II medico astigiano rievoca la sua fuga mentre nella città crollavano le case

II medico astigiano rievoca la sua fuga mentre nella città crollavano le case II medico astigiano rievoca la sua fuga mentre nella città crollavano le case Le strade erano piene di gente che "correva verso la sua auto: donne con i bimbi al petto, vecchi che si trascinavano come potevano, corpi semisepolti dai crolli ■ Ora il dott. Sacco Botto è ripartito per finire le vacanze con la bella moglie in Valle d'Aosta dove l'attendono i figli (Dal nostro inviato speciale) Asti, 29 luglio. Il dott. Pierluigi Sacco Botto e la giovane moglie Anna — fuggiti da Skopje, in Macedonia, mentre la città era devastata dal terremoto — sono ripartiti da Asti, stasera, per concludere le loro vacanze in Valle d'Aosta, ad Antagnod, sopra Champoluc. Lassù si trovano da qualche tempo i loro tre figli, Anna Rosa di quattro anni, Carlo di due e mezzo e Federico di 18 mesi. Il chirurgo astigiano si è rimesso rapidamente dalle terribili impressioni riportate nella fuga, all'alba, attraverso la folla muta e disperata della capitale macedone. Oggi pomeriggio, sulla piazza del Duo¬ mo, ha concesso una intervista alla televisione ed ha consegnato agli operatori il film a passo ridotto che la moglie ha « girato » durante la corsa in auto fra le strade cosparse di macerie, di fili elettrici, di masserizie, di tegole, di' blocchi di cemento. Erano alloggiati all'albergo « Tourist » e la prima scossa di terremoto, alle 5,14 del 26 luglio, li sorprese nel sonno. Il medico dice che « la stanza ondeggiò come se una mano gigantesca la scrollasse », un muro si apri, il lampadario precipitò sul pavimento, il telefono venne scagliato da un capo all'altro della camera mentre da sottoterra giungeva un boato tremendo. «Anna — prosegue il medico — riempi in fretta due valigie e ci precipitammo dalle scale. Io andai nel vicolo vicino dove avevo parcheggiato l'auto. La città era silenziosa. La luce tenue dell'alba appena sorta era oscurata da un polverone giallo denso come la nebbia. Quando giunsi con l'auto dinanzi all'ingresso dell'albergo mi venne in mente l'orologio. "Il mio. cronometro! Dove l'ho lasciato?", dìs si a mia moglie. Tornai su, di corsa, nella stanza. L'orologio non c'era. Pensi che, nell'agitazione del momento, lo avevo infilato in una valigia senza accorgermene ». Fu allora che la signora Anna Sacco Botto incontrò une, famiglia di italiani. Erano di Perugia, avevano una «2100». «Per quello che ricordo — dice — il padre appariva cinquantenne, grasso, il viso rotondo; la madre aveva un vestito blu a pois bianchi; il figlio era sui 12-13 anni. Erano spaventati. Ci gridarono: "Se vi salvate, dite che c'erano anche tre di Perugia. Noi ruggiamo" >. Il medico caricò le valigie e parti. Scorse ancora due altri italiani, notati la sera prima in sala da pranzo, che correvano verso la piazza in mutande e con un asciugamano al collo. « Le strade erano piene di gente muta che correva verso l'auto — ricorda il dott. Sacco Botto. —■ Vedevo donne con i bimbi al petto, vecchi che si trascinavano come potevano, qua e là corpi semisepolti da travi o da muri crollati». Vagarono per la città nel caos cercando di trovare la via che conduce all'autostrada per Belgrado. Passarono 3ul maestoso ponte in pietra che scavalca il Vardar nel centro di Skopje, videro accanto alla stazione ferroviaria crollata un grosso caseggiato spaccato a metà come da un colpo di accetta. Una giovane donna bionda, semisvestita, si gettò a corpo morto contro la loro auto: «Salvatemi, salvatemi — disse in cattivo francese. — Non so più che cosa faccio». Il medico arrestò la vettura. La donna, Milena Slatanovic, una impiegata di Stato abitante a Belgrado e che si trovava in aleggiatila a Skopje, era in preda a choc. La fecero salire sull'auto. «Fu una buona idea — dice il dott. Sacco Botto — perché Milena ci servì da interprete e in breve fummo sull'autostrada per Belgrado ». « Oh, certo è stata una brutta avventura — conclude il dott. Sacco Botto. — Attendiamo con ansia che la Kodak ci sviluppi il film che abbiamo girato. Chissà S3 è rimasto nulla di quelle scène... Comunque, ora tutto è a posto. Prima di andarcene da Belgrado ho consegnato al nostro ambasciatore 3700 dinari pregandolo di recapitarli alla direzione del "Turfat". E' il nostro conto d'albergo che non avevamo potuto pagare». g. f. m. Il dott. Sacco Botto e la moglie intervistati ad Aeti al loro ritorno da Skopje. Eccoli mentre raccontano ciò che hanno vieto nella città jugoslava distrutta

Persone citate: Anna Rosa, Anna Sacco Botto, Pierluigi Sacco Botto, Sacco Botto