Ispirato ai personaggi di Pasolini l'ultimo film Italiano a Locarno

Ispirato ai personaggi di Pasolini l'ultimo film Italiano a Locarno Ispirato ai personaggi di Pasolini l'ultimo film Italiano a Locarno « Luciano », di Gianvittorio Baldi, racconta la storia di un giovanotto delle borgate romane uscito dal riformatorio e dal carcere - La pellicola ha buone qualità, ma non convince - Scarso interesse per « Le grandi strade » (Francia), dell'attore Christian Marquand ■ Stasera la premiazione (Dal nostro inviato speciale) Locarno, 27 luglio. C'è un punto rin cui 11 documentarlo si inarca', si mette a cantare e diventa racconto? Su quest'ipotetico punto ha lavorato e lavora il giovane bolognese Gianvittorio Baldi, noto per molti cortometraggi, per un fortunato reportage televisivo e per aver diretto l'episodio «La prova d'amore » nel film Le italiane e l'amore di Zavattini. Luciano, secondo film italiano di questo festival, su soggetto e sceneggiatura di Baldi-Jemma, mentre avrebbe dovuto coronare tali sforzi ed essere la quasi registrazione d'una realtà (quella d'un giovanotto delle borgate romane che ha passato i suoi anni in riformatorio e in carcere), per una curiosa inversione è riuscito un film anche troppo inventato se non addirittura fatturato. Si sarà già capito che il richiamo a Pasolini è inevitabile: ma si può contenerlo stabilendo l'equazione che Luciano sta ad Accattone, come il c Lucignolo » di Cioci al € Pinocchio di Collodi: è insomma una derivazione a modesto livello. Ombra traslucida di un personaggio vero che qui interpreta se stesso (Luciano Morelli, di 26 anni, carpentiere, lucignolesco anche n ì 11'aspetto), il giovane viene scarcerato con qualche giorno d'anticipo, per buona condotta, e rimandato a casa la fatidica notte di S. Silvestro, sacra al c botti >. Vi trova uno sfacelo: la madre ha piantato il marito ubriacone per andare a stare con un « pappone >; il padre ha messo in casa un'altra donna; la giovane moglie- di Luciano è sbigottita e ha mandato la figlioletta dalla nonna materna. Per Luciano il primo colpo è quello che conta: la madre.!Alla triplice domanda che al- nfllgge gli umani fin dalla .notte dei tempi: donde veniamo? dove andiamo? chi siamo?, egli ha almeno questa certezza: veniamo dalla mamma. Non trovandola, acceca di dolore e persino gli pare di vederla morta fra quattro ceri. Picchia il padre, e poi esce a cercare la genitrice nella baracca del c pappone > con cui avrà una rissa tremenda. Un delitto in quei paraggi richiama la Celere che fa una retata delle prostitute, e strappa la madre al figlio. Se c'è giustizia. Questa è la dorsale del film, che poi avvalla piuttosto confusamente in parecchi flash back, che invece di darci la esplorazione di questo figliuolo tenero e sventurato, infilza epi sodi idi un cinema di rivolta alla moda: quello del gigolò d'una vecchia contessa, che con la promessa di mille lire trascina il ragazzo nel letame dei ricchi (il più fasullo di tutti, e do-j la presenza di Paolo Carlini, unico interprete professionista e continuamente sghignazzante, riesce assai stridente): quello del cartomante invertito: quello del rifugio nel confessionale (col gag delle vecchine che si vogliono confessare), il quale ha tuttavia il merito d'introdurre alla bella pagina dei riformatorio, che per Luciano è stato l'origine di tutti i mali. S'intende che dal film sfa villano buone qualità (baste rebbe il vigoroso episodio del la retata), ma tutto sommato ci sembra che il Baldi sia ancora da lasciare' alla sua vigilia d'armi, e che l'affermazione del nostro cinema alla rassegna svizzera resti affidan" ta ai Basilischi. Avventante e deludente insieme il film presentato dalla Francia, Les grands chemins («Le grandi strade >, dall'omonimo romanzo di Jean Giono), che sullo schermo panoramico a colori segna l'esordio nella regia del noto attore Christian Marquand. Ma un critico parigino ha scritto: c Vadim, hélas >: e infatti Vadim ha prodotto la pellicola e ne governa lo spirito insieme col suo fido interprete Robert Hossein che vi profonde, il suo diabolismo commerciale. All'attivo il luminoso paesaggio dell'Alta Provenza, dove l'onesto Francis, Incaricato di portare una jeep a Grenoble, si abbatte nell' avventuriero Samuel, giocatore e baro, sonatore di chitarra e lanciatore di coltelli. Va a sapere come nascono certe amicizie fra soggetti contrari. Un colpo di fulmine, anzi di sole, attrae l'un giovane verso l'altro e li fonde. La loro amicizia regge anche alla prova della donna, la vedova Anna, che incontrato Francis, in men che non si dica ne è diventata l'amante. Ma Samuel è tirato dal suo demone a barare con degli sconosciuti che lo pestano orrendamente e gli spezzano le mani. Quel disperato diventa più disperato ancora, insidia Anna, fugge, incontra una vecchia che lo sbeffeggia, la strozza. Battuta di caccia per agguantare l'assassino, a cui si associa Francis per pietà di amico. Samuel prima si vendica a morte dei tre che lo hanno storpiato, poi si offre alla mira di Francis, che col cuore straziato lo giustizia. Il tema era quella straordinaria amicizia virile, ma Vadim (o per lui Marquand) secondo la natura sua si è buttato al gratuito e all'effettistico, mescolando scene di raffinato erotismo alla Malie (dove il buon Renato Salvatori, alle prese con Anouk Aimée, fa la figura di un ippopotamo in una cristalleria), violenze alla grand guignol, affreschi paesistici. Ma l'ambizione emergente è quella di fare un ■iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiii tuesfern provenzale. Ora il western è un genere che non si lascia sradicare dalle sue circostanze di tempo e di luogo, e poi si fonda sui buoni sentimenti e non, come vorrebbe fare qui, su cascami di torbida letteratura. Domani, ultimo film in concorso, Hitler... connais pas di B. Blier, inchiesta sulla gioventù francese, di cui si diede notizia da Cannes: quindi la proclamazione dei vincitori, e finalmente, a chiusura, le sontuose immagini del Gattopardo. Leo Pestelli n iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiM uni

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