L'iniziativa della Corona rovesciò Mussolini non sarebbe bastata la congiura dei gerarchi di Paolo Monelli

L'iniziativa della Corona rovesciò Mussolini non sarebbe bastata la congiura dei gerarchi CONTRO IL REGIME IN SFACELO, L'AZIONE DECISIVA DEL RE L'iniziativa della Corona rovesciò Mussolini non sarebbe bastata la congiura dei gerarchi Vittorio Emanuele apparve, sino all'ultimo momento, enigmatico e reticente - Ma controllava le forze armate, autorizzò il complotto.dei generali, diede gli ordini risolutivi - Dodici giorni prima che si riunisse il Gran Consiglio, fissò in un pro-memoria le modalità del colpo di Stato - Mussolini poteva ancora battere i ribelli del partito; non fu in grado di resistere alla monarchia, mentre l'intero popolo italiano aveva rinnegato il fascismo - Vent'anni di dittatura finirono con la più pacifica delle « rivoluzioni » - Purtroppo il Re ed i generali nulla avevano predisposto per il problema più grave: il distacco dalla Germania in guerra Roma, 26 luglio. Indro montanelli, nella ricostruzione che ha fatto sul Corriere della Sera degli avvenimenti del 24 e del 25 luglio isi,s, cita con molti complimenti il mio Roma 1943; ma osserva che quella mia cronaca « purtroppo fu scritta in un momento in cui non c'era altra fonte di informazione che quella dei generali di Palazzo Vidoni, che erano poi i generali di Mussolini. Monelli se ne servì col suo abituale acume e la sua sagacia, vagliando tutti i dati e non accogliendone nessuno che non fosse esatto, ma la tesi ch'essi servivano era parziale e tendenziosa. Essa mirava a togliere qualsiasi valore alla seduta del Oran Consiglio, anzi a farla apparire quasi come un elemento di disturbo nel piano tipo messicano ordito da alcuni generali per liquidare il regime e licenziare Mussolini». (Come ho scritto in uno degli articoli precedenti, anche Grandi la mattina del ss quando cominciò a dire ad Acquarono che il Re doveva fare così e così, ed Acquarono 10 interruppe rivelando che 11 Re aveva' già un suo piano maturato da tempo, fu portato a considerare l'opera del Re e dei generali un monkey wrench, come direbbero gli americani, un elemento di disturbo ai progetti dei membri del Oran Consiglio). Il giudizio di Montanelli potrebbe esser giusto per la prima edizione del mio libro, ohe usci il febbraio o il marzo del 1945 (ma avevo già avuto occasione, mentre lo scrivevo, di conoscere l'opera di Grandi traverso suoi amici fidati, e di ottenere informazioni di prima mano sull'andamento della seduta del Gran Consiglio), ma nelle successive edizioni, e specialmente in quella del 1948 che fu l'ultima, integrai il mio racconto con informazioni di altre fonti, e tenni conto di quanto mi sorisse Grandi da Estorti in una lettera che ho già citato; sì ohe fra l'altro potei dare giusto rilievo al fatto ohe i « generali sopraggiunti» fecero di tutto per non rivelare alla nazione l'avvenuta seduta del Gran Consiglio; e s'indussero a darne la notizia alla Stefani (proibendo tuttavìa alla radio di diffonderla) solo quando seppero che Grandi la aveva già comunicata all'estero per mezzo di due diplomatici stranieri che aveva pregato di recarsi da lui la mattina del 26 a Montecitorio. Dal 1948 a oggi sono uscite tante altre rivelazioni yiù 0 meno attendibili o interessate che possono lumeggiare con più forti tinte certi fatti ed attenuarne altri; tuttavia mi pare eccessivo scrivere, come Montanelli, 'che est è accreditata la leggenda che la sorte di Mussolini era già stata decisa prima che il Gran Consiglio si riunisse, e che tutto fosse già pronto per arrestare il duce il 26». Dice il Montanelli che €non esiste un solo elemento di fatto da cui si possa desumere che il Re abbia dato un esplicito consenso alla congiura e fissato delle date ». ■ 1 tDati di fatto», cioè in questo caso documenti scritti e gesti definitivi, in faccende come questa sono estremamente rari. Specialmente V atteggiamento più volte descritto del Re, di estrema riserva, con ombrose reticenze, con lunghi silenzi opposti a domande da salotto ove il sovrano e Mussolini s'erano ritirati a discutere, per intervenire in caso di necessità, aggiunge (sempre sotto la data 24-25 luglio): «Dopo circa venti minuti d'attesa, tanto è du- rato il colloquio fra 11 Re e Mussolini, anch'Io mi avvio alla porta d'ingresso della villa, dove trovo il sovrano che ha appena lasciato il duce. Sua Maestà mi prende sotto il braccio e mi conduce nel suo studio dove mi mostra un promemòria compilato dodici giorni fa, In quella memoria il Re aveva fatto un quadro esattissimo della situazione e aveva esaminato i sistemi per uscirne soffermandosi su quello usato pochi minuti fa». E' comprensibile che dopo il colpo di Stato ciascuno dei protagonisti abbia rivendicato a sé il merito dell'accaduto. E magari in buona fede, le persone che vi avevano avuto una parte importante, di suggerimenti, di consigli, di azioni, furono portate a ritenersi i principali artefici della cosa, e a mettere in ombra il lavoro degli altri. Tutto sommato, credo di potere ancora affermare che il « colpo di Stato » si sarebbe avuto ugualmente anche se i membri del Gran Consiglio non si fossero agitati, come riconobbe del resto lo stesso Mussolini nella sua Storia di un anno, pur con .tutto il rancore che gli era restato nel cuore per i membri ribelli del'Gran'Consiglio. E d'altro canto, se non fosse stata montata la macchina della congiura militare (e, naturalmente, il sovrano non fosse ormai da mesi fermamente risoluto a sbarazzarsi del suo primo ministro) la ribellione dei gerarchi si sarebbe molto probabilmente risolta in un innocuo pronunciamlento. Mussolini avrebbe agevolmente persuaso{ il Re che il voto del Gran Consiglio non era da prendere sul serio; aveva creduto di potere convincerlo di ciò anche à pomeriggio del 25, ignara oc-' m'era'dell'ostilità del Ree del piano' dei suoi fedeli. Si sarebbe fatta riconfermare la fiducia, avrebbe restituito al Re il comando delle forze armate riunite in unico ministero, i signori Grandi, Federzoni, Bottai e soci avrebbero dovuto forse scappare o nascondersi (ma Mussolini si era ben guardato dal dare l'ordine di arrestarli; «nemmeno parlarne —, disse a Galbiati che la mattina del 25 gli aveva proposto di arrestare i membri del Gran Consiglio che gli avevano votato contro; — fra poche ore andrò dal Re e me la vedrò con lui»). Converrà ricordare che quando i generali^, informati da Grandi, rannero a sapere che la convocazione del Gran Consìglio non era quella faccenda di ordinaria amministrazione che avevano creduto sulla prima, e poteva saltarne fuori qualcosa di grosso, ebbero momenti di perplessità o addirittura di costernazione. Castellano propose ad Ambrosio di far precipitare le cose arrestando tutto il Gran Consiglio con Mussolini durante la seduta. Un battaglione di carabinieri intorno a Palazzo Venezia, e il colpo era fatto. Passato il primo sgoménto, ci si persuase che si poteva trarre eccellente partito dalla coincidenza con l'azione dei supremi gerarchi del partito; e il Re potè acquietare la sua coscienza, scorgendo nel voto del Gran Consiglio la giustificazione giuridica a costituzionale del suo atteggiamento. Luigi Salvatorelli ha scritto che se il termine « colpo di Stato » non è strettamente corretto perché il Re rimase nei limiti dei suoi poteri costituzionali, tuttavia l'espressione è valida nel campo storico e politico. La giornata del 25 luglio fu veramente una rivoluzione. Eppure, mai ribaltamento storico' andò più liscio. Nessuno fu ucciso, in quei due o tre giorni, nessuno fu carcerato, tranne il solo Cavallero (e anche questi, per una personale iniziativa del colonnello dei carabinieri Frignoni; che poi si recò a Palazzo Vidoni dove Badoglio, Ambrosio, Cerica, Senise e Carboni stavano esaminando la situazione di fronte all'improvviso timore che Galbiati potesse marciare su Roma con i suoi militi. Il colonnello Frignoni mise dentro -la testa nella stanza e chiese: « Abbiamo fermato Cavallero, cosa debbo famet». E Badoglio col gesto di chi si allontana dal viso una mosca ordinò: « Mandatelo al Forte Bocrea»; e il colonnello Frignoni sé ne andò cantarellando « Al Forte Boccea al Forte Boccea », e gridò nel telefono, € Allora quel signore, al Forte Boccea, avanti marscl »). Quelli che si nascosero o fuggirono dimostrarono una eccessiva valutazione della propria importanza; quei gerarchi che ripararono in Germania se fossero rimasti in patria nessuno gli avrebbe torto un capello. ( Oltre al Farinacci di cui ho detto, parecchi altri fedelissimi della vigilia accorsero quei giorni alla ambasciata tedesca, « ridotta ad un'agenzia di viaggi», come scrisse Dollmann). Ora se il rivolgimento ebbe un corso così facile ed incruento, uno dei motivi è certamente il fatto che da qualche tempo il regime fascista in Italia era come quel moro tagliato per il mezzo dalla spada di Orlando, che non se n'era accorto, andava combattendo ed era morto. Lo stato d'animo del popolo italiano, stanco di tre anni di una guerra disgraziata e non sentita, irritato dei ritornelli dei luoghi comuni delle retoriche esaltazioni, che ormai identificava coll'aggettivo «fascista» tutto ciò che fosse ostico e sgradito, fu il terzo elemento decisivo del rivolgimento. Ebbi occasione, nella cronaca di quelle giornate, di paragonare il fascismo a uno di quei poderosi alberi equatoriali dal frondosissimo aspetto, ma così rosi- dalle termiti che basta il più lieve urto a farli precipitare in polvere. 71 generale Ambrosio lo disse a. viso aperto a Mussolini, un giorno di quel mese di luglio: « Dietro le spalle non avete più Un fascista». E questa sua convinzione lo confortò i giorni della vigilia, che i fascisti, armati o no, non sarebbero mai stati pericolosi. Se l'esecuzione del piano di Ambrosio e di Acquarone, come ha notato anche Salvatorelli, merita di essere definita più o meno perfetta confederando lo svolgimento pacifico del colpo di Stato, essi tuttavia non possono sfuggire al : rimprovero di avere sempre trascurato il problema più importante, quello dell'immediata fine della guerra e del passaggio dell'Italia nelle file degli alleati. Appare assurdo, nel tempo della preparazione, ohe mentre dirigevano tutti gli sforzi all'eliminazione del dittatore, continuassero a gingillarsi con l'idea che all'uscita dalla guerra, o almeno allo sganciamento dalla Germania, potesse arrivarci lo stesso Mussolini prima di sbarazzarsene. Orlando dichiarò più vol¬ lui stesso provocate, a consigli da lui stesso richiesti, obbliga chi voglia fare un lavoro di storico a congetture, a presunzioni, ad un lavoro d'interpretazione arduo e paziente, ohe pub. acquistare tuttavia la certezza di un documento (Castellano nel suo libro, pome firmai l'armistizio, narrando della perplessità sua e di Ambrosio, il mezzogiorno del 25, quando si seppe che il sovrano avrebbe ricevuto Mussolini nel pomeriggio, e non aveva ancora dato alcun ordine esplicito, scrive: t II Re non si pronuncia; e questo è molto, perché vuol dire che ci lascia carta bianca >. Il tondo è mio; il passo è molto eloquente, e autorizza a ritenere conseguenza della reale volontà del sovrano fatti che appaiono di iniziativa personale dell'uno o dell'altro personaggio). Ma poi per il Re, e in nome del Re, parlava molto Acquarone; se affermava ohe il sovrano era fermamente risoluto a sbarazzarsi del suo primo ministro assai prima che si parlasse di Gran Consiglio, non c'era che da credergli; se disse ad Ambrosio che il Re aveva stabilito la data di lunedì 26 luglio per l'esecuzione del piano (Mussolini andava al Quirinale ogni, lunedi e ogni .giovedì per l'udienza reale),-' non c'è motivo di pensare che fosse andato oltre le intenzioni del Re. Pub darsi ohe- parlando con Grandi la. mattina del 25 si sia mostrato ancora preoccupato delle esitazioni del Re (*Be\ speriamo che finalmente il Re si decida ad agire»); ma è molto probabile che così parlando, da quel volpone che era, intendesse fuorviare l'interlocutore; e del resto non era la prima volta che batteva sulla perpetua irresolutezza e il lungo temporeggiare del Re ovine per mettere in rilievo la prop-ia attiva opera di suo consigliere e di sagace interprete' dellajsua segrega vpjlajfà.. Che.. Acquarone' un "giófnò' della feconda metà disiar, glio facesse sapere ad Ambrosio che il Re si era finalmente risoluto a licenziare Mussolini ed aveva stabilito la dnta di lunedì £6 luglio, lo ritrovo nei miei appunti stenografici, scritti al momento, di uno dei miei colloqui con lui; e lo stesso dato . trovo negli appunti di uno dei miei incontri con Ambrosio. Ora l'uno e l'altro sono morti, non hanno lasciato memorie a stampa; ma non ho nessun motivo di noti credere a quanto mi hanno detto indipendentemente l'uno dall'altro. Non ho trovato nelle memorie di Castellano che ' il permesso di arrestare Mussolini sia stato « strappato» al Re sul mezzogiorno del 25 (caso mai il consenso « strappato » al Re nel pomeriggio, come risulta dal mio racconto in Roma '43, fu quello di arrestare Mussolini non più fuori della villa del Re, come era stato { precedentemente stabilito, ma nell'interno della villa stessa). Ho trovato invece queste parole: « Acquarone mi chiamò (Castellano non indica la data, ma deve trattarsi del 19 luglio) e mi disse che U Re aveva deciso di sostituire Mussolini con il maresciallo Badoglio. Tale sostituzione sarebbe avvenuta in un tempo molto breve, e non oltre sei o sette giorni ». Ad ' ogni modo nel diario del generale Puntoni, aiutante di campo del Re, vi sono due passi che dimostrano in modo inequivocabile che la sorte di Mussolini era stata stabilita dal sovrano prima che il Gran Consiglio si riunisse. Il Re volle sempre tenere il suo aiutante di campo all'oscuro dei suoi propositi, considerata la sua qualità di generale in servizio attivo. Ma naturalmente qualche cosa Puntoni aveva subodorato, o gli era stata confidata, e già sapeva della data del 26 luglio. Scrive nel suo diario sotto la data 24-25 luglio. «Alle 10,50 vado dal sovrano. Lo trovo tranquillo e sereno. Parliamo della situazione e dalle parole di Sua Maestà mi è facile capire che ormai la sostituzione di Mussolini è stata decisa. Il sovrano affronterà il duci» domani, lunedi, durante la consueta relazione». (A quell'ora non si sapeva ancora che Mussolini avrebbe chiesto un'udienza per il pomeriggio). Scrive poi il Puntoni: «Alle 12,15 una telefonata di De Cesare, segretario particolare del capo del governo, sconvolge il programma del Re. De Cesare chiede udienza per Mussolini alle 17, in forma privata, a Villa Savoia ». Afa ecco l'annotazione più importante del Puntoni. Dopo aver narrato come egli, per incarico del Re, fosse rimasto accanto olla porta del te che le parole «la guerra continua» da lui inserite nel proclama letto da Badoglio, erano state dettate dalla necessità del momento, dato che in Sicilia tedeschi e italiani combattevano ancora m fianco a fianco, ma che bisognava intenderle come il riflesso di una situazione alla quale occorreva cercar termine senza indugio, denunciando subito e coraggiosamente l'alleanza con la Germania e dandone chiara « non equivoca notizia al mondo. Ma tutta l'energia dei congiurati era stata spesa nello sforzo di liquidare il dittatore; ed essi furono ben presto sopraffatti da un'eccessiva paura del tedeschi. Paolo Monelli