combattere con le truppe tedesche Documenti ufficiali e testimonianze private smentiscono le affermazioni dell'ex-caporale Ravetti - Gli uomini del 33° artiglieria e delle batterie della Marina erano decisi a combattere contro i nazisti, anche senza gli ordini dell'Alto Comando Signor Diret*ire, solo adesso sono venuto a conoscenza della nota sulla tragedia della divisione < Acqui > pubblicata sul Suo giornale il 2 corrente. Tale articolo contiene, sul comportamento delle unità e degli ufficiali di artiglieria dell'eroica divisione, diverse, gravi inesattezze. A quanto emerge dallo stesso articolo, l'ex caporal maggiore Ravetti non solo fa affermazioni, diremo cosi « gratuite », in quanto non suffragate da alcun'altra testimonianza, ma sembra riferire anche quanto non ha visto. Infatti egli stesso dice: «lo in quelle ore mi trovavo all'ospedale, con una gamba ferita >. Dai documenti ufficiali risulta che alcune batterie italiane erano state « assegnate » e cioè messe alle dipendenze dirette del settore Lixuri, tenuto dalle truppe tedesche e comandato dal ten. col. tedesco Barge. Il giorno 12 queste batterle, sopraffatte dai tedeschi, si arresero e 1 loro componenti furono disarmati. E' da presumere che questo episodio abbia dato orìgine alle voci raccolte e riferite dal Ravetti 11 quale, comunque, non ne fu testimone. Per contro da testimonianze ufficiali raccolte a cura dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito emerge che: — < alle ore 7 del 9 — (quan do il dramma non aveva ancora avuto inizio ed erano, invece, incominciate le trattative tra il nostro comando e quello tedesco) — 1 serventi della batteria italiana che controllava il ponte di Argostoli, ritenen dosi provocati da una piccola 1 colonna tedesca che portava al seguito 4 pezzi controcarro, corsero ai pezzi ed avrebbero fatto fuoco contro di essa se l'intervento del comando artiglieria divisionale non lo avesse impedito » (Cap. Ermanno Bronzini del comando div. «Acqui»); — « il giorno 10, si andavano discutendo nei singoli reparti le opposte tendenze di cacciare 1 tedeschi o di deporre le armi. Quella, però, di continuare la lotta a fianco delle truppe tedesche veniva perorata solo da elementi isolati e senza successo. Le batterie del 33° artiglieria offrivano uno spettacolo commovente: tutti gli artiglieri, dal primo all'ultimo, non solo erano decisi a combattere quando fosse stato comandato, ma riusciva difficile impedire loro d'iniziare il fuoco da soli ». (Cap. Apollonio del 33" artiglieria); — «il mattino del 12 settembre, domenica, ebbi modo di visitare, per la celebrazione della Messa, le batterie del mio reggimento... con gli occhi fuori della testa, lividi di indignazione, (si era sparsa la voce che sarebbe stata ordinata la cessione delle armi ai tedeschi) ufficiali ed artiglieri mi urlavano di riferire che essi non avrebbero mai obbedito a chi avesse ordinato il disonore, che essi non avrebbero consegnato le armi a nessuno ». (Padre Romualdo Formato, cappellano del 33° rgt. artiglieria «Acqui»); — «la mattina del giorno 12 i capitani Apollonio, PampaIoni, Longoni, i tenenti Ambro sini, Boni, Celi (tutti del 33» artiglieria) erano fra coloro che maggiormente propugnavano la lotta contro i tedeschi » (Padre Luigi Ghilardini, cappellano del 317° fanteria); — « all'alba del giorno 13, avvistati due pontoni da sbarco tedeschi carichi di truppe e di artiglierie, la prima, la terza e la quinta batteria del 33° artiglieria e la 208" batteria della Marina aprirono il fuoco d'iniziativa ed affondarono le due navi tedesche senza nessun ordine del Comando Divisione. (Silvio Garbellini capo ufficio cifra del com. div. «Acqui»); — «anche l'artiglieria prodigò tutta sé stessa... agli artiglieri e alla Marina il riconoscimento più manifesto fu tributato dal nemico, il quale, dopo la resa, per vendicarsi delle perdite subite, dava caccia accanita,' per trucidarli, a quanti portavano il - cappello alpino (il 33° art era someggiato) o l'uniforme da marinaio. (Cap. Apollonio del 33° artiglieria). gen. Giuseppe De Stefanis Presidente Nazionale dell'Associazione Artiglieri d'Italia Rpma, ottobre. Volentieri pubblichiamo questa precisazione autorevole sul comportamento dei nostri artiglieri a Cefalonia. Nei giorni scorsi, già altri combattenti avevano confutato le affermazioni del signor Ravetti. Come si ricorderà, conversando con un inviato de La Stampa, l'ex caporale Ravetti aveva detto che «una parte degli ufficiali di artiglieria non avevano nascosto l'intenzione di schierarsi coi tedeschi ». Più avanti ha detto ancora: «A spararci addòsso sono gli uffi ciali italiani passati al nemico» e ancora: «Le artiglierie nostre vendutesi ai nazisti». Su queste affermazioni si è soffermato con giusta indignazione il dott. Vico Viglongo, di Torino, in una lettera inviata a € Specchio dei tempi». Egli era allora sottotenente di fanteria, ed è uno dei 37 ufficiali sfuggiti al massacro della «Casa rossa », e vuole rimettere nella sua giusta luce il comportamento di tutta la Divisione Acqui, dal suo comandante all'ultimo soldato. Lo sdegno del dott. Viglongo è giustificabile, nessuna riserva si può fare sulla condòtta di quegli uomini che hanno combattuto fino all'ultimo già sapendo quale destino li attendeva. Dopo l'8 settembre, alla dichiarazione di armistizio, la Divisione Acqui mantenne le posizioni mentre il gen. Gandin trattava coi tedeschi. Il 15 settembre giunse da Brindisi l'ordine firmato dal gen. Francesco Rossi di attaccare i tedeschi; il gen. Gandin obbedì, ed ingaggiò la battaglia in condizioni di as soluta inferiorità, col cielo, di Cefalonia perennemente oscurato dagli Stuka che frantumarono ogni resistenza coi bombardamenti massicci. I soldati della Acqui combatterono una settimana, fino al 22 settembre, e si arresero quando non avevano più munizioni. Anche nei momenti più tragici, allorché non c'era più speranza di vittoria, o di scampo, non ci furono debolezze, né defezioni. L'ex caporale Ravetti è prò babilmente vittima di interessate calunnie diffuse dai tedeschi, forse per giustificare la loro efferata rappresaglia. Occorre però notare che questa voce stonata è isolata; dal racconto dei reduci di Cefalonia, e soprattutto dalla disinteres sata testimonianza dei greci dell'isola, l'eroismo della Divisione Acqui esce luminoso e intoccabile. f_ r. llimilllHIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

Luoghi citati: Argostoli, Brindisi, Cefalonia, Italia, Torino