Il 22 settembre la notte fu illuminata dai roghi si bruciavano i cadaveri degli italiani massacrati di Francesco Rosso

Il 22 settembre la notte fu illuminata dai roghi si bruciavano i cadaveri degli italiani massacrati DOMANI A CEFALOFI A SARANNO ONORATE, DOPO VENT'ANNI, LE NOVEMILA VITTIME Il 22 settembre la notte fu illuminata dai roghi si bruciavano i cadaveri degli italiani massacrati I nazisti, compiuto il feroce ed ingiustificato sterminio, vollero anche distruggere le salme: con la dinamite, con le fiamme, gettandole nei pozzi Anche in quel momento rifulse il pietoso coraggio di tanti greci: rischiarono la vita per ricuperare quei corpi straziati, dopo avere tentato invano di salvarli dalla morte - Ancora ricordano, con emozione e raccapricciò, le.giornate del massacro e;ne ripetono gli episodi più atroci: i seicento abbattuti dai mitra negli uliveti di Trojannata; i tremila annegati presso la costa, ed i militari tedeschi che sparavano su chi si dibatteva nell'acqua (Dal nostro inviato speciale) Àrgostoli, settembre. Oefalonia è una piccola isola, un mondo limitato e chiuso entro oui, per il gran parlarne e sotto il lievito della immaginazione, gli avvenimenti'si colorano presto di leggenda, conservando però toni' e calore casalinghi. In compagnia dell'ex caporale Tommaso Argento, U reduce cui € Specchio dei tempi » ha pagato il viaggio da Domodossola ad Àrgostoli perché compisse il desiderato pellegrinaggio ai luoghi in cui vide trucidare tanti suoi compagni della divisione Acqui, giravamo attraverso l'isola cercando i villaggi in cui egli ha combattuto, gruppi di poche case al termine di sconnesse mulattiere immersi in un silenzio inerte. Quando giungemmo a Farcata, il luogo dove fu catturato, Tommaso Argento non conobbe il villaggio che distrutto come tutti gli altri dal terremoto è stato ricostruito interamente nuovo. Il paesino sembrava deserto, ma lo strepito del nostro taxi richiamò sulle porte prima chiuse contro le sfolgoranti cateratte di sole gruppi di uomini e donne che presto ci attorniarono, ognuno raccontando a suo modo, con poche frasi ita- liane rimaste miracolosamente vive nella memoria e un fitto parlar greco che il nostro interprete Pasquale Laterza traduceva con approssimazione, gli avvenimenti di quei giorni lontani. Quando seppero che Argento aveva combattuto qui, lo circondarono come se volessero adottarlo e quasi in corteo lo accompagnarono sui luoghi dove si era attestata la sua compagnia per resistere agli assalti dei tedeschi. «Abbiamo lottato fino all'ultimo e' ci siamo arresi quando abbiamo finito le munizioni », diceva Argento sottovoce; < proprio qui, appena catturato, ho veduto fucilare il mio capitano ed il mio tenente». Rievocando quei tragici istanti Tommaso Argento si commosse, poi si staccò da noi e ci voltò le spalle per nasconderci le lacrime. Quell'uomo tarchiato e solido coi capelli già canuti ohe si era ritirato per piangere da solo, commosse le donne presenti. Oli furono attorno a consolarlo con tenerezza materna e lo invitarono in una casa a dissetarsi e distendersi. In questo drammatico pellegrinaggio attraverso l'isola le donne di Cefaionia mi apparivano nel loro ufficio più autentico, madri e sorelle pronte alla dedizione totale. Non esitarono a rischiare la vita per curare italiani feriti, nascondere fuggiaschi alle ricerche dei tedeschi, aiutare i dispersi a raggiungere'sui monti le formazioni partigiane greche. Nella .tragica vicenda della divisione Acqui, le donne di Cefalonia sono la sola luce eroicamente umana. Da Farcata siamo poi andati a Faraò, Sant'Eufemia, Kardakata, Trojannata sulPitinerario percorso dalla divisione Acqui, e sempre le donne di Cefalonia si affacciavano coi volti appassiti nel vano degli usci a raccontarci con risentita commozione gli episodi eroici e orrendi cui hanno assistito. Atroce fu la sosta a Trojannata, piccolo villaggio dominato, dalla mole incombente dell'antica fortezza veneziana di San Giorgio, immenso quadrilatero di mura e speroni sghembi, il solo edificio dell'isola uscito indenne dal terremoto. All'ingresso del villaggio incontrammo Maria Kristoforatu, una donna logorata dalla lunga, faticata esistenza nei campi avari, ma con una luce di rinnovato sdegna negli occhi mentre raccontava lo sterminio di Trojannata. Quello fu l'episodio più mostruoso della battaglia di Cefalonia, un abisso di crudeltà che richiama alla memoria primordinli ecatombi. All'alba del BS settembre 1913, seicento fra ufficiali e, soldati fatti prigionieri il giorno precedente e rinchiusi nella scuola comunale del paese furono iricolonnati e avviati verso la campagna. Ora lascio il racconto a Maria Kristoforatu. «Noi donne avevamo capito che cosa sarebbe accaduto e andavamo dietro al tedeschi domandandogli dove portavano quel ragazzi, implorandoli che li lasciassero liberi; ci respingevano col mitra sghignazzando. Li condussero tutti qui davanti a questo muretto e li Uccisero tutti >. Eravamo fermi accanto ad un vasto muro a secco fra le stoppie ed intorno a noi dilagava un immenso uliveto folto di silenzio. I tedeschi avevano portato i seicento prigionieri poco fuori del villaggio, avevano appostato due mitragliatrici fra gli ulivi e dopo aver ordinato il dietrofront incominciarono a sparare con cieco furore sulla schiera di inermi che cadevano falciati uno sull'altro. Il gruppo era così folto e compatto che non un proiettile andava perduto. Spararono per oltre un'ora arrestandosi solo per cambiare i nastri vuoti delle mitragliatrici. Maria Kristoforatu si coprì gli occhi con le mani come se le parole le riportassero la visione della carneficina orrenda cui aveva assistito da lontano, coi soldati che gridavano prima di abbattersi, il cumulo dei cadaveri che saliva, gli impazziti dal terrore che cercavano scampo in una fuga impossibile subito abbattuti come lepri dai mitra dei soldati tedeschi ohe circondavano il luogo della esecuzione. Quando la sanguinosa tregenda ebbe termine e tutti i seicento prigionieri giacquero uno sull'altro in un orrendo impasto di corpi e di sangue, le mitragliatrici smisero di crepitare. Nel gran silenzio che era ritornato fra gli ulivi'echeggiò la voce di un tedesco interprete. «Italiani, — gridò — se c'è qualcuno vivo venga fuori, non ha più nulla da temere*.. Quindici fantasmi .si. levarono dal carnaio; i corpi dei loro amici gli avevano fatto scudo contro i proiettili e si erano salvati. Mentre uscivano da quel sepolcro di membra ancora palpitanti,, le mitragliatrici ripresero a crepitare beffarde e anch'essi caddero folgorati sugli altri cadaveri. Maria Kristoforatu smise di raccontare, abbandonò le braccia lungo i fianchi come esausta, ci salutò con un cenno del capo, e tornò al villaggio. Noi eravamo immobili accanto al muretto, immersi nella gioconda luminosità diffusa come polvere d'oro sul silenzio profondo dell'uliveto. Dalla terra intrisa di tanto sangue su cui poggiavamo i piedi è rispuntato già molte volte il grano; i pozzi in cui gli abitanti di Trojannata sotto la persuasiva presenza dei mitra tedeschi gettarono i corpi dei seicento massacrati, sono ormai vuoti; i resti sono stati riesumati e trasportati nel cimitero di Bari. A Trojannata è ritornata la quiete di sempre: come è tornata a Farcata, Valsamata, Kardakata e in tutti gli altri luoghi di massacro. Qui le vittime non ebbero sepoltura né fu possibile ricuperare le salme. In alcuni luoghi i tedeschi introdussero cartucce di dinamite nelle cataste di cadaveri e dilaniarono con le esplosioni migliaia di corpi; in altri cosparsero di benzina i morti ai quali appiccarono il fuoco. L'atroce notte del SS settembre fu illuminàta da quei roghi, tutta l'isola di Cefalonia rabbrividì al rosso riverbero dei corpi dei soldati italiani che bruciavano. Forse le fiamme ne arsero cinque o seimila, sui novemila massacrati in vario modo sull'isola. Anche in quel momento l'indole generosa della gente di Cefalonia si rivelò con episodi profondamente civili e umani; uomini e donne corsero ai roghi tentando ciascuno di strappare alle fiamme almeno un soldato per seppellirlo in luogo dove i parenti, finita la guerra, potessero chinarsi a ricordarlo con un fiore. Molti italiani sono già venuti a Cefalonia e per la ricorrenza del ventennale un folto gruppo di pellegrini verrà mercoledì prossimo a. ripercorrere il calvario della divisione Acqui, a deporre fiori sulle incerte tombe terrestri, e su quelle ancor più indeterminate del mare. Qui, oltre agli ufficiali fucilati alla Casa Rossa fi cadaveri furono portati al largo su zatteroni e annientati con la dinamite), sono seppelliti tremila soldati andati a picco con le due navi che dovevano portarli verso la prigionia e finite sulle mine a 500 metri dalla riva. I pochi che erano riusciti a gettarsi in acqua tentarono di giungere a riva nuotando e furono falciati dalle mitragliatrici nemiche appostate sulla scogliera. Alla fine di ogni rievocazione si ritorna alla domanda: € Perché non fu possibile evitare il massacro della divisione Acqui t ». Di quanto è accaduto non si può rimproverare nulla ai comandanti delle nostre truppe a Cefalonia ed il generale Antonio Gandin esce gigantesco dal fondo della tragedia. L'8 settembre egli avrebbe potuto catturare l'intero distaccamento tedesco senza spargere una goccio di sangue, ma non avrebbe salvato la situazione. Il bollettino dell'armistizio era ambiguo, nei porti di Cefalonia non c'erano navi, aveva vettovagliamenti per nove giorni e sapeva con certezza che l'aviazione tedesca avrebbe annientato l'isola. Temporeggiò trattando col 'colonnèllo Hans Barge con la speranza di ottener» il rimpatrio dei suoi soldati e salvare l'onore della divisione, ma il tempo era contro di lui. Quando il 15 settembre gli giunse da Brindisi l'ordine di resistere, fu come se gli ordinassero ii immolarsi con tutti i suoi soldati. I rinforzi tedeschi erano già sbarcati sull'isola e con l'appoggio dell'aviazione poterono ingaggiare la battaglia in condizioni favorevoli, soprattutto per l'appoggio decisivo degli aerei. La battaglia durò una settimana accanita e sanguinosa e si concluse quando i nostri soldati, non avendo più munizioni, accettarono la resa. Invece della prigionia, essi furono sterminati soltanto per soddisfare un crudele capriccio di Hitler, che ordinò Za strage, e la torbida voglia di vendetta dei comandanti tedeschi di Cefalonia. Dinanzi al muretto di Trojannata dove furono massacrati seicento inermi, colpevoli solo di aver compiuto il loro dovere, pensavo al grano che è già apuntato venti volte dal giorno della ecatombe, al tempo trascorso che ha fatto dimenticare molte cose. Ora non si vuole rifare il processo a nessuno, né lanciare altre accuse, ma tt ritorno a Cefalonia dopo vent'anni era doveroso. Francesco Rosso

Persone citate: Antonio Gandin, Argento, Faraò, Hans Barge, Hitler, Tommaso Argento

Luoghi citati: Bari, Brindisi, Cefalonia, Domodossola, Sant'eufemia, Àrgostoli