II mafioso che adopera il mitra è sempre un sicario, non un potente

II mafioso che adopera il mitra è sempre un sicario, non un potente Nuovi "baroni,, dirigono la delinquenza II mafioso che adopera il mitra è sempre un sicario, non un potente Nella vecchia Sicilia agraria e feudale, capi-mafia erano i gabellotti: opprimevano i contadini, ma per conto di un'aristocrazia lontana - Ora è mutato il terreno dell'azione, non il principio: anche le squadre di città lavorano ed uccidono nell'interesse di personaggi più forti (Dal nostro ■ inviato speciale) Palermo, luglio. < Per carità. Questa non è mafia. Delinquenza è». I vecchi baroni, vestiti di nero, o di bianco, candidi, senza una macchia, abbandonati nelle poltrone affocate dell'immenso albergo neoclassico a Palermo, scuotono mestamente il capo come se rimpiangessero una lontanissima età dell'oro. Uno si è fatto portare una cassata e la assapora- lentamente con le grandi labbra violacee; un altro, alto e inagrissimo, centellina lentamente un bicchier d'acqua. Da quindici anni a questa parte, da' quando cioè la mafia,1 adeguandosi ai tempi, ha cominciato ad usare il mitra, le bombe ad orologeria e — ultimo ' espediente — le <Giuliette» imbottite di tritolo o di pólvere nera, i vecchi baroni, 1 grandi proprietari terrieri non riescono a • darsi pace. Se 1 giornali parlano di un contadino crivellato dalla lupara lungo una < trazzera > deserta, essi non battono ciglio; trovano la cosa dolorosa, ma nell'ordine naturale delle cose, come il fulmine o il terremoto. E' la vecchia mafia della loro giovinezza, la legge del feudo, voluta dai grandi proprietari terrieri, imposta dai gabellotti, accettata dal contadini che conoscevano da generazioni e generazioni le sue regole e la sua efficacia, mentre non sapevano nulla del codice Zanardelli o del codice Rocco, regole forestiere che, oltre tutto, avevano il peggior difetto che una legge possa mai avere: quello di rimanere quasi sempre inapplicate Quello che 1 baroni non capiscono è la mafia d'oggi, le macchine lanciate a corsa paz za per i vialoni di Palermo, le curve a cento all'ora con I pneumatici «che cantano», la improvvisa lunga scarica di mitra, l'infrangersi dei vetri, la risposta delle pistole, il sangue sui marciapiedi. Quello che li sdegna è quest'ultimo ritrovato delle « Giuliette » esplosi ve. Uno sdegno pacato, represso, come si conviene a rappresentanti di un'antichissima civiltà, ma certo non meno violento di quello che dovette animare gli antichi cavalieri quando .sentirono parlare per la prima volta delle armi da fuoco. Ritrovati diabolici, che non hanno nulla che fare con l'antica legge del feudo, con l'obbedienza cieca che il contadino deve al padrone e al gabellotto, suo profeta. « Quésta, non è mafia. Delinquenza è ». E a riprova che non si tratta di mafia, che la mafia ormai è morta e strarnorta, il barone della cassata, fra un cucchiaino e l'altro, racconta agli amici quel che è capitato qualche tempo fa 'a don Ciccio F., capomafia di un paesotto dell'interno, verso la provincia di Trapani Don Ciccio era un fattore, un gabellotto venuto dal nulla, che a poco a poco, con la sua energia era riuscito a farsi strada, a salire fino ai gradini più alti della « onorata società » Quindici anni fa, sùbito dopo la guerra, era una potenza: alto, calvo, massiccio, dettava legge su una zona che comprendeva oltre dieci comuni. I principi, t baroni, tutti t grandi proprietari terrieri della zona non avevano mal avuto a lamentare scioperi, agitazioni e neanche la benché minima vertenza sindacale da parte dei contadini perché l'occhio d'aquila' di don Ciccld vegliava sui loro interessi e. provvedeva, enèrgicamente, "a farli rispettare. Se un contadino lo scorgeva in fondo a una < trazzera ». si sentiva salire il cuore In gola, si faceva piccolo piccolo e non osava alzar gli occhi dalla polvere della strada dicendo dentro, di sé: < Ecco don Ciccio. Certo per me viene ». Gli uomini di don Ciccio avevano l'autorità dei « bravi » di don Rodrigo; i protetti da don Ciccio dormivano sonni tranquilli come i bambini; gli avversari, se volevano vivere, dovevano cambiar zona- E non era certo che, anche nella nuova residenza, la loro vita fosse assicurata. Il maresciallo dei Carabinieri, poveruomo, sapeva tutto, ma essendo solo In paese, uno contro cento, quando vedeva passare don Ciccio, portava la mano alla visiera con la solerzia e l'energia riservate esclusivamente al signor sindaco e al parroco. Questo quindici anni fa, poco dopo la fine della guerra, quando'in Sicilia e In tutto il Meridione l contadini si agitavano, occupavano le terre e piantavano bandiere rosse In vetta ai cespugli di fichidindia. Ma a poco a poco dal 1950 in poi, dapprima lento e quasi inawertibile, poi, sempre più evidente e rapido era cominciato 11 declino. Le campagne si erano andate spopolando, i giovani non ne volevano più sapere della, terra e scendevano verso le fabbriche, in paese rimanevano soltanto gli anziani. Nel giro di dieci anni don Ciccio si trovò ad essere 11 re di un reame spopolato; 1 giovanissimi guardavano Rita Pavone alla televisione, passavano ore ed ore al < Juke-box > del tabaccaio; e quando entrava don Ciccio ntasdpPtlpnemtsnlmcssficnslfslhnfmdnsia i a e i o a i n neppure si raddrizzavano, con-1 tinuavano a battere i piedi e a muover le braccia come scimmie seguendo 11 ritmo della musica. Tanto l'anno prossimo sarebbero scesi a Palermo per lavorare al cantieri, o al cementificio, dove l'autorità dei capimafia di campagna, dei gabellotti del feudo non aveva alcun peso. Così la crisi di don Ciccio era venuta aggravandosi di mese in mése, fino a che, poco tempo fa, precipitò clamorosamente: ignoti ladri, spintisi nel suo cortile, gli rubarono le galline. • Poca cosa in sé, ma quel furto, con la mancanze di paura, che implicava, segnò per il paese una ' data storica, la fine di un'epoca. «La mafia, là vera mafia è finita » commenta il barone con una punta di rimpianto nella voce mentre i suol occhi sembrano seguire un gran volo di piume di gallina. In verità la mafia -non è affatto finita. Si è soltanto trasferita In città, è passata dall'agricoltura all'Industria, ed ha adottato strumenti moderni, adatti ai nostri tempi. Il fenomeno del resto era facilmente prevedibile considerando quel che avevano combinato attorno al 1930 1 mafiosi siciliani trasferitisi negli Stati Uniti A contatto con una civiltà più moderna, altamente industrializzata, essi avevano immediatamente abbandonato i problemi agricoli per dedicarsi a settori ben più proficui: alcool o più semplicemente do minio e monopolio di alcuni settori della produzione o degli scambi. Avevano abbandonato somarelli e lupara, per adottare le caratteristiche « limouslnes » nere dei « gang sters » dai cui finestrini, come da altrettante feritole, si affacciavano le canne corte e tozze dei mitra. Era inevitabile che, industrializzatasi e motorizzatasi la Sicilia, si industrializzasse e si motorizzasse anche la mafia» Controllo dei mercati, monopolio delle aree fabbricabili, sventagliate di mitra sono la nostra edizione, con trent'annl di ritardo, di quanto accadeva nell'America di Lucky Luciano. Ma se i campi di attività e Eli strumenti usati sono diversi, strutturalmente la mafia è quella di sempre. Innanzi tutto è un fenomeno servile, di personalità prepotenti ma sostanzialmente subordinate. Contrariamente a quanto generalmente si crede, i capimafia non sono dei piccoli prìncipi, dei signorotti, e neppure dei ras. Comandano su intere province, decidono della vita di un uomo, ma sostanzialmente non sono mai riusciti a cancellare la loro origine di gabellotti. Gratta gratta e sotto il più crudele e li più temuto dei capimafia troverai sempre il" fattore che maltratt,. a i contadini per mantener l'ordine nelle terre del padrone. I veri padroni della Sicilia sono altri. Ieri erano i feudatari, che si servivano, si, del l'appoggio della mafia, ma che mai avrebbero ammesso un mafioso ai loro balli e ai loro banchetti. Oggi sono speculatori, uomini alla ricerca .del potere economico o politico: quando hanno bisogno di ottenere il monopolio di un determinato settore, quando debbono raggranellare i voti di certe zone, sanno che la via più semplice è quella di sempre: rivolgersi alla mafia. Lo fanno cautamente, senza dar nell'occhio, spesso per interpo¬ spptnvsdb sta persona, sempre con un pizzico di degnazione, proprio come 1 Gattopardi cent'anni fa. Con quell'appoggio ottengono potere, voti, monopoli, privilegi. Lasciando ai mafiosi veri le briciole — briciole grosse, intendiamoci, da far campare una intera famiglia per tutta la vita — e l'assicurazione del loro aiuto in caso di difficoltà con la giustizia. Per questo il problema della mafia, prima e più che una questione di polizia, è un problema politico. Gaetano Tumiati Il senatore Donato Pafundi, presidente della commiseione d'inchiesta sulla mafia (Tel. « Associated Press »)

Persone citate: Ciccio F., Donato Pafundi, Gaetano Tumiati, Lucky Luciano, Rita Pavone, Zanardelli

Luoghi citati: America, Palermo, Sicilia, Stati Uniti