Quaranta bimbi tornano a scuola i loro 186 compagni sono morti

Quaranta bimbi tornano a scuola i loro 186 compagni sono morti Ime dine aule I piccoli superstiti eli Imcxigstrane Quaranta bimbi tornano a scuola i loro 186 compagni sono morti . , Ieri è stato il primo giorno di lezione, ma si sono presentati soltanto una ventina di alunni - Apparivano quasi tutti sereni, distratti e incuriositi dall'andirivieni confuso di fotografi, giornalisti, autorità - C'erano con loro le tre maestre superstiti, giovani, vestite di nero, una vicino all'altra come a farsi coraggio - Nel loro atteggiamento una tristezza infinita: pareva cercassero fra quelle mura i volti delle dodici insegnanti e dei 186 scolari che non torneranno mai più (Dal nostro inviato speciale) Longaroue, 18 ottobre. A Longarone.i bambini, anzi gli alunni deUv scuole elementari, eranót dùecentoventlsei. Centottantasei sono morti, quaranta sopravvissuti. Stamattina questi quaranta, piccoli sopravvissuti riprendono la scuola, è un avvenimento commovente, tragico pur nel lindore dei grembialini bianchi e nella luminosità della giornata piena di' sole. Ma è anche un fatto giornalistico, é da tre giorni compaiono articoli che annunciano, illustrano, commentano questo imminente « primo giorno » di scuola. Ma. oggi è diverso,, stamat¬ llllllllllllllllllllllllllHIIIIIIIIMItilHliwUHlilltlll , tina i bambini ci sono davvero. Per questo mentre salgo i gradini dèi Municipio provo un senso di disagio, preferirei quasi non andare, preferirei tornare ancora una volta sulle macerie dove i soldati stanno scavando (hanno trovato altri sei corpi sotto le rovine dell'Hotel Posta; Arnaldo Gatti, il direttore delta grande tipografia milanese, che ave. va fatto venire da Bacile un bulldozer a sue spese, ha trovato la propria moglie bocconi, con un braccio a proteggersi il capo; ma ancora non ha trovato il suo bambino), preferirei andarcene da qualsiasi altra parte. E invece entriamo. Non sono venuti tutti e qua¬ nlllllllllinillIHUIIIIl H Illlllllllllltllllll ranta, solo una ventina. Si vede che molte madri von si son volute distaccare dai propri bambini, o forse avevano paura del trambusto del primo giorno, aspetteranno domani Li hanno sistemati nelle due classi, maschi e femmine insieme, da una parte i piccolini di seconda e di terza — di prima non è venuto nessuno —, dall'altra i grandicelli di quarta e di quinta. Le bambine hanno tutte il grembiule bianco, i maschietti sono senza grembiule. Visi puliti, intelligenti, <cittadini». Li osservo quasi con trepidazione ad uno ad uno, nel timore di scorgere nei loro occhi un segno della sciagura che si è abbai- llllllllllll 1111111111111111111111111 1 tuta sulle loro case, che ha travolto quasi duecento loro compagni. Sia lodato il Cielo, questo segno non c'è; o, per 10 meno, non mi par di vederlo. Stanno disegnando e tengono il capo chino sul quaderno, qualcuno si morde il labbro inferiore, qualche altro nell'attenzione sporge appena la punta della lingua; quando sollevano la testa, i loro sguardi sono limpidi, sereni, come se nulla fosse successo. La tragedia la si può leg gere soltanto negli occhi delle maestre. Degli insegnanti superstiti — ne sono morti dodici — stamattina ne son venuti quattro: il maestro Renato Tormen, la maestra di prima elementare Giuseppina Laveder, la maestra di terza Maria Pais, quella di quinta Teresa D'Incà. Il maestro è più attivo, risponde alle domande dei giornalisti, conversa con l'ispettrice, che è già qui in attesa del sottosegretario Sedati, la cui visita è preannunciata per le 10. ■ Le maestre, invece - tutte e tre giovani, vestite di scuro — se ne stanno silenziose, appartate, in piedi una accanto all'altra, come per proteggersi a vicenda. Guardano quelle aule insolite, l'andirivieni degli estranei, guardano soprattutto i bambini, e nei loro visi c'è la stessa ombra angosciosa che abbiamo visto sui volti della gente ferma intorno ai soldati intenti ad estrarre un cadavere dalle macerie. Loro sono le uniche che 11 conoscevano tutti ad uno ad uno, i centottantasei bambini morti: ad ogni nome scritto sul registro corrisponde un volto, ed ora i volti presenti in quest'aula sono pochi, spaventosamente pochi. Pian piano, con il passo di chi cammina in chiesa o nella ■ camera di un malato grave, comincio ad aggirarmi tra i banchi, mentre i bambini stanno svolgendo il loro compito di disegno. Non gli hanno dato un tema preciso, c'era troppa confusione; gli han detto di disegnare quel che volevano, a piacimento. I maschietti stanno tentando quasi tutti di ripetere la scena della catastrofe. C'è qualche eccezione: uno ha disegnato un pagliaccio, un altno un cervo dalle gigantesche corna; ma la maggioranza ha tracciato il profilo delle montagne — basta alzar la testa e le si vede dalla finestra, nitidissime contro il cielo azzurro —, la spaccatura del canalone, la diga. E sotto un gran lago, con tanti pezzetti di legno, rovine, macerie. Noto però che in quei disegni non c'è mai un uomo, neppure uno di quei pupazzetti a braccia aperte e a gambe divaricate con cui i bimbi rappresentano la figura umana. Né morti né vivi, né naufraghi, né soldati. Deserto e basta. Uno soltanto ha disegnato il paese com'era prima, i ponti intatti, le case ben al¬ lineate lungo il Piave; ma anche in questo paesaggio non c'è nessuno. Deserto. Fra le bambine, invece, solo un paio sta affrontando la scena della tragedia; tutte le altre sono intente a tracciare scene liete, agresti, mare, cielo, o addirittura disegni geometrici, sfere e triangoli che si intrecciano, a colori vivacissimi. Emma Svinzachnl, una brunetta di quinta, sta disegnando attentamente un grattacielo a forma di piramide. A questo punto bisognerebbe rivolger loro qualche domanda. Fra tutti i bambini presenti, per fortuna — me lo ha detto una maestra — solo Emma Svinzachel, quella del grattacielo, appunto, ha perso il papà nella tragedia del 9 ottobre. Gli altri 'abitavano nella parte del paese che si è salvata e non hanno avuto perdite in famiglia; ver lo meno, non perdite di parenti diretti, perché qui, a Longarone, ogni famiglia è imparentata con l'altra e non esiste superstite che non abbia perduto uno zio od un cugino- Ma anche ■ rievocare in quelle testoline il rombo spaventoso dell'altra notte, la fuga nel buio, la perdita di tanti compagni sembra una profanazione. Come ti chiamit Bettiol Antonella. Che classe fair La seconda. E tut Paini Germano. Che classe fait La quinta. Mauro, Gabriella, Ottorino, Luisa. Più. in là non mi riesce di andare. Nelle due aule, frattanto, è entrata molta gente: altri giornalisti, altri fotografi, ispettori, ispettrici, che aspettano l'arrivo del sottosegretario. Ora i bambini hanno smesso di disegnare, chiacchierano fra loro, sono disinvolti. Questa scioltezza mi permette finalmente di rivolger loro itn'àltVa domanda. Quando han Sentito il gran rumore dell'altra ■notte cosa han pensato che fosse? Ottorino De Bona, classe quinta: il terremoto. Daniela Carlezzo, classe quinta: il ciclone. Mauro Picchi, classe seconda: ohe fosse crollato un muro. Claudio Piccin, fratello gemello del precedente: un temporale. Nadia Campi non ha sentito niente, dormiva, ed è stata svegliata dai pianti e ducili urli dei parenti fuori di senno. Gabriella Bontempo, la piùalta della scolaresca, ormai una ragazzina, risponde con un intero discorso: «Io dormivo, è venuta la mamma, mi ha detto: "Gabriella, alzati, alzati, che è scopp'ata la diga". Mi sono alzata, siamo scappati fuori, e c'erano del gran lampi, tanta acqua, e tutti che correvano in camicia da notte». Emma Svinzachel, la bambina che ha perduto il papà, ha smesso di disegnare e sfa scrivendo con attenzione su un quaderno. « Cosa stai scrivendo ? ». « Un tema ». « Te l'ha dato la maestra? ». « No, un signore». «Lo conosci?». «No». «E che tema è?». «Sono tornata a scuola». «E tu, che cosa hai scritto? ». Emma Svinzachel porge il quaderno perché anche quest'altro signore che non conosce possa leggere il tema che le ha dato il primo signore che non conosce. Dice il tema: «Oggi sono tornata a scuola, dopo giorni di paura. Certamente questa scuola non è bella come l'altra, perché non ho ritrovato le mie compagne e la mia maestra. Quando sono entrata in aula ho incontrato gente che non conoscevo, giornalisti, maestri eccetera. Spero di terminare la scuola bene e di essere promossa. Ho trovato soltanto una mia amica, Daniela Carlezzo». Le appoggio la mano sul capo senza diri niente. Qualcuno distribuisce biscotti, bei pacchi lucidi, argentati, moderni, i bambini li aprono con gran rumore di carta stracciata e cominciano a sgranocchiare felici. Fotografie, domande, appunti. I bambini cominciano ad alzarsi dai banchi, a far baccano. Un brusìo, un trambusto nella stanza accanto. Arriva il sottosegretario. 1 fotografi fendono la folla, sollevano i flashes verso il soffitto. 1 bambini si voltano curiosi in attesa di questo nuovo spettacolo. Solo le tre maestre, là in fondo, sono tuttora immobili, una accanto all'altra, con negli occhi l'ombra di sempre. Emma Svinzachel, qui accanto a me, ha chiuso il quaderno del tema e ha ripreso • disegnare il suo assurdo grattacielo a piramide. La sommità ormai ha toccato il bordo superiore del foglio. Gaetano Turnisti ■ Oggi sono tornata a scuola dopo giorni di paura. Non ho trovato le mie compagne e la mia maestra. Ho trovato soltanto un'amica, Daniela Oarlezzo». Cosi ha scritto nel suo primo tema la piccola Emma Svinzachel (nella foto). La bambina, che frequenta la quinta elementare, nella sciagura ha perso il babbo (Tel.)

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