Lo scrittore russo deve «parlare al popolo» e dimentica la realtà più grande, l'uomo di Enzo Biagi

Lo scrittore russo deve «parlare al popolo» e dimentica la realtà più grande, l'uomo CONCLUSIONE (NEGATIVA) DEL CONVEGNO DI LENINGRADO Lo scrittore russo deve «parlare al popolo» e dimentica la realtà più grande, l'uomo (Dal nostro inviato speciale) Leningrado, 9 agosto. Non era poi tanto importante stabilire quali sono le condizioni del romanzo contemporaneo. « U. romanzo », ha detto ironicamente Ilja Ehrenburg, «è sempre in crisi. Quando lo scrivono gli altri, si intende ». E Tvardowski, il direttore del Novi Mir, la più coraggiosa rivista letteraria sovietica, ha raccontato che, cento anni fa, i giovani Turgheniev e Tolstoj passeggiavano nelle lunghe notti bianche di Pietroburgo, e discùtevano sul futuro della narrativa russa. Le dispute letterarie finiscono spesso nell'accademia, specialmente quando si parlano linguaggi diversi, e si hanno alle spalle contrastanti esperienze. Durante quattro giorni, a Leningrado, gli scrittori della Comunità europea hanno avviato un dialogo: ma più che i discorsi contavano le persone, più delle relazioni lette al microfono le conversazioni avviate nei corridoi. Contava la lista dei presenti, e quella degli esclusi. Vi era Tibor Dery, il più importante romanziere ungherese, compromesso nei fatti del '«6: Kadar In ha mandato e i sovietici lo hanno ricevuto. Accanto a lui sedeva l'ex-redattore capo dell'Humanité che, mentre sui ponti del Danubio sparavano i cannoni, scrisse un memorabile articolo intitolato: «Ho visto sorridere Budapest ». Non c'era Evtuscenko, ma ha parlato Ilja Ehrenburg: però alla sua relazione la Pravda non ha dedicato una riga. I sovietici hanno lasciato a casa Kocetov, un rigido conservatore, responsabile della rivista Oktiabr e autore del romanzo : « Il segretario regionale » : il' protagonista della impegnativa operetta, sconvolto dalle rivelazioni del XX congresso, si ritira nel suo studio, va davanti al ritratto di Stalin e dice: «Tu sei troppo grande, e 10 troppa piccolo per giudicarti ». Però è venuto il segretario dell'Unione scrittori di Mosca, Surkov, e ha dichiarato : « Non amo la gente che viene qui a darci lezioni. Ricordo Malraux, che partecipò a un convegno nel lontano 1932 e, pur rendendosi conto delle nostre difficolta, ci guardava dall'alto in basso. Non ci piacciono quelli che salgono alla tribuna per farci la predica. C; siamo avvicinati e abbiamo stabilito contatti utili per il futuro. Ma non dimenti cate che per quarantacinque ari ni siamo stati abituati a pensare non solo al nostro destino, ma anche a quello del vicino di casa, dell'uomo che passa per la strada, abbiamo imparato l'amore per la collettività 1. Concetto a tratti ambiguo e grossolano; al quale ha fatto seguito una dissertazione ugualmente sgradevole di Anissimov, 11 direttore dell'Istituto di letteratura mondiale. Un personaggio che ha un posto di tale responsabilità dev'essere di certo un gigante della competenza; purtroppo non si è distinto per eleganza di polemica. Ce l'aveva un po' con tutti, con Ehrenburg che, constatando certe incomprensioni di tutte c due le parti aveva esclamato : « Mi pare di assistere a un colloquio fra sordi ». « Abbiamo sentito tutto e capito tutto molto bene », ha risposto con freddezza. E a Vigorelli «Voi vi tenete i vostri padri, Kafka e Joyce, e noi il nostro Gorki, che merita rispetto. (Sartre lo ha spregiudicatamente de finito « l'ultimo scrittore zarista »). E non venite a darci con sigli che non ne abbiamo affatto bisogno. Ricordate che non siamo imitatori di Balzac, ma i suoi eredi. E vogliamo che i giovani si rifacciano ai nostri classici per mantenerli vivi ». E' presumibile che Cepov, Dostoiewski o Puskin non abbiano bisogno di questi soccorsi. Poi se l'è presa col tedesco Ensensberger: «Dice di non aver capito il fascismo — ha esclamato con sdegno — ma anche nella sua lingua ci sono libri per spiegarglielo ». Ensensberger, per la verità, non si era presentato come un cretino : aveva semplicemente inteso esprimere il suo disagio perché non riusciva ad afferrare come certe mostruosità avessero potuto far presa sulle coscienze. « Gli interventi di questi vecchi non mi piacciono», ha detto senza ipocrisie un delegato svedese. Non è facile comprendere certi atteggiamenti mentali ostinatamente chiusi, che danno luogo a complessi d'inferiorità irragionevoli, a permalosità puerili. I giovani sono meglio, più liberi interiormente, e forse anche più informati. «Considerate» ha detto Aksjonov «che noi dobbiamo aprire porte fortemente sbarrate». Non ha ripetuto i soliti motivi del dover re dello scrittore verso la società, del rispetto che è dovuto alla collaudata ricetta del realismo socialista : « Il problema » ha spiegato « non è fare un romanzo realista, o di gusto mo¬ dbtmFlnMdlnpllmerl1lghnefosvzlvldctdzvdsT ni 1 derno, ma fare in assoluto buon romanzo ». Aksjonov ha trentadue anni ed è laureato in medicina. Conosce Hemingway, Faulkner e Salinger; i sovietici leggono più gli autori americani degli europei. Degli italiani, Moravia e Pratolini, che considera buoni scrittori, ma di più lo interesserebbero i suoi coetanei. Ha ribaltato tutte le teorie proclamate dai suoi compatrioti ligi a quella che è ritenuta la linea del partito : « Non parliamo del problema della forma e del soggetto», ha detto. «Ha ragione chi sostiene che tutte le trame sono già nella Bibbia. 10 non credo nelle teorie, perché la letteratura non è una macchina elettronica e non si può programmare a priori ». Il direttore del Novi Mir non ha detto nulla di straordinari», non ha proposto innovazioni estetiche, ma non ha ripetuto nemmeno i ritornelli dei conformisti. E' un omaccione dagli occhi azzurri, una larga faccia slava, uno sguardo leale: si devono a lui le . maggiori rivelazioni della letteratura del disgelo « L'essenziale », ha detto con voce tonante, « è l'anima dell'uomo. Quando il personaggio del racconto diventa mio amico, ecco il miracolo. Lo scrittore, è vero, cerca, ma sa quello che vuole, egli è impegnato dal suo cuore, dai suoi pensieri, dalla sua speranza ». Ha parlato di Aleksandr Solzenitsyn e della sua ultima .invenzione: Matrjona, una donna di campagna analfabeta, ma spiritualmente ricca, ha detto Tvardowski, come Anna Karenina. La contadina Matrjona, che tutti ha amato ed aiutato, muore. « Le eravamo vissuti accanto », scrive Solzenitsyn, « e non avevamo compreso che lei era il Giusto senza il quale, come dice il proverbio, non esiste il villaggio. Né la città. Né tutta la terra nostra ». Solzenitsyn è a letto con la febbre. Non è venuto .a Leningrado né a Mosca, perché sta tanto male; e Tvardowski ha detto, che senza fare 11 suo nome non si potrà più parlare della letteratura russa di questi anni; egli è la più importante voce nuova, una voce che è in pericolo perché è minacciata dal male. '' Sartre, con una chiarezza che è tutta .francese, in qualche minuto ha fatto il processo alle esagerazioni, ai dissidi e alle illogicità del dibattito; ha messo soprattutto in luce le diversità politiche e sociali dei due mondi, che hanno poi un peso determinante anche sull'opera letteraria. « Gli occidentali », ha detto, « non possono parlare per tutti, come i sovietici. I russi arrivano direttamente al grande pubblico, lo scrittore occidentale, per conquistare le masse, deve soddisfare determinate condizioni. I nostri lettori hanno idee diverse, i vostri hanno una idea sola. Dire che volete rappresentare la realtà: ma' quale? E la volete creare o interpretare? Il realismo socialista intende esprimere la realtà, ma il roman- zo è creazione; anche voi dun- que mentite, pure credendo di raccontare la realtà. Zdanov di- ce va che bisogna interpretare il presente con gli occhi rivolti al meraviglioso avvenire, ma il future si sviluppa nell'ignoto, e seguire questa regola vuol dire contrastare il presente. Quando si parla di Kafka, di Proust e di Joyce come decadenti vuol dire che non si sono letti. Questo è un marxismo, elementare: una società decadente non può originare che artisti decadenti. Il marxismo dialettico impone un altro ragionamento: se la società è decadente l'artista si tormenta per denunciarne i caratteri, la critica, e fa opera rivoluzionaria che servirà alla società futura. Se non vi rendete conto di questo, mi domando dov'è finita da voi la dialettica. E non è giusto, come ha fatto Caillnis, affermare che l'artista hai responsabilità verso il meglio dell'uomo. L'umiliato, lo sfruttato, che cova solo rancore, non merita questo rispetto? ». Non mi pare il caso di tirare le somme; non c'è un'aritmetica delle concezioni e dei principi. Questa è una piccola radiografia di un piccolo mondo nel quale, dietro il paravento dei tecnicismi estetici, si sono dibattuti i problemi del nostro tempo. C'è una tregua nucleare ma non mi pare se ne delinei una ideologica. Lo scrittore dell'Ovest si rivolge all'uomo, lo scrittore dell'Est deve parlare al popolo. C'è una coesistenza culturale; ognuno si tiene i suoi astrattisti, o i suoi pittori che esaltano i bonificatori delle terre vergini. I Kandinski e gli Chagall dell'» Ermitagc » continuano a restare in cantina. E anche la vecchia guardia letteraria, che. già esaltò le conquiste kolkosianc e le meraviglie dell'elettrificazione, non è ancora disposta ad ammainare la sua bandiera. Le voci nuove sono, pattuglie di esploratori. Enzo Biagi

Luoghi citati: Budapest, Leningrado, Mosca, Pietroburgo