Siamo una generazione impaziente ed ansiosa di Arrigo Benedetti

Siamo una generazione impaziente ed ansiosa NOI UOMINI DI CINQUANT'ANNI Siamo una generazione impaziente ed ansiosa Il grande caldo sembra avere rotto la tensione. Il conclave è finito, il nuovo Papa è stato incoronato, abbiamo un nuovo governo, Valentina dopo la sua passeggiata spaziale è tornata a casa... E' cominciata la estate, si dice, quando la gente pensa solo alle vacanze. Non dovrebbe esserci più posto alle emozioni-, le stesse inquietudini a cui siamo avvezzi come a una droga, quasi dessero un senso ai nostri giorni, non hanno più alcuna giustificazione. Guardate la gioventù, ci dicono anche; rendetevi conto, osservandola, che per i giovani l'ansia non è la condizione normale dell'uomo. A dire il vero, benché padre di famiglia, ignoro se i figli siano protetti dall'ansia meglio di quanto noi lo si sia stato fin dalla fanciullezza. A guardarli si direbbe di sì. Anche quando leggono i giornali, o ascoltano i notiziari radio-televisivi, lo fanno tranquillamente. Non m'è mai accaduto di sentirmi dire, per esempio, con una voce rivelatrice un'intima tensione: «Tu sapcs> si cos'è successo... Tu sapessi che hanno fatto... ». I nostri figli accettano i fatti, li giudicano forse, però senza le accentuazioni morbose che noi gli da* vamo nel riferirli, quasi indi spettiti che i genitori, in ciò rassomiglianti ai loro nipoti, li accogliessero senza riscaldarsi troppo. Un seguito di fatti, e una parallela catena di sensazioni, mi dimostrano d'avere appartenuto all'età della gente ansiosa. (E, per la forza dell'abitudine, contenta d'esserlo). Forse, imparam mo a essere impazienti, quando bambini aspettavamo i bollettini di Cadorna e di Diaz. Nel pomeriggio del 4 novembre del 1918, nella mia città ci fu un momento di distensione. Verso le nove, però, la campana della Torre delle Ore, che i vecchi dicevano non suonasse da cent'anni, lasciò cadere sui tetti i suoi tocchi lugubri e tutti pensarono (o almeno noi bambini lo pensammo), all'avvenimento nuovo che avrebbe sostituito, inebriandoci, quello già vecchio, annunziato dal bollettino della vittoria. Che delusione, quando i genitori ci spiegarono che la campana suonava a morto per Guglielmo di Germania e per Carlo d'Austria! I . genitori, finita la guerra, aspettavano il ritorno della normalità-, noi aspettavamo un fatto che lo impedisse. I tempi normali non erano solo quelli delle merci schiette e a buon prezzo, anzi il loro vero pregio consisteva nell'assoluta rarefazione delle emozioni, in modo che gli animi, finalmente, potessero essere aperti alle lusinghe della letteratura, della musica c dell'arte; insomma, a disposizione di quanto di nobile è possibile su questa terra. Invece, la normalità non tornò, passammo da un'impazienza a un'altra. Che avverrà domani? Ce lo domandavamo, certe sere, fingendoci preoccupati, prima d'addormentarci, disposti ad accettare tutto purché il fatto si desse: colpi di Stato, specialmente colpi di Stato, violenze... Gli attentati contro Mussolini soddisfecero la nostra impazienza per alcuni anni; poi, quando diventarono più rari (o forse ci abituammo all'idea di quei tirannicidi falliti), ci furono i viaggi del dittatore, durante i quali pareva che dovesse prodursi il grande fatto. Allorché, prima del decennale, viaggiò nell'Italia centrale, corse perfino la voce che in seguito alle accoglienze trionfali avrebbe deposto i Savoia. Anche questo sarebbe stato un fatto. In seguito, si cercò di cogliere, nei suoi discorsi minacciosi, le sfumature che la sciassero capire se minacciava sul serio e se veramente incendeva affrettare l'evento che avrebbe eliminato per sempre il ri schio del ritorno dei tempi normali: la guerra odiata in quanto guerra, ma non come fatto. L'impazienza ci ha accompa gnato fin dall'infanzia, svuotali do gli avvenimenti tanto attesi e impedendoci d'afferrarne i senso storico e morale. Ogni caso ci pareva avere valore quanto più gratuito, e un simile atteggiamento che potrebbe dirsi dannunziano, l'accettavamo con la mediazione d'una letteratura che ci sembrava non avere alcun legame con D'Annunzio: per esempio attraverso quella d'André Gido, uno scrittore che coi suoi racconti, e specialmente coi suoi diari, rispondeva, accentuandole, alle nostre irragionevoli inquietudini. E non ci guarì neanche una prova dura come la seconda guerra mondiale. Gli stessi sentimenti antifascisti, anche se poi diventarono razionali, sottoposti alla lezione d'esperienze terribili, non derivarono da un irragionevole bisogno di novità? Forse, solo l'asprezza e la crudeltà della guerra partigiana ci dettero, dopo l'8 settembre del 1943, una sensazione dei confini tra realtà e immaginazione. Gli stessi fascisti di Salò, i famosi rvlpmtszpszvvcrsinevneftmsdtltambsd repubblichini, a\ svano una loro verità. Erano meno astratti dei loro predecessori. Sapevano ti prezzo che avrebbero dovuto prima o poi pagare. Eppure, quando tornò la pace, non c'è stato scampo, l'abitudine all'impazienza ha avuto il sopravvento sui propositi di pacatezza, perfino sull'odio per tutto ciò ch'è irrazionale, alimentate in noi le nuove ar 'e da avvenimenti che ci venivano imposti come storici e che talvolta lo erano: che so, il referendum istituzionale, la consultazione elettorale del '48... E il veleno si nascondeva sempre nella compiaciuta sensazione di essere nella storia, sempre tesi verso l'avvenire e pronti ad annoiarci del presente. Nelle scorse settimane, per esempio, mentre aspettavamo la fumata bianca in piazza San Pietro, non è che ci preoccupassimo del futuro nostro o dei nostri figli, o tanto meno di quello della Chiesa. Ci avvinceva il fatto in sé. Desideravamo vivere l'attimo in cui il cardinale Ottavia™ si sarebbe • affacciato, avrebbe annunziato il gaudium magma», avrebbe detto che habemus papatn, spingendoci, come sempre, a concentrare lo spasimo dell'attesa, lo stesso impiegato tante altre volte per bollettini di guerra, per edizioni straordinarie, nella breve sospensione della voce precedente il nome dell'eletto. Dopo, ci saremmo trovati nel mondo privo d'emozione dei fatti che storia lo sono già. Però, quale occasione per spiare, in quei giorni per me ansiosi e impazienti, l'atteggiamento di mio figlio, confrontandolo a quello che sarebbe stato il mio se ventenne avessi avuto la possibilità d'andare In piazza San Pietro o comunque di seguire il grande avvenimento alla televisione. Certo, anche mio figlio s'interessava. Non gli sfuggiva il valore del passaggio da un pontificato a un altro. Però quando il cardinale Ottaviani rbbe detto il nome di Montini, ebbi l'impressione di' vederlo soddisfatto e pacato, incline semmai a discutere il senso dell'elevazione al soglio dell'arcivescovo di Mi lano. Sarà poi veramente così? Lo spero, perché la pacatezza dei nostri figli davanti ai fatti potrebbe essere il pegno migliore contro lo spirito d'avventura che, confessiamolo, ha sempre animato noi anziani. Arrigo Benedetti

Persone citate: André, Cadorna, D'annunzio, Diaz, Montini, Mussolini, Ottaviani, Savoia

Luoghi citati: Austria, Germania, Italia