I comunisti filo-cinesi di Padova

I comunisti filo-cinesi di Padova I comunisti filo-cinesi di Padova Finora sembrano in pochi - Si fanno i nomi di sette dirigenti, fra i quali tre medici ed un professore di musica - Giudicano Kruscev e Togliatti colpevoli di revisionismo: secondo loro il segretario del pei è, in fondo, un socialdemocratico - Come giunsero alla rottura con il partito ufficiale (Dal nostro inviata speciale) Padova; 16 luglio. «Noi non siamo cinesi, non consideriamo affatto la Cina come nostro Stato guida, non gridiamo viva Mao. Naturalmente ci fa piacere che un grosso partito comunista come quello cinese abbia affermato apertamente quello che noi andavamo ripetendo da oltre un anno, ma siamo e restiamo un piccolo gruppo dì comunisti italiani fedeli al leninismo, che non condividono la politica di Kruscev e tanto meno quella revisionista e sostanzialmente socialdemocratica di Togliatti. Ci diamo da fare per formare i quadri di un vero partito che miri ad instaurare la' dittatura del proletariato ». Chi mi alce queste cose è il dott. Wilson Duse (il nome di battesimo, riprendendo il cognome del presidente americano, rivela anche il suo an- no di nascita: 1918), medico chirurgo, consigliere provin- ciale di Padova, ex-dirigente del pei locale, e attualmente uno dei massimi esponenti del gruppetto" balzato d'improvviso alla ri bai. a. internazionale per la citazione fattane l'altro giorno dalla Pravda. Siamo- al buio, sulla terrazza della sua villetta, a Torre, frazione a pochi chilometri da Padova. L'unica luce viene dalle stelle e dalla brace di uno zampirone che arde per tenere lontane le zanzare del Brenta. Di là, nel soggiorno, i Agli di Duse sono immobili davanti alla televisione, mentre la moglie, una giovane e graziosa signora, sta preparando una minestra che il marito, preso dalla foga del discorso, non mangerà fino a mezzanotte. La cosa ebbe 'nlzio nel maggio 1962 quam'.o, in vista del congresso del pel. il comitato federale patavino t>i riunì per fare ideologicamente n punii, della situazione. In quell' 'ccasione il dott Vincenzo Calo, un medico che ricopriva la carica di vice segretario regionale del partito e che aveva una notevole esperienza internazionale (insieme alla moglie era stato a lungo in ■ Cecoslovacchia, por a Cuba), presentò un documento «di rottura>. Esso si articolava in tre punti. Nel primo stigmatizzava aspramente il « revisionismo » di Togliatti; nel secondo criticava la costituzione repubblicana definendola « un compromesso a tutto danno della classe operaia»; nel terzo sosteneva che le cellule e gli altri organi tradizionali del pei avevano ormai fatto il loro tempo. Proponeva pertanto di sostituirli con 1 «comitati di potere», nuovi strumenti di lotta rivoluzionaria da istituirsi non soltanto nelle fabbriche, ma anche negli uffici, nelle aziende agricole e ovunque vi fossero lavoratori salariati o stipendiati. Non occorre conoscere vita e abitudini del pel per comprendere come un documento del genere avesse la carica di una bomba al tritolo. La deflagrazione invece non fu sensazionale; e non perché qualcuno o qualcosa riuscissero a soffocarla, ma perché al contrario trovò il più ampio sfogo. Pur con qualche riserva, infatti, il documento fu approvato da molti fra i presenti, ivi compreso l'allora segretario della federazione, Piero Cortellazzo, che ora, abbandonata la politica, fa esclusivamente il rappresentante di medicinali. Liscio liscio, come una qualsiasi partita burocratica, il documento « rovente » navigò da Padova a Roma dove, al pari.di tutte le altre tesi precongressuali, avrebbe dovuto essere pubblicato su l'Unità. Ma non comparve. Fu invece posto in discussione al comitato centrale, dove venne analizzato da Togliatti che gli dedicò un discorso di circa mezz'ora, non certo benevolo. L'autorità di quella presa di posizione, il silenzio de l'Unità, la tregua dell'estate incombente minacciavano di trasformare la « bomba » in una bolla di sapone senza alcun seguito. E poiché 1 «ribelli» volevano a tutti i costi che la cosa non finisse così miseramente, nel settembre 1962 diedero alle stampe il primo del loro tre numeri unici: quel «Viva il leninismo > che doveva poi dare il nome al piccolo gruppo. Il foglio ribadiva in sostanza i principi espressi nel documento, e, oltre alla firma del dott Wilson Duse, portava quelle di Vincenzo Morvillo, terzo medico chirurgo della compagnia, consiglie¬ re comunale, membro del comitato federale e del comitato direttivo della federazione di Padova; di Alberto Bucco, anch' egli consigliere comunale, membro del comitato federale, presidente della federazione provinciale delle cooperative; e di Severino Gambato, operaio, responsabile del comitato delle sezioni del pei della Riviera del Brenta. La reazione degli organi romani non si fece attendere. Poco dopo, inviato dalla direzione del partito, arrivò a Padova Franco Calamandrei — figlio di Piero Calamandrei, il rimpianto fondatore della rivista «Il ponte» —, il quale accusò apertamente il gruppo di frazionismo e concesse ai < deviazionisti » dodici ore esatte di tempo per decidere: o rivedevano le loro posizioni e potevano restare nel partito, o continuavano a sostenerle e incorrevano automaticamente nell'espulsione. In effetti il 29 agosto ì quattro firmatari (Wilson Duse, Bucco, Gambato e Morvillo) vennero espulsi; e un palo di settimane dopo toccò ai coniugi Calò ed a Salvatore Pellegrino. La leadership del gruppetto fu presa da Wilson. Duse e da Vincenzo Calò, cui si' aggiunse poco dopo un altro Duse, che però non ha alcun legame di parentela con il primo: Ugo, figlio del commediografo Enzo, già alto funzionario del pel in Lombardia e nel Veneto, attualmente insegnante al liceo musicale di Ferrara. In ottobre il gruppo pubblicò un secondo numero unico e nel febbraio di quest'anno un terzo e per ora ultimo. Da febbraio a oggi non si può dire che il movimento abbia fatto grandi passi: soprattutto lunghe chiacchierate con la "base", con i calzaturieri del Brenta, con i muratori, con i benzinari, con i meccanici i quali — qui sta il nuovo — sia che condividessero, sia che criticassero le loro idee, discutevano sempre appassionatamente, ma correttamente senza mai cadere nel grossolano manicheismo, nel facile crucifige dei tempi di Cucchi e Magnani. Insomma una. attività sommessa, non troppo intensa, apparentemente infruttuosa (a Padova non vi sono state ulteriori defezioni dal pei). Per dimostrare che la ragione sta dalla loro parte e non da quella dei «ribelli», i capi «togllattiani» del comunismo padovano sciorinano i risultati delle ultime elezioni il pei a Padova è aumentato di ben diecimila voti mentre loro, 1 « ribelli », sono sempre i «sette» dell'arno scorso. Mellifluamente, Cini _emente, 1 «ribelli» rispondono che il loro sarà un partito di « quadri » pronti alla rivoluzione, non un mastodonte che imbarca piccoli borghest, zitelle e duchi, quale — a loro avviso — è 11 partito comunista di oggi. Gaetano Tumiati