Picchiarono a morte un mendicante per le ingiuste accuse di una ragazza
Picchiarono a morte un mendicante per le ingiuste accuse di una ragazza Picchiarono a morte un mendicante per le ingiuste accuse di una ragazza Confermata dalla Cassazione la condanna a sette giovani che uccisero un girovago perché aveva molestato una giovane - Poi si scopri che non era vero - L'episodio tre anni or sono, presso Milano (Nostro servizio particolare) Roma, 6 settembre. Nella borgata di Ca* dei Quinzani, a un'ora d'auto da Milano, il 6 marzo 1960 si era sparsa la voce che il vagabondo Renzo Bottoli aveva dato fastidio a una ragazza del luogo, Pompea Masseronl di 14 anni: l'aveva seguitale spaventata. Invece non era vero, perché quando il Bottoli era già morto, la giovane disse che l'uomo si era limitato a un fugace sguardo di ammirazione, ma nulla di più. Quella sera comunque, nel borgo, era avvenuta un'esplosione di ferocia collettiva e inaudita. Un .gruppo di giovani aveva accerchiato il mendicante, con aria minacciosa. Questi aveva tentato di fuggire, ma subito qualcuno gli aveva sferrato un pugno. Il poveretto, che era tubercolotico e per di più ubriaco, era crollato subito a terra. Lo avevano rialzato e poi picchiato e picchiato ancora, per due ore di seguito. Intorno si erano fatti gli uomini del paese, e anche'le donne e i bambini. Nessuno era intervenuto, nessuno che sen tisse pietà. Al contrario la gen te aizzava gli energumeni, incitava e gridava con tutte le forze. Finalmente, a tarda notte, il pover'uomo veniva lasciato in pace: ma era troppo tardi. Era morto. Dei numerosi partecipanti al linciaggio, sette soltanto erano rimasti nelle maglie della giustizia: Guido Baietti, Sergio Braga, Marino Simonazzi, Paolo Marini, Francesco Taverna, Stefano Denti e Giovanni Antonioli. La Corte d'Assise di Cremona li aveva condannati, il sette febbraio del 1961, a otto anni di carcere, la pena era stata poi ridotta di un anno, in appello. Ora, la Suprema Corte ha respinto il ricorso degli imputati e la sentenza è passata in giudicato. La Cassazione ha spiegato, nella motivazione della sentenza, che i giovanotti non hanno percosso il Bottoli ognuno per proprio conto, come gli imputati sostenevano nel loro ricorso,' senza preoccuparsi di ciò che facevano gli altri, ma fin dal primo momento essi hanno agito con piena coscienza dell'apporto di ciascuno alla azione comune, ponendo in essere un duro « pestaggio » protrattosi attraverso pause e ri prese di accanimento per oltre un'ora e mezzo. «Pertanto se tutti vollero coscientemente concorrere nel percuotere il Bottoli, tutti secondo la sentenza impugnata dovevano rispondere dell'omicidio preterintenzionale, senza che potessero avere importanza la mancata partecipazione di qualcuno degli imputati a tutti i fatti di violenza o la mancata identificazione di quello o di quelli degli imputati cui attribuire i colpi direttamente determinanti la morte >. r. S.
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