La strage dei novemila inermi a Cefalonia di Francesco Rosso

La strage dei novemila inermi a Cefalonia — Ritorno nell'isola insanguinata dal feroce delitto nazista = La strage dei novemila inermi a Cefalonia E' difficile ritrovare i luoghi della tragedia, dopo il terremoto di dieci anni fa • Ma nejla memòria degli abitanti resta l'atroce ricordo, di quel' settembre 1943 - Sentirono i mitra abbattere 540 ufficiali e 8500 soldati della divisione «Acqui»; videro i soldati di Hitler bruciare i cadaveri o gettarli in mare - Il crimine fu freddamente premeditato dal còl. Barge e dai suoi collaboratori - Avevano imposto al presidia italiano, abbandonato dagli Alti Comandi, una resa inaccettabile per uomini d'onore; la resistenza li confermò nella spietata volontà di massacro (Dal nostro inviato-speciale) Argostoli (Cefalonìa), ,16. settLa rievocatone incominciò sulla nave, un vecchio piroscafo greco lucente di mogani come un vagone letto del secolo scorso, che fa il cabotaggio ■ fra Brindisi e leisole joniche. Il maestro di casa è di Cefaionia e V8 settembre 19J,S era ad Argostoli. A tavola, sorseggiando vino resinato, descriveva sottovoce il massacro della divisione Acqui come lo vide dalle fessure delle sue imposte: una mostruosa carneficina scandita sul rombo degli autocarri ohe trasportavano a scaglioni successivi tutti i 51,0 ufficiali al luogo del supplizio, con il contrappunto dei mitra che sparavano a raffica e nel silenzio che seguiva il crepitio sinistro delle rivoltellate per il colpo di grazia. Alcune notti dopo gli autocarri avevano compiuto il tragitto inverso; colmi di cadàveri frettolosamente riesumati dalle fosse comuni, andavano a gettarli in mare, e durante alcune notti la sua casa, situata presso Punta San Teodoro, poco distante dàlia « casa róssa * del massacro,' sussultò al rombo- sinistro dei motori diretti atta bara liquida del Jonió.. « Penso (disse) che i tedeschi abbiano, avuto onta e volessero cancellare le tracce del misfatto compiuto senza.una ragione valida, almeno, dinanzi alla spietata .economia della guerra. Non so proprio perché lo abbiano fatto». Nessuno potrà mai dare una spiegazione cpnvincente a questo oscuro delittuoso episodio, né dire perché i tedeschi hanno massacrato novemila, fra soldati e ufficiali italiani ormai disarmati e prigionieri. Fu. una colata di freddo ■ odio vendicativo, oppure un atavico impulso belluino alla strage a indurre uomini di crosta civile all'orrenda carneficina? Domande che non avranno mai risposta. Dopo avere quotidianamente disintegrato migliaia di ebrei nei forni crematori, Eichmann tornava a casa e suonava il violino. Non so dove siano finiti il colonnello Barge, il capitano Bitter, il tenente Fauth, ma se sono ancora vivi è probabile che abbiano dimenticato il nefando ordine di sterminare novemila uomini inermi; se sono ancora vivi, potrebbero anche ritornare a Cefalonia come turisti, e 10 farebbero senza turbamenti eccessivi. Forse non la riconoscerebbero subito, il terremoto che nel 195S ha sconvolto l'isola 11 ha soccorsi cancellando quasi integralmente i ricordi Disivi di quelle giornate grondanti sangue; ma qualcosa è rimasto ed è impossibile toglierlo dalla memoria degli uomini scampati all'eccidio. Degli undicimila della divisione Acqui, alcuni si sono salvati dal massacro prima, dalla prigionia poi, ed è con la loro testimonianza che fu possibile ricostruire nei dettagli l'agonia della divisione dal pomeriggio dell'S settembre, quando fu annunciato l'armistizio, al 22 successivo, quando le mitragliatrici smisero di uccidere e su Cefalonia sventolò la bandiera rossa della strage consumata. Uno di quegli uomini è qui con me, mi guida nel dolente pellegrinaggio attraverso l'isola, indicandomi i luoghi dove si combatté contro i tedeschi, i punti dove cataste di cadaveri di soldati italiani irrorate di benzina illuminarono le chiare notti ioniche, ardendo in falò disumani. Se non potevano gettarli ai pesci, i tedeschi bruciavano i corpi delle vittime che. ave-: vano appena fugilat^t^^y uliveti o mt'i^^^^mX^ delle collinei càrsic/te. 1 -ìjex caporale Tommaso Argento è un catanese stabilitosi in un villaggio prossimo a Domodossola. Scrisse tempo addietro a <Specchio dei tempi» chiedendo che nella ricorrenza dei venti anni dal massacro lo aiutassero a compiere il pellegrinaggio all'isola del martirio, dove vide tanti suoi amici cadere trucidati dai tedeschi. . , « Specchio dei tempi » gli ha pagato viaggio e soggiorno, e il poveruomo cammina da un pulito all'altro dì Cefalonia, sotto il sole ancora estivo, sudando siigli aridi greppi dove erano appostate le batterie italiane, cercando non so che cosa, forse una immagine ancora viva di quelle giornate atroci. Dovevano essere giorni come questi, colmi di luce che annegava in svenato languore tutta l'isola, incendiava il verde lucente dei pioppi e degli eucalipti, giornate di vacanza dei sensi e dello spirito in un paesaggio idilliaco. V annuncio dell' armistizio provocò, come ovunque in Italia, una fallace sensazione di euforia tra i soldati. Nella guarnigione di Cefalonia gli italiani avevano ritrovato un certo sapore di vita borghese, ma il tarlo della nostalgia li rodeva anche nell'ozio delle retrovie. All'annuncio dell'armistizio esultarono, « Si torna a casa, gridavano, si torna a casa ». Invece la morte già planava sulla luminosa estate jonica, beffarda perché li stordiva col miraggio del ritornò imminente, li irretiva nella seduzione del meriggio limpido; in quell'ora, in un luogo come Cefalonia, tutto appariva facile, persino ritornare a casa, benché nella rada non ci fossero navi. C'erano i tedeschi, ma pochi, con sole armi automatiche e alcuni panzer, e non avrebbero potuto dare fastidio. Erano giunti il 10 agosto con il pretesto di integrare i « camerati » italiani, ma già con ordini precisi sull'atteggiamento da assumere se l'Italia avesse chièsto l'armistizio agli alleati. Erano circa milleottocento soldati e venticinque ufficiali, una forza trascurabile per gli. undicimila della divisione Acqui, che disponevano di artiglieria e occupavano i punti strategici più importanti dell'isola. Se. l'8 settembre si fossero mossi, sarebbero stati an-nienkatì in breve tempi. In,.p.e,c.e })$w si mossero, ma non si mosse nemmeno il comando italiano, irresoluto sulla interpretazione dell'ambiguo bollettino che annunciava l'armistizio, e l'ordine impartito dal generale Vecchiarelli di « Supergrecia » di arrendersi immediatamente ai tedeschi. Il generale Antonio Gandin, che comandava la divisione « Acqui », esitò dinanzi all'ordine stolto e infamante, gli sembrava enorme che un suo superiore non avesse tremato al pensiero di avvilire fino a quel punto l'esercito italiano. Inoltre gli pareva strano che il colonnello tedesco Hans Barge arrivasse alla sede del comando italiano di Cefalonia quasi contemporaneamente all'ordine emanato dal generale Vecchiarelli; egli sentiva alle spalle un sottile lavorio di accordi e complicità, una mostruosa ragnatela che si andava tessendo via via fino a completarsi nella repubblica di Salò. Ma in quel mattino del 10 settembre il generale Gandin non poteva immaginare quanto sarebbe accaduto, e ascoltava trasognato le condizioni che il colonnello Barge gli pOne.va: la divisione < Acqui-» avrebbe consegnato tutte le armi, personali e di dotazione, il mattino successivo in piazza Valianos. Il disegno del comandante tedesco era chiaro; pretendeva l'impossibile per costringere il suo ex alleato a rifiutare le umilianti condi¬ zioni di resa. Il meccanismo della strage incominciò a muoversi con quelle richieste. ' Se il generale Gandin avesse accettato, avrebbe affogato nella vergogna se stesso e gli undicimila uomini che gli ubbidivano; se avesse rifiutato, egli, colonnello Barge, avrebbe prolungato le trattative, rubando all'avversario alcuni giorni preziosi, finché non avesse ricevuto consistenti rinforzi dal continente. Imporre la resa e la consegna delle armi sulla piazza di Cefalonia, non era soddisfazione sufficiente per il comandante tedesco. Piazza Valianos è ancora oggi il centro di Argostoli, capitale dell'isola, e sarebbe stata il palcoscenico ideale per umiliare i soldati italiani; ci sarebbero stati tutti i greci di Cefalonia ad ammirare l'invincibilità dell'esercito hitleriano, a guardare undicimila italiani che si arrendevano a pochi tedeschi. Sia se questa prospettiva lusingava il suo amor proprio, lasciava insoddisfatto il suo orgoglio militaresco; voleva che il generale Gandin rifiutasse la rer sa, perché nel volgere di due giorni, con l'appoggio degli Stuka, sperava di poterlo sconfiggere sul campo. Mentre parlava con l'exalleato nella camera del comando italiano, egli poteva ammirare dalle finestre il calmo paesaggio di Cefalonia, sentiva salire dalla strada i rumori della vita di ogni giorno, voci di venditori di uva, chiacchiericcio del caffè di fronte, zoccolare di cavalli sul selciato, rombare di automezzi diretti, come ogni giorno, ai servizi nei depositi e nei distaccamenti. L'isola pareva stordita dalla limpida atmosfera che l'avvolgeva. Nessuno poteva immaginare che nel chiaro sole potesse maturare la tragedia selvaggia. Lui solo, il colonnello Barge, forse già la meditava. Fu in quei momenti di trattative artificiose che forse l'eccidio come vendetta gli si presentò alla mente già freddamente delineato. No, lo spettacolo di piazza Valianos con il generale Gandin che gli consegnala la pistola e i cinquecentoquaranta ufficiali italiani che facevano altrettanto con i suoi venticinque, mentre undicimila soldati si arrena devano ai suoi pochi granatieri, non poteva arrestare l'impulso irrazionale che gli si muoveva dentro suo malgrado. L'avventura di Cefalonia doveva concludersi con uno sterminio nibelungico, da ricordare nei secoli. Così avvenne, e così sarà ricordato, ma non come egli immaginava. Fu un delitto bestiale, che ricorderà soltanto in quali abissi di efferatezza può sprofondare l'umanità abbrutita ■ dalla guerra. Francesco Rosso