La fine del Ghetto di Varsavia in un drammatico documentarlo

La fine del Ghetto di Varsavia in un drammatico documentarlo La fine del Ghetto di Varsavia in un drammatico documentarlo « Vincitori alla sbarra », di Frédéric Rossif, da ieri a Torino ■ Il materiale cinematografico di cui si avvale fu fatto girare da Goebbels - Doveva servire alla propaganda: quando lo vide, il ministro nazista capì che avrebbe provocato l'effetto contrario, e lo fece archiviare (Lux) — Non fate caso al ti' tolo stonato e grottesco: Vincitori alla sbarra è l'edizione italiana, con oltre due anni di ritardo, di Le temps du Ghetto uno dei più rigorosi e sconvol genti film t'i montaggio che si siano finora visti. Composto dal francese Frédéric Rossif, che quest'anno ha già presen tato a Cannes e a Locarno la sua seconda opera dedicata alla guerra di Spaglia (Mourir a Madrid), esso ricostruisce la tragedia del Ghetto di Varsavia sotto l'occupazione nazista. E la ricostruisce con materiale., cinematografico e fotografico quasi tutto-inedito, girato dagli stessi tedeschi. Goebbels, in un primo tempo, aveva pensato di servirsene per la propaganda antisemita. Resosi conto che rischiava di sortire l'effetto contrarlo, ordinò di riporre le pellicole negli archivi da dove, a guerra finita, esse passarono nelle cineteche della .Polonia, della Germania Orientale, di Israele, della Francia e di altri Paesi. Seicentomila ebrei furono murati nelle anguste vie e negli squallidi casamenti del Ghetto di Varsavia: la fame, gli stenti, le esecuzioni, le epidemie decimarono quegli infelici che tuttavia resistettero quasi due anni finché, iniziate le deportazioni in massa verso i campi di sterminio, ottantamila si levarono in armi — e quali rudimentali armi — contro i cannoni e i carri delle SS. Era la primavera del 1943: non fu una rivolta per non morire, ma per scegliere come morire. La battaglia durò se) settimane. Al termine, del Ghetto di Varsavia non rimaneva che un mucchio di ro vine. Cinquecento soltanto — su seicentomila! — furono i superstiti, e nei modi più fortunosi. Quarantaquattro di essi sono stati portati davanti alla macchina da presa e, spesso esprìmendosi in un agghiac dante tempo presente (come se per alcuni non fossero trascorsi quasi vent'anni, ma solamente venti ore), hanno rievocato ciò che le immagini via via': confermano con l'impietosita dell'obiettivo. Nulla ci è risparmiato: all'orrore — che a volte induce a distogliere lo sguardo — per le atroci carneficine, alla pietà per quei corpicini scheletriti di bimbi, al furore per le inutili crudeltà degli aguzzini, s'aggiunge lo stupore di sapere che taluni s'illusero di sfuggire al loro destino accettando di farsi poliziotti dei; loro correligionari, o di vede re che teatri e ritrovi del Ghetto continuarono per parecchio tempo ad essere aperti e frequentati. Il commento, dello stesso Rossif e di Madeleine Chapsal, è sobrio e soprattutto s'affida ai racconti, semplici e terri- bili, degli scampati; mentre la straziante colonna musicale di Maurice Jarre — quasi sempre un violoncello che piange — accresce la commozione. Si sostiene che il pubblico cominci ad allontanarsi da questi spettacoli. Non sarebbe Un buon segno: tapparsi occhi ed orecchie, non volere sapere niente ' è vano e .'pericoloso, favorisce il ripetersi di antichi e fatali errori. Perciò dispiace che un film come Le temps du Ghetto, che dovrebbe essere mostrato in tutte le scuole, venga presentato alla chetichella, in piena estate, con l'evidente certezza (o speranza?) che dopo due giorni nessuno ne parli più. Vice .' Un drammatico documento riportato dal film di Frédéric Rossif. La battaglia del Ghetto di Varsavia è finita. Le SS del generale Stroop rastrellano gli ebrei sopravvissuti fra le rovine e li portano alla fucilazione

Persone citate: Goebbels, Madeleine Chapsal, Maurice Jarre, Rossif, Stroop