Federigo Tozzi come maestro di Arrigo Benedetti

Federigo Tozzi come maestro ■II "ritorno,, ai due forti MMaM>M*aioM*i scomparsi Federigo Tozzi come maestro Nella sua rapida esperienza, molti germi della letteratura italiana fra le due guerre Una sua novella, pubblicata nel 1919 In una rivista dalla copertina gialla, e leggiucchiata, suppongo, qualche tempo dopo, dette a me bambino, contrario per partito preso agli autori a cui erano affé zionati i miei. — Pascoli e Fogazzaro —, una sensazione di cui per tanti anni avrei sentito l'influenza, e che ancora ritrovo appena leggo qualche pagina di Tozzi. L'autore preferito, durante le convalescenze dell'infanzia, era stato Goldoni. La Locandiere e Lelio il bugiardo m'avevano persuaso a lasciare Salgari. In seguito, avevo tentato i «Promessi Sposi», che i miei genitori consideravano slmile a un monumento marmoreo » «I Malavoglia», di cui in casa si diceva che era un capolavoro scritto male; trascurando Invece, per spirito polemico, «Piccolo Mondo Antico», «Mirycae», «I canti di Castelvecchio»: i libri, cioè, attraverso i quali, li babbo e la mamma cercavano un orientamento per discernere il male dal bene. Il racconto pubblicato da «Novella», che allora non era una rivista di letteratura amena, giacché vi scrivevano autori come Fanzini, Civinini, Palazzeschi, e che mio padre, disposto ad ammettere che la letteratura e il mondo stavano cambiando, leggeva dopo desinare accanto al caminetto, m'impressionò perché in essa un mondo che era anche mio entrava in un'opera letteraria. La Siena che s'intravedeva in quei racconto, «Gli Orologi», ricordava Lucca. Il giardino della Lizza era per me uguale alle Mura. Allora, mi domandavo, potrebbero essere prese in considerazione, da uno scrittore, anche le cose che mi circondano? Oggi, la storia del collezionista d'orologi, è inserita nei due volumi di novelle che Glauco Tozzi ha raccolto, premettendo un'appendice ricca di informazioni filologiche e biografiche di grande interesse (Vallecchi, Firenze)1. Al racconti già pubblicati ' in volume tanti anni fa, ne sono stati aggiunti ventidue, apparsi su giornali e riviste, e quarantadue trovati fra 1 manoscritti. Da «Assunta» scritta nel 1908 a «Campagna romana», una Ietterà narrativa buttata giù poco prima di morire (a Roma, nel 1920). Tozzi non trovò subito la sua ispirazione. Nelle prime novelle, ci sono degli accenti dannunziani : «... la voluttà della oarne goduta e stupenda lo vinse... », « i sogni sensuali che nell'adolescenza sem' brano effluvi della carne... ». A un certo punto, si sente che ha letto con intelligenza le novelle di Maupassant e, in particolare, quelle normanne, e che Verga deve avergli fatto una certa impressione. Infine, arriva l'elemento nuovo: la letteratura russa. Il richiamo a Dosfyaievskl e a Cechov, quando si parla di Tozzi, è d'obbligo; ed- è giusto farlo, purché si precisi che i russi non trovano In lui un imitatore. Essi, semmai, ispirano un confronto fra una realtà lontana e una realtà vicina, illuminando questa con quella.. Il mondo poetico dello scrittore ormai è definito: momenti di languore, angoscia perenne, litigi simili a tempeste che rompono un cielo greve, nati dal nulla, da una parola. Tutto è difficile. Nelle famiglie c'è un continuo disaccordo: spesso un padre rozzo iti lite con una madre e un figlio sensibili, come nella bellissima novella intitolata «Vita». Un'impressione di Toscana remota, percorsa da barrocciai, («Un morto nel forno»,) da gitanti in bicicletta («Un'osteria», forse 11 più bel racconto di Tozzi, degno della Mansfield), un mondo agricolo avaro («La sementa») pudico... A proposito della castità toscana che si sente in Tozzi, è giusto ricordare uno dei racconti più efficaci anche se di taglio tradizionale, «Contadini». Una donna, affetta da un tumore nonostante una prima operazione, non vuole tornare all'ospedale, dove con uh secondo "Intervento potrebbero, salvarla, perché, quando l'operarono, la costrinsero a stare seminuda, a gambe larghe, davanti a un gruppo di studenti. E tutti, il marito che le vuole bene, i vicini le danno ragione. Ci sono poi i salti d'umore che possono cambiare una vita. In «Miseria» un piccolo, miserabile proprietario agricolo ' vorrebbe lasciare la moglie che crede non amare più; poi, un cambiamento interno lo persuade del contrario. Infine, le crudeltà segrete della povera gente che ispirano, con «Pigionali», una novella esemplare. A un certo punto, Tozzi si trasferisce a Roma, come tanti altri cerca d'essere 11 novelliere della capitale, senza mai raggiunger», nel suol racconti roma¬ ni, l'intensità che rende cosi attuali 1 suoi racconti toscani. Qualcosa però sta cambiando in lui, la sua scrittura s'affina. Lo dimostra l'ultimo suo scritto, «Campagna romana». In quella prosa meno rudex c'è un impoverimento o ci sono le premesse di chissà quali sviluppi narrativi? Impossibile dirlo. Il 21 marzo del 1920, Federigo Tozzi muore, a trentotto anni. Gli si deve essere grati d'avere posto i germi d'una letteratura che in Italia si sarebbe sviluppata dopo il 1930. Lo si deve ammirare per aver saputo liberarsi dalle tentazioni letterarie che Io circondavano. Fosse stato sostenuto da una cultura più libera, sarebbe tra i grandi europei del primi cinquantanni del secolo. Eppure si pensa Io stesso a Joyce, alla Mansfield; almeno nelle novelle in cui l'impegno naturalistico viene meno, e dove il taglio della narrazione non tiene conto d'un obbligo di quel tempi: inserire nel racconto la parabola d'un aneddoto, piacevole o tragico che sia. Intorno al suo nome, dura una diffidenza ingiusta. Lo dicono provinciale perché parla di Siena mentre lo fu semmai parlando di Roma. O forse per certi suoi toscanlsmi che oggi hanno il valore di certi triestinismi di Svevo. Scriveva doventare, escire, mesurare, ruzzare, bevere, attraventare per scaraventare; talvolta, cognacche, fo... Non glielo perdona la generazione degli scrittori che fioriscono volentieri la loro prosa con parole inusitate. Forse, non glielo perdonano perché quei termini, non in uso fuori Siena, egli non li cercava, letterariamente ossessionato, sui vocabolari? Arrigo Benedetti

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