Mussolini il 25 luglio si sentiva "padrone,, del paese subì sorpreso ed inerte l'azione del re e dei gerarchi di Paolo Monelli

Mussolini il 25 luglio si sentiva "padrone,, del paese subì sorpreso ed inerte l'azione del re e dei gerarchi VENT'ANNI FA, LA SEDUTA DEL GRAN CONSIGLIO CHE SEQNO' IL CROLLO DEL FASCISMO Mussolini il 25 luglio si sentiva "padrone,, del paese subì sorpreso ed inerte l'azione del re e dei gerarchi Non credeva alle voci di congiura, respinse le rivelazioni di Scorza e di Farinacci: «-E' roba da libri gialli. Ho nella milizia quattrocentomila uomini fedeli. Potrei dare qualunque ribelle in dieci minuti » - Entrò nella riunione del Gran Consiglio con la solita, ottimistica baldanza - Pur essendosi piegato, con fatalistico scoraggiamento, alla rivolta dei capi fascisti, era sicuro di rimanere al governo - Gli ordini del sovrano, dimissioni e arresto, lo gettarono in un angoscioso sbalordimento Ma nemmeno Grandi e Ciano pensavano che l'edificio del regime sarebbe crollato così in fretta, con la resa o la fuga di tutti i «fedelissimi»: a cominciare dalla milizia (Nostro servizio particolare) Roma, luglio. Nei mesi di giugno e luglio del 19,','t Mussolini, capo della effimera repubblica di Baiò, fece pubblicare sul Corriere della Sera una serie di articoli «per far conoscere come i fatti e gli avvenimenti si svolsero nei mesi più tragici della recente storia d'Italia >. Gli scritti furono poi raccolti in un volume intitolato Storia di un anno. Dai capitoli dedicati agli avvenimenti del 25 luglio appare giustificato il giudizio che ne ho dato nel precedente articolo, di uomo ormai da gran tempo svogliato, inerte, se lire irresoluto; eppure straordinariamente sicuro che nessuna forza avrebbe potuto mutare la sua condizione, di dittatore, anzi di arbitro unico, intangibile e insostituibile. Questa sicurezza apiega il suo cieco comportamento-nei giorni precedenti al 25 luglio, l'umiliato sbigottimento di fronte all'inopinata levata di scudi dei gerarchi, l'infantile ottimismo la mattina del 25, l'atteggiamento neghittoso e disfatto dopo la caduta. Qualche suo fedéle tentò, negli anni seguenti alla sua scomparsa, di dimostrare che gli eventi del 25 luglio fossero stati previsti da Mussolini e ohe la convocazione del Gran Consiglio fosse voluta dn lui per forzare a suo vantaggio una situazione che riteneva altrimenti inestricabile. E' chiaro invece, dalle sue stesse parole, che non solo non previde le conseguenze della convocazione del Gran Consiglio, ma negò assolutamente fede alle voci di una congiura contro di lui da parte dello Stato Maggiore ohe Scorza e Farinacci portarono alle sue orecchie in quei giorni; e che liquidò con una sola battuta, «Questa è roba da libri gialli». Linguaggio cifrato Va relegato fra le favole l'aneddoto, ripreso anche da autori seri, che Scorza fra l'altro avrebbe rivelato a Mussolini il contenuto di una telefonata di Badoglio ad Acquarono intercettata dall' Ovra, € nella quale si parlava di impacchettare U duce mentre uscirà da Villa Savoia». In primo luogo delle intercettazioni telefoniche in quei tempi sapevano anche gli scolaretti; e ad ogni modo i rapporti fra i congiurati erano straordinariamente cauti, con l'uso anche di linguaggio conv lionate; e cosi per esempio, quando il generale Castellani disse al telefono al colonnello Valenzano, segretario del maresciallo Badoglio « Mi occorre una gomma per la bicicletta», l'altro capi subito che Ambrosio voleva vedere con urgenza il maresciallo. Ma poi né Badoglio, anche se avesse saputo in anticipo di alcuni giorni del progettato arresto di Mussolini, né Acquarono potevano sapere che l'impacchettamento sarebbe avvenuto a Villa Savoia; che fino alla domenica mattina il piano prevedeva l'arresto del capo del governo all'uscita della solita udienza del lunedì al Quirinale. Ma ohe Mussolini non immaginasse nemmeno per dannata ipotesi di potere essere rovesciato da maneggi di questa fatta risulta dal racconta che il suo fedelissimo Ottavio Dinaie, il t Farinata» dei corsivi del Popolo d'Italia, fece del colloquio che ebbe con Mussolini < qualche giorno prima del 25 luglio ». Anche Dinaie gli aveva fatto cenno di < complotti i quali secondo divèrse supposizioni facevano capo a Grandi o al principe Umberto, a Cavallero o a Badoglio o al Re: stesso ». Il Dinaie così riporta la risposta di Mussolini: «Ti do atto che questi complotti siano prospettati come realtà positiva. Mi permetto tuttavia di esprimere qualche dubbio. Di tutto questo massiccio castello complottardo, se realmente esiste, avrò bene il mezzo di accertarmene presto. Comunque, non posso accettare che si creda o anche soltanto che si supponga che un regime come quello fascista possa essere abbattuto da quattro o da quaranta congiurati. Una perfetta organizzazione statale, quattrocentomila uomini di una milizia fedele ed agguerrita, tre milioni d'iscritti, la massa che rispetta e teme questa potenza, il capo fermo al suo posto e più deciso che mai, ma andiamo! Non scherziamo... Vorrei proprio augurarmi che i complottarci! si decidessero a giocare la loro carta. Sarebbe una bella occasione per sbarazzarmene in dieci minuti o in un paio d'ore. Porse è ancora la fortuna che mi viene incontro e che mi offrirà il gusto di sterminarli con la giustificazione legale della legittima difesa ». Questa puerile confidenza ci sbalordisce oggi; che sappiamo come in ventiquattrore il fascismo dileguò come nebbia; e la caduta del dittatore suscitò a. Roma e in tutta Italia una generale frenetica esplosione di giubilo senza riserve né apprensioni; e coloro che più avevano sofferto sotto la-tirannide, e si sentivano prudere le mani nel desiderio della agognata vendetta, non sapevano con chi prendersela, vedendosi intorno soltanto visi raggianti della stessa gioia, dello stesso sollievo; e i più scalmanati a far festa erano i più disciplinati, deila vigilia e le asole slabbrate delle giacchette rivelavano che per anni c'era stato infilato il distintivo eoi fascio. E non uno dei quattrocentomila militi agguerriti e fedeli prese le armi, e gli raccomandava la calma il loro capo, quel feroce Galbiati che al Gran Consiglio non faceva che ripetere « non vedo chiaro che cosa contiene quest'ordine del giorno, ma non mi piace, non mi piace >, e roteava intorno gli occhi; e raccontò qualche giorno dopo Ciano che vedendolo così si sentiva il ghiaccio per la schiena e pensava a Fouquier-Tinville. La risposta di Galbiati La sera del 25 gli autori del colpo di Stato lo cercarono al téléfSho alla cdse*>ma di Viale : Romania, ove si diceva ette si'fos"se asserragliato con i suoi armati; e gli chiesero quali fossero le sue intenzioni. E lui rispose con una frase che fece uscir tutti in una sgangherata risata per quanto timorosi fossero ancora delle possibili conseguenze del ribaltamento: «Io sono con il re e con il duce», c Ma il duce non c'è più», gli fu rivelato; e Galbiati mugolò qualche minaccia e mise giù U microfono e non rispose più al tefono. Allora gli mandarono il generale Perone che lo persuase facilmente a sconsigliare da ogni velleità di azione i suoi militi. Appare dunque dalla Storia di un anno che negli intendimenti di Mussolini «la riunione del Gran Consiglio doveva essere una riunione confidenziale, nella quale tutti avrebbero potuto chiedere e ottenere spiegazioni; una specie di comitato segreto ». E quando il segretario del partito tornò a parlargli della possibilità di un « giallo », anzi di un « giallissimo » ebbe l'impressione « che si trattasse di una delle solite vociferazioni su cambiament di comandi e di uomini di governo». Quanto all'udienza che Mussolini concesse a Grandi il pomeriggio del 21, che durò un'ora a mezzo, e nel corso della quale Grandi gli illustrò il suo ordine del giorno, e dev'essere stato un colloquio piuttosto vivace (*furon dette cose grosse», disse il Grandi), cosi ne parla nel libro citato: «Il Grandi sfiorò diversi argomenti, ma non disse nulla su quanto maturava». Quando Grandi uscì dal colloquio, vide nell'anticamera il maresciallo Kesselring, comandante delle truppe tedesche in Italia, che attendeva da un'ora e mezzo il suo turno. Kesselring ha raccontato nelle sue memorie che quando entrò nella stanza di Mussolini, questi gli venne incontro col viso allegro e gli disse: «Lei conosce Grandi? E' stato adesso qui da me; ci siamo spiegati, procediamo di conserva; mi è sinceramente devoto, " er ist mir treu ergeben " » E Kesselring continua: « Ecco perché era così allegro; e anche per queste parole di Mussolini ad un imminente pericolo per il regime dominante non credemmo in quei giorni né io né l'ambasciatore von Mackensen né l'addetto militare von Rintelen. Ma quando venni a sapere, tre giorni dopo, che Grandi era stato il principale accusatore di Mussolini nel Gran Consiglio, non seppi ■•> meravigliarmi di più dr : credulità di Mussolini o del la pieghevolezza di Grandi » Al colloquio fra Grandi e Mussolini non c'erano testimoni, e Grandi ne ha dato versioni leggermente discor¬ tarsi nel pomeriggio quando gli vennero a dire che il suo ufficio era isolato, e i telefoni interrotti. Seppe poco dopo dell'arresto di Mussolini ed esclamò: « Che guaiol E' il crollo di tutto, adesso ci ammanettano anche noi ». Alfieri e Bastianini erano a Palazzo Chigi verso le venti esaminando malinconicamente la situazione, quando Farinacci entrò nello studio, burbanzoso e confidente, il cranio e il volto bruciati dal sole. Disse che era stato in campagna tutto il pomeriggio a giocare alle bocce. Ma appena saputo delle « dimissioni » di Mussolini (dell'arresto, Alfieri e Bastianini non sapevano ancor nulla) gli cadde tutta la guapperia e si congedò con un'ultima battuta: <tPer me farò acquisto di un mazzo di carte. E' l'unico modo per ammazzare il tempo in prigionia». Accorse invece, come ho detto nell'articolo precedente, all'ambasciata tedesca, chiedendo di partire per la Germaniar In un diario postumo pubblicato nel 191(1 in un giornale di Roma, Farinacci racconta che era andato all'ambasciata tedesca risoluto a un colpo di mano per liberare Mussolini. «Abbiamo a Tivoli — disse — la divisione " M ", fedelissima e armatissima. Dammi — disse rivolto al colonnello Dollmann — trenta SS per raggiungere Tivoli stasera stessa. Marcerò con la divisione "M" su Roma, circonderò i ministeri e Villa Savoia, arresterò i membri di casa reale e Badoglio,, libererò Mussolini dovunque si trovi e chiederò un mese di pieni poteri ». Farinacci aggiunge che l'ambasciatore, e il colonnello Dollmann si entusiasmarono alle sue parole; ma lo persuasero a partire subito per la Germania « perché la sua vita era preziosa alla eausa della Germania e dell'Italia». Da quanto narra Dollmann nel suo Roma nazista, descrivendo come Farinacci venne a picchiare impaziente la sera ai cancelli dell'am¬ danti. Ma insomma mi pare più degno di fede il racconto di Grandi che le parole di Mussolini, che certamente, avvolto tuttora da quella perpetua nuvola in cui viveva da tanti anni, che gli deformava o gli annebbiava la realtà delle cose, o non badò alla gravità di quanto Grandi gli espose, o non credette di doverlo prendere sul serio; o magari per dimostrare al tedesco Quanto fosse fiducioso e confidente gli fece la commedia, e alla commedia finì col credere egli stesso, come già altre volte era avvenuto. Un duro risveglio Ancora all'inizio del Gran Consiglio, prendendo subito la parola e rifacendo a suo modo la cronaca degli avvenimenti, con le fruste veneri della sua oratoria, gli esibizionismi, le ■ vanterie, battute fuori corso sui <capitolardi» e sul « popolo dei cinque pasti», fino a che non presero la parola Bottai e Grandi dovette credere che ancora una volta, come aveva detto Bastianini alcuni giorni prima, avrebbe mandato tutti a casa contenti e minchionati. Ma appena gli balenò la rivelazione della rivolta, violenta e spietata, di uomini che l'avevano servito per vent'anni, e per vent'anni lo avevano cecamente seguito e bassamente adulato, ecco che si ritrova vuoto di forza e di volontà; se la prende con la fortuna malfida («Decisamente la fortuna mi ha voltate le spalle»); quando riprende la parola annaspa menzogne e reticenze e vuote minacce, si lascia dar sulla voce da Grandi e da Bottai, umile, paziente; e infine tace disfatto, un povero uomo schiacciato dalla realtà, che si abbandona ad un fatalismo scorato. Ma è anche in istile il suo assurdo ottimismo della mattina Seguente; " bastano a rimontarlo gli atti servili degli uomini che si ritrova intorno a Palazzo Venezia come tutto le mattine da anni e da lustri, i cavilli di Scorza, le stesse apprensioni affettuose della moglie e della Claretto, davanti alle quali gli piace ostentare la certezza che il Re è suo amico, e gli avrebbe dato la sua approvazione. Scrisse nella storia citata che «era assolutamente tranquillo; tutt'al più, pensava, il Re gli avrebbe ritirato la delega del 10 giugno del '40 per esercitare il comando delle forze armate, delega che aveva già da tempo in animo di restituire ». Ma il Re, contrariamente all'attesa, interrompe subito le sue verbose spiegazioni sulla qualità del voto del Gran Consiglio < privo di ogni valore deliberativo »; e gli dice che per lui quel voto ha un altro significato, è indice della volontà del paese, e per conto suo ha già provveduto a sostituirlo con Badoglio. E di colpo U dittatore sente la vanità ^ella speranza che l'aveva a àmato fino allora; e s'accascia, ora davvero sconfitto senza conforto. Mormora come invocando: «Allora tutto è finito?» Ripete ancora due volte: «Allora, tutto è finito; allora tutto è finito». Poi chiede con tono umile e querulo: «E che sarà di me? e della mia famiglia? ». (Ho appreso questi particolari dal colonnello Torello di Romagnano, ufficiale di servizio quel giorno a Villa Savoia, e dall'ambasciatore Renato Prunas, che di questuiamo colloquio udì più volte i particolari dal sovrano stesso a Rovello. Debbo anche al colonnello Torcila questo particolare. Partita l'ambulanza con Mussolini fra i carabinieri, il Re ed il colonnello passeggiarono a lungo nel giardino. Il Re parlò del Gran Consiglio, del significato del voto; e disse a un certo punto: «Questo è il mio 18 brumaio »). Tra speranza e paura Bisogna dire che neanche i membri del Gran Consiglio si resero conto sulle prime della catastrofe che avevano suscitato. Grandi, come ho narrato, s'illuse di essere in condizione di potere fare assumere al Re un certo atteggiamento, imporgli il nome del futuro capo del governo e farsi spedire immediatamente in Portogallo a trattare l'armistizio. Ciano ricevette la mattina alcuni amici dimostrandosi atterrito all'idea che il suocero lo avrebbe fatto arrestare; poi con improvviso cambiamento d'umore aggiunse, « vedrete che il Re interverrà, e il pazzo andrà via senza incidenti e con tutti gli onori». Ciano cominciò ad agi¬ basciata, circondato da una folla minacciosa, e come chiese subito di essere mandato in aereo in Germania, e si affrettò ad indossare un'uniforme di alto ufficiale delle SS, U suo racconto ha tutto l'aria di un'invenzione. Consumare un pomeriggio a prendere la tintarella e giocare alle bocce, non è una seria preparazione ad un ardito colpo di mano. Paolo Monelli