«Il processo» di Orson Welles
«Il processo» di Orson Welles SU^O SCHERMO «Il processo» di Orson Welles Il regista è riuscito a tradurre fedelmente in immagini il cupo romanzo di Kafka (Lux) — Atteso alia Mostra veneziana dell'anno scorso, II processo di Orson Welles ci arriva soltanto oggi, in mezzo a un'aspettativa che è andata crescendo a proporzione del ritardo. Orbene, con tutte le prèmesse per una delusione — fra le. quali principalissima l'altezza del modello ' kafkiano — la delusione non c'è: non solamente Welles ci ha dato un film degno di stare fra i suoi migliori, ma non sappiamo quale altro regista avrebbe potuto sostenere l'incontro con Kafka senza tradire né sé né lui, mantenendo un raro equilibrio fra traduzione e interpretazione. Nel Processo si riconosce lo scrittore di Praga primo codificatore dell'angoscia nella letteratura, é si riconosce Welles; è salvo che in alcune sequenze stancamente interpolate, la sutura non s'avverte, e grazie a una trasfusione d'ingegni, il film è veramente quella «teria cosa » che ha da essere un film trattò da un romanzo. ' Fedele alla linea' essenziale dell'opera — l'avventura dell'impiegato di banca Joseph K -processato e condannato non si sa perché, rotella d!un mondo disumanato, ove le cose stanno platonicamente «in sé >, senza un'intelligenza che le pensi — il regista le è poi svolazzato intorno con raffinata pre parazione e impetuosa bravura. Invece che seguire Kafka nel suo procedimento pacato nel suo togliere l'incubo dalla minuziosa pittura della realtà quotidiana, Welles lo ha aspettato di là dal fosso, in zona visuale ed espressionistica. Co si l'ufficio di Joseph, invece che un antro polveroso, diven ta un ciclopico edificio tra le cui mura lavora una moltitu dine di impiegati-robot, e la sala del tribunale, i corridoi e tutti ì passaggi di questo au tentico labirinto in cui il disgraziato fa.la sua spola, come anche i varìi personaggi a cui egli si rivolge per aver lu mi, diventano quello che veramente sono, non già nella lettera, ma nel sentimento di Kafka. La città stessa ù mutata: non più i cupi quartieri di Praga, ma una generica metropoli, una sorta di Babilonia dei tempi futuri. Un Kafka insomma in chia. ve. espressionistica,, e- totalmente sviscerato nei suoi fermenti profetici, col fungo dell'atomica che si leva a simbolo di un'angoscia dilatatasi all'intera umanità. Giudicate una per una, alcune delle varianti portate 'da Welles al tono, se non alla vicenda, del romanzo, possono suscitare qualche dubbio; ma è certo che pur fra cadute di gusto e qualche ridondanza effettistica, il film rapisce l'essenza del libro e si stampa nella mente dello spettatore disposto come un ottimo saggio di letteratura tradotta in linguaggio cinematografico. Ba¬ sterebbero le sequenze della scena del processo, dell'avvocato con l'amante e altre pagine splendide, ad attestare che Welles ha qui ritrovato, sul ciglio d'uno dei maggiori scrittori moderni, la vena, l'estro e la libertà creativa di « C.Hzen Kane>. Resta che il film impegna più l'intelligenza che la commozione, ma ' anche questo è conforme alla natura del modello. Anthony Perkins, come Joseph, è più farina di Welles che di Kafka; ma è un protagonista eccellente, di estrema tensione. Lo assecondano in luce più modesta Jeanne Moreau, Madeleine Robinson, Elsa Martinelli, Romy Schnelder, Akim Tamiroff e lo stesso regista-attore nella -parte dell'ambiguo avvocato Hesterer. Squisite le scenografie di Jean Mandaroux e la fotografia di Edmond Richard. i- p.
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