Jacques Anquetil ha vinto il suo quarto Tour: ora suscita entusiasmo e non solo ammirazione

Jacques Anquetil ha vinto il suo quarto Tour: ora suscita entusiasmo e non solo ammirazione Il Giro di Francia si è concluso a Parigi con un irresistibile sprint dì Van Looy Jacques Anquetil ha vinto il suo quarto Tour: ora suscita entusiasmo e non solo ammirazione A ventinove anni l'asso francese, malgrado la sua stupenda carriera, non aveva saputo conquistare il cuore dei tifosi Le sue vittorie destavano soltanto un senso dì distaccata ammirazione - Gli si rimproverava di essere un corridore freddo, calcolatore, senza slanci, senza generosità e coraggio - Proprio al Tour che non voleva correre, Jacques ha dimostrato di possedere tutte queste qualità così care alla folla - Adesso è diventato per tutti c Jacquot •, uno di famiglia - Dopo Anquetil meritano un elogio Bahamontes e Van Looy - La sfortuna degli italiani ripagata solo in parte dal 7° posto di Fontana DAL NOSTRO INVIA TO Parigi, lunedi mattina. Aveva torto, Anquetil, quando, a Forlì — poco più di un mese fa — cercava di spiegarci i motivi per i quali non voleva correre il Tour. < Non bo niente da guadagnare e tutto da perdere — diceva il campione francese — se lo vinco, sosterranno tutti che si tratta di una cosa assolutamente normale, se lo perdo mi seppelliranno di critiche >. Aveva torto, Anquetil, a parlare così: perché ha vinto il Tour, il quarto della sua lunga e stupenda carriera, e si è accorto che il gioco valeva là candela, ha vinto il Tour ed ha raggiunto quel traguardo che sempre gli era sfuggito, è entrato cioè nel cuore della folla, lui che, a 29 anni, dopo tanti trionfi, sembrava avere un destino strano, il destino di lasciar la folla fredda, apatica, indifferente. Anquetil destava ammirazione, ma non suscitava entusiasmi, aveva molti estimatori e pochi tifosi, la gente semplice che si interessa di ciclismo non gli voleva bene, magari gli batteva le mani, ma, sotto sotto, lo rimproverava di essere troppo lucido calcolatore, lo riteneva incapace di slancio, di generosità, di coraggio. Insomma, Anquetil, non era popolare ed il Tour del '63 gli è servito, Anquetil, nel volgere breve di tre settimane, ha cambiato 11 suo destino, adesso la folla, la grande ffUa che si accalca ai bordi delle strade, non solo lo sjfima, ma lo capisce, e lo apprezza. Non lo considera più un superuomo cui tutto riesce facile, lo considera uno dei loro — uno che sa soffrire, che sa rimboccarsi le maniche ai momento giusto, che è capace di stringere 1 denti. Anquetil è sceso dal suo piedistallo, Anquetil è diventato « Jacquot », Giacomino, uno di famiglia. Merito suo, merito delle circostanze. La folla non . aveva fiducia, l'eccessiva altalena di « no », di « sì », di « quasi », di « forse », alla vigilia della gara avevano convinto il pubblico che Anque. ti', prima o poi, si sarebbe .ritirato e la caduta effettuata con Cogllati proprio il primo giorno di còrsa ribadì la convinzione generale. Il normanno avrebbe Semplicemente aspettato l'occasione favorevole per tornarsene a casa, dalla sua biondissima Janine. ' Anquetil, invece, non appena abbassata la bandierina del via, s'era scoperto, un impensabile orgoglio. Lo avevano voluto? Bene, avrebbero dovuto fare 1 conti con lui, ormai aveva deciso di vincere, di vincere alla maniera fqrte, di vincere come vince un campione, la cui classe è scaldata dalla fiamma della volontà. E Anquetil ha indovinato tattica, nelle prime tappe, In una sarabanda Infernale di una competizione che, sotto l'impulso scatenato dei belgi, filava a medie inverosimili, ha pagato spesso di persona, mai si è lasciato sorprendere dalle offensive condotte a quarantacinque all'ora. Poi, quando sono venuti i Pirenei è balzato all'attacco, vincendo, per la prima volta nella sua vita, una tappa di montagna. I tifosi hanno scoperto uh Anquetil nuovo di zecca, gli organizzatori si sono trovati in mano un imprevisto atout per la loro gara che pareva dovesse trascinarsi povera e scialba. Anquetil provava gusto al gioco, la sua vecchia abilità mise alla frusta la sua ottima squadra nel lungo mo mento che separava i Pirenei dalle Alpi; quindi Jacques, sulle Alpi, volle tornare di scena, nel giorno più duro, il giorno del Piccolo San Bernardo, del Gran San Bernardo, della Forclaz e del Montets, scattò ancora all'attacco e fu un trionfo su quel colli dove, per antica abitudine. Anquetil avanzava a fatica, mettendo in mostra ben scarse doti da arrampicatore. Vinse U Tour, in quella tappa. E lo vinse bene, cosi come piace a chi ama il ciclismo. I cinquantacinque chilometri della « cronometro » di Besanqon gli furono utili semplicemente per I ritocchi. Ha vinto bene, quasi tornando al tempi ormai sbia diti delle imprese gloriose dei Coppi e dei Bartali, ed è giusto e logico l'entusiasmo ohe ha suscitato. Non gli riescono, né mal gli riusciranno le cavalcate in montagna che riuscivano invece a Fausto ed a Gino, ma l'impresa di Anquetil dev'essere inquadrata nel tempi moderni, nel tempi del ciclismo 1963. E vi trova allora il suo giusto valore, è merito suo, se un Tour destinato ad uh pallido successo, ha offerto invece il brivido di una sensazione immediata, la realtà di un exploit capace di smuovere l'apatia di spettatori fin troppo orientati verso lo scetticismo. Perché, alla resa dei conti, un Tour senza Anquetil sarebbe stato davvero ben poca cosa. Come tutte le altre eorse a tappe, in questo periodo in cui i personaggi scarseggiano sempre di più, il Tour dev'essere riveduto e corretto, come le altre corse a tappe dev'essere ridimensionato. Due settimane sono più che sufficienti, nessuno è più capace di trovar validi motivi di schietto interesse per una manifestazione che si trascina per oltre venti giorni. Presto o tardi, poi, bisognerà ritornare alla formula delle compagini nazionali, formula che garantisce, almeno sulla carta, emozioni semplici ma reali. Ed il provvedimento sarà utile in particolare per l'Italia, da noi ben poche squadre sono in grado di avere agli ordini venti, venticinque uomini di buona levatura, in- grado cioè di partecipare al Giro ed al Tour con formazioni capaci di tenere validamente 11 campo in entrambe le manifestazioni. La tesi contraria, la tesi delle squadre di marca, dovrebbe assicurare un movimento più vasto, concedendo ad un maggior numero di personaggi la possibilità di emergere senza esser obbligati à rinunciare alle proprie «chances» in obbedienza al gioco di squadra; ma la realtà dimostra che ' 1 personaggi non ci sono. Quest'anno belgi e spagnoli che avevano ranghi particolarmente folti hanno espresso soltanto un grande Van Looy ed un sorprendente Bahamontes; ed i due avrebbero potuto ugualmente emergere in veste di «capitani» di rispettive squadre nazionali. La compagine di marca, inoltre, ha per forza di cose, un uomo solo che punta al successo, se quest'uomo patisce la sfortuna di esser tolto di mezzo da un incidente, ed è il caso di Balmamion, la squadra perde slancio, vitalità, entusiasmo. Restiamo, d'accordo, nel campo delle Ipotesi. Ma una nazionale italiana, nel 1963, avrebbe probabilmente allineato, oltre a Balmamion, un Taccone o un Adorni, o un De Rosso; scomparso Balma- mlon, ci sarebbe rimasto qualche altro atleta a disposizione Od anche le eventuali rivalità Interne — ragionando egoisticamente — entrano a far parte del gioco, accendendo prima passioni e bisticci, e risolvendosi poi, come insegna l'esperienza del tempi di Coppi e di Bartali. Tiriamo 1 conti, il Tour del 1963, è stato bello o no? E* stato giusto, perché ha premiato l'uomo migliore, è stato Interessante, perché ha permesso di osservare un Antequii «nuova maniera», ha avuto qualche episodio divertente, grazie alla «verve» di Van Looy ed, alla caparbietà di Bahamontes. Ma non è stato bello. Si è trascinato fiacco per troppi giorni, è mancato all'attesa per quanto riguarda i giovani, è stato dominato da capo a fondo da uomini la cui età media è superiore ai trent'anni, Cè bisogno d'un soffio di giovinezza, ma belgi, francesi e spagnoli mancano di corridori capaci di trasformarsi da speranze in realtà, i giovani, sembra strano ma è cosi, li abbiamo noi, anche se non sappiamo quale sia il loro vero valore in un confronto a livello internazionale. Avrebbero potuto bruciarsi, sostengono 1 pessimisti, ed è vero. Ma avreb bero potuto emergere, e nessuno è in grado di far prevalere la propria tesi. - Discutere a questo propo sito è l'unica soddisfazione che il Tour lascia a noi italiani, che possiamo conso larcl imprecando ad una ^fortuna, i una .volta tanto, ^dàvvéròMmplàcabfiè. La Carpano soprattutto ha pagato il fio, ha perso per colpa di rovinosi capitomboli, Balmamion, Cogllati, Centina e Bariviera e noi siamo convinti che Balmau.ion, almeno tra i primi cinque si sarebbe classificato e senza nemmeno uno sforzo eccessivo. E non ha avuto la sorte alleata nemmeno la Ibac Molteni, con un Carlesi giù di tono e di morale, che è riuscito persino a farsi investire da una macchina fuori corsa. Battistini e Fontana hanno tenuto duro, Fontona in particolare con 11 suo settimo posto conclusivo, ha tenuto alto 11 nostro vacillante prestigio. Un po' poco, ma è bene accontentarsi, meglio poco che niente, In questo Tour che non ci ha sorriso, in questo Tour tenuto in piedi sino in fondo da un grosso campione. Diciamo anche noi, e con sincerità: «Merci, Monsleur Jacques! >. Gigi Boccacini lì ;||ÌS|1I111ÌI11:; §:M:A Bahamontes (a sin.), secondo arrivato, ei complimenta eoi vincitore Anquetil (Tel.)

Luoghi citati: Bahamontes, Forlì, Francia, Italia, Parigi