Mussolini non osò dire ad un Hitler infuriato che l'Italia non poteva più sostenere la guerra di Paolo Monelli

Mussolini non osò dire ad un Hitler infuriato che l'Italia non poteva più sostenere la guerra 19 LUGLIO '43: IL CAOTICO INCONTRO DI FELTRE MENTRE ROMA E' BOMBARDATA Mussolini non osò dire ad un Hitler infuriato che l'Italia non poteva più sostenere la guerra La Sicilia era praticamente perduta, il regime in sfacelo; i nazisti prevedevano il crollo e già si preparavano ad assumere il totale controllo militare del nostro paese - Il convegno dei due dittatori fu deciso frettolosamente, senza traccia di organizzazione - Invano il gen. Ambrosio premette sul duce perché annunciasse l'inevitabile distacco .dell'Italia dall'Asse • Mussolini, imbarazzato e abulico, ascoltò in silenzio il violento monologo del Fuehrer e chiese, ma senza speranza, un massiccio aiuto tedesco - La vanità dell'incontro affrettò le decisioni del sovrano Paolo Monelli continua, in questo secondo articolo (il primo è apparso su La Stampa di ieri, e ricordava il bombardamento di Roma, il 19 aprile 1943), la rievocazione del fatti che prepararono il crollo del fascismo e condussero al c 26 luglio ». Il Monelli non fu soltanto un . testimone bene informato di quegli avvenimenti; ne è cronista e storico autorevole. Il suo libro Roma 1943 rimane il racconto più vivo di quell'anno tragico, di quella svolta decisiva della nostra esistenza nazionale. Roma, 18 luglio. Il 19 luglio del '43, il giorno che Roma fu duramente bombardata, Mussolini non c'era. Il 18 mattinaV ambasciatore tedesco gli aveva trasmesso un urgente messaggio di Hitler; era necessario un incontro immediato tra i due dittatori per esaminare la condizione delle cose dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia. Hitler mandava a dire che era disposto a scomodarsi lui e a venire in Italia, scegliesse Mussolini il luogo, ma subito, per il giorno seguente, non c'era da per¬ dere tempo. Il convegno avrebbe avuto la durata di tire giorni. (Mi disse dopo la fine della guerra il generale Ambrosio, narrandomi i particolari di quell'incontro, che Mussolini ebbe un moto di stizza al vedersi chiamato cosi su due piedi, ed in quel modo, come un < travet » che deve accorrere alla perentoria chiamata di campanello del suo capufficio). Il senatore Gaggia- offrì una sua villa nei pressi di Feltre; e i due dittatori con i loro capi militari s'incontrarono la mattina del 19 all'aeroporto di Treviso, donde in treno giunsero a Feltre verso le 11. . Fu questo l'ultimo di una dozzina di convegni ai quali Mussolini veniva sempre comandato, con le spicce, per ascoltare rabbuffi e ricevere ordini in un'atmosfera mistica e nebbiosa; ed ogni volta ne uscita irritato, immusonito, poco soddisfatto di sé'. La procedura era sempre quella già descritta da Ciano in occasione del convegno di Salisburgo della fine di aprile del '42: « Hitler parla, parla, parla. Mussali- | ni, che è abituato a parlare lui e che lì invece è costretto .a tacere quasi sempre, soffre. Nessun argomento ha trascurato: guerra e. pace, religione e filosofia, arte e storia. Mussolini guardava meccanicamente l'orologio a polso, io pensavo ai fatti miei. Quelli però che tenevano il colpo meno di noi erano i tedeschi. Se lo debbono sorbire ogni giorno e son certo che non c'è parola, gesto o pausa che non sappiano a memoria». Alle irruenti declamazioni di Hitler Mussolini, non sapeva che cosa opporre, né parole né argomenti; paralizzato anche dal fatto che non voleva servirsi d'interpreti; e il tedesco lo capiva alla beli'e meglio, dopo tanti anni di studio « matto e disperatissimo », come direbbe il Leopardi, ma da cui aveva tratto scarso profitto. Scrisse il colonnello DolU mann, che assistette come interprete al convegno di Salisburgo: « Convinto della sua padronanza del tedesco, Mussolini credeva di potersela cavare da solo, e questo errore fatale è costato all'Italia assai più di quanto non si pensi. Quel suo tedesco bastava a mala pena per una banale conversazione; ma se si passava a difficili questioni tecniche allora il Duce, invece di confessare che non capiva più, preferiva lasciarsi prendere la mano ». Così avvenne a Feltre. Durante il viaggio si era lasciato persuadere dal ministro degli Esteri Bastianini e dal generale Ambrosio che era giunto il momento di parlar chiaro, di esporre all'alleato le, reali condizioni dell'Italia, l'incapacità di continuare la guerra, la necessità di chiedere un armistizio. Promise che avrebbe parlato chiaro; ma quando fu davanti a Hitler gli tornò l'antico impaccio. Il Fuhrer appena arrivato avvertì che doveva rientrare nel pomeriggio in Germania; quindi si ebbe una sola seduta, piena-, ria, alla quale parteciparono ■ tutti i personaggi del seguito.-. Hitler parlò due ore, e parlò solo lui. Due ore di pipe, di prediche, di .consigli. « Da dieci giorni il nemico è sul vostro territorio. La guerra diventerà sempre più dura. Vi bombarderanno le città, le ferrovie, i porti. Dovete far questo e quest'altro ». Ebbe parole dure contro il popolo italiano che non sa imporsi la necessaria disciplina di guerra come sanno invece così bene i tedeschi, contro i comandi militari deboli o inetti. «Voi ci chiedete duemila apparecchi aerei che non posso assolutamente darvi, e in poco tempo su seicento ve ne siete fatti distruggere quattrocento a terra. In Sicilia in un solo giorno ventisette vostri aerei sono stati 'fracassati sui campi, e un altro giorno cinquantadue. Qui si tratta soltanto di incapacità ed incompetenza ». Parlò vagamente di soccorsi che avrebbe' potuto mandare dopo che il suo Stato Maggiore . ne avesse ravvisata la convenienza. (Il senso vero del discorso sfuggì a tutti gli italiani presenti: che la Germania era ben risoluta a prendere le cose in mano in tutta Italia. La situazione nel Mediterraneo richiedeci unità d'azione, e questa non poteva essere affidata che a Mussolini. Ma un comando onorifico, e null'altro; un'autorità nominale per giustificare l'opera e le decisioni di un comando militare tedesco dal quale avrebbero dovuto dipendere tutte le forze italiane. Quando, pochi giorni dopo. Mussolini scomparve dalla scena e la Germania si trovò alle prese con un alleato malfido, aveva già pronti i piani necessari per | invadere in pochi giorni l'Ita- Ha con divisioni armate di tutto punto). L'ambasciatore Alfièri, presente a', convegno, descrive Mussolini che * seduto sull'orlo della poltrona troppo ampia e profonda ascolta impassibile e paziente con le mani incrociate sulle gambe accavallate ». Non aprì bocca nemmeno quando Hitler dette fine alla sua logorrea. Vi furono due sole interruzioni. Quando portarono a Mussolini la notizia che dalle 11 infieriva su Roma il bombardamento; e più tardi, quando giunsero i primi particolari sui danni prodotti dalle bombe. Con voce commossa Mussolini tradusse il contenuto dei due dispacci. Hitler, costretto ad interrompersi due volte, dopo la lettura del secondo telegramma riprese subito a parlare, villanamente, senza una parola di rammarico o di simpatia. Non vi fu alcuna traduzione o riassunto in italiano della sua conclone. Il dott. Paul Schmidt, interprete ufficiale di Hitler, prese appunti, ma se li mise in tasca senza tradurli. Scrisse il dottor Schmidt nelle sue memorie che quell'incontro fu il più deprimente al quale mai avesse assistito. « Hitler fece a Mussolini una vera e propria lavata di capo alla presenza dei suoi generali*. Appena tornato a Roma Mussolini fece chiedere a Schmidt la traduzione dei suoi appunti, confessando che il senso delle dichiarazioni di Hitler gli era sfuggito. Usciti dalla sala del convegno, nell'attesa che Mussolini fosse chiamato per la colazione a quattr'occhi con il dittatore tedesco, Ambrosio, Bastianini ed Alfieri se lo presero in mezzo, lo invitarono ancora una volta a dire la sua a Hitler profittando di quelle due ore di viaggio in treno fino a Treviso. Ambrosio parlò fuori dei denti. « Dovete parlar chiaro a questi tedeschi, che vogliono servirsi dell'Italia \ come d'uri baluardo, e non gl'importa nulla se va in «precipizio ». Ma l'uomo api-, parve ai suoi collaboratori svogliato e distratto. « Sono molto contrariato — disse — di essere lontano dalla capitale^ in questo momento. Non vorrei che i romani credessero... ». Di questo solo sembrava darsi cruccio. Poco prima, nella sala del convegno, dòpo di avere tradotto a Hitler il secondo dispaccio con i primi particolari, i quattrocento bombardieri trasvolanti a bassissima quota, la scarsa reazione delle batterie anti-aeree, vasti quartieri gravemente colpiti, ecc., aveva cominciato a dare concitati ordini ad Ambrosio: « Bisogna dare comunicazione di ciò nell'odierno bollettino di guerra. Tutta l'Italia ed il mondo debbono sapere. Si metta in rilievo la durata del bombardamento, il numero degli apparecchi, il contegno stoico della popolazione. Non bisogna pubblicare per ora il mimerò — neppure approssimativo — delle vittime ». Ambrosio colse a volo un cenno del suo collega tedesco, vide la faccia accigliata di Hitler e interruppe, brusco: * Tutto ciò è compito dello Stato Maggiore, di chi deve redigere il bollettiuc. Non è tempo per questi particolari». Mussolini nelle sue memorie racconta che congedandosi da Hitler all'aeroporto di Treviso gli disse, t Ricordatevi, Fuhrer, che la causa è comune ». E rivolto al generale Keitel: « Mandateci al più presto possibile ciò che' vi domanderemo, e ricordatevi che siamo nella stessa barca ». Forse queste parole sono le sole che abbia avuto il coraggio di dire ai tedeschi in tutto il tempo del convegno. Ripartì subito anch'egli in aereo per Roma. Quando giunse nel cielo della capitalo vide i fuochi degli incendi che si levavano dai quartieri devastati. L'apparecchio dovette atterrare a Centocelle, perché le piste degli aeroporti del Littorio e di Ciampino erano sconvolte. Sempre preoccupato di quello che avrebbe pensato la gente s'indusse a far stampare sui giornali un comunicato, il più freddo di quanti se ne fossero dati dopo avvenimenti di quella sorte, veramente abbacchiato; e l'opinione pubblica che non voleva allarmare ne ebbe un'impressione molto sfavorevole: «Ieri in una località dell'Italia settentrionale si sono incontrati il Duce e il Filhrer. Sono state esaminate questioni di carattere militare». E il giorno dopo i giornali ebbero l'ordine di limitare a tre colonne il titolo ai commenti dell'avvenimento (invece del solito titolone su tutta la pagina) e di far notare che «ii breve comunicato stronca ogni manovra propagandistica del nemico». Nel suo cruccio .per la sua assenza da Roma c'era certamente una buona1 dose di rammarico per la mancata cerimonia del capo del governo che accorre impavido sui luoghi devastati fra le macerie crollanti, a consolare i derelitti, a parlare con paterna commozione alle donne e ai feriti (con mobilitazione dei fotografi dell'Istituto Luce). Ma lui non c'era; e il Re, e soprattutto il Pontefice, avevano preso il suo posto. Rimando quindi Za sua visita di qualche giorno; e soltanto il £6 pomeriggio, tre ore prima del suo arresto, uscito da Palazzo Venezia alle 14 e accompagnalo dal solo Galbiati, comandante generale della milizia, si fece portare al quartiere Tiburtino. Questo suo ultimo incontro col popolo fu una cosa lugubre, anche se poi abbia scritto nella sua « Storta d'un anno», parlando in terza persona: «Il duce viene circondato dalla folla di sinistrati e acclamato». Le acclamazioni in realtà furono la sòlita chiassata inscenata dai militi della milizia che Galbiati aveva spedito sul posto. Ma i gruppetti sparuti di gente intenta a rovistare fra le macerie sotto il bollente cielo levarono il viso attonito a guardarlo, senza una parola; e subito lo riabbassarono tornando al loro triste lavoro. Con ogni probabilità il 19 luglio fu anche il giorno nel quale il Re, colpito forse dal rovinoso atto di guerra d'un avversario implacabile, dallo stato d'animo della popolazione a cui aveva voluto subito portare conforto e l'aveva accolto, come ho detto ieri, con gelida ostilità, s'indusse a finirla con Mussolini. Quel giorno infatti il duca Acquarono, ministro della Redi Casa e partecipe dei suoi disegni, disse all'ex-prefetto di polizìa Benise con cui era in confidenza che «finalmente Sua Maestà si era deciso». Non gli indicò tuttavia alcuna data; forse il Re voleva ancora attendere il momento opportuno. Il tB seguente Mussolini andò dal Re a riferirgli sul convegno di Feltre. Dall'andamento del colloquio il Re si persuase che non si poteva più indugiare. Il suo aiutante di campo generale Puntoni lo vide subito dopo l'udienza. « Sua Maestà è scuro in volto e accigliato. Sul principio sembra restio a parlare, poi alla fine, come per liberarsi d'un peso die lo angustia, dice: — Ho tentato di far capire al Duce che ormai soltanto la sua persona, bersagliata dalla propaganda nemica e presa di mira dalla pubblica opinione, ostacola la ripresa interna e si frappone a una definizione netta della nostra situazione militare. Non ha - capito o non ha voluto capire. E' come se avessi parlato al vento... ». Lo stesso giorno 0 Re mandò a chiamare Ambrosio e lo autorizzò a mettere in esecuzione U progetto, pronto da tempo, di arrestare Mussolini, in occasione della prossima udienza di questo a Casa Reale. Paolo Monelli