Il trionfo delle «Ferrari» a Le Mans desta viva ammirazione in Francia

Il trionfo delle «Ferrari» a Le Mans desta viva ammirazione in Francia Il trionfo delle «Ferrari» a Le Mans desta viva ammirazione in Francia Entusiastici commenti della stampa al successo delle vetture italiane, classificate ai sei primi posti e al comando anche nella graduatoria all'indice di prestazione - Sicura corsa di Scarfiotti e Bandirli, la coppia vittoriosa - Ricostruito il tragico incidente nel quale è morto il brasiliano Heins (Dal itostro inviato speciale) Le Mans, 17 giugno. I quotidiani francesi di stamattina sono pieni di ammirazione per la grande affermazione della Ferrari nella «24 Ore » di Le Mans. Anche quelli non specializzati se ne occupano con abbondanza di spazio: la grande corsa di velocità e resistenza è molto sentita in Francia, costituisce un avvenimento nazionale, benché da molto tempo le macchine d'Oltralpe non vi abbiano più colto una vittoria. Per favorire un almeno parziale successo delle vetture francesi nella «24 Ore», gli organizzatori di Le Mans avevano introdotto qualche anno fa una speciale classifica — detta « all'indice di prestazione » — che rapporta ì chilometri percorsi alla cilindrata dei motori, ma congegnata in modo da favorire inevitabilmente le macchine meno potenti, categoria nella quale qualche piccolo costruttore parigino è presente ogni anno. Ma questa volta i conti non sono tornati neppure in tale direzione, che le Ferrari, con i loro motori di cilindrata non eccessiva (2957 cmc.) si sono imposte anche nella classifica all'indice di prestazione, avendo largamente superata la distanza minima teoricamente imposta alle macchine di tre litri. Ovviamente, non è questo successo secondario a dar lustro al trionfo delle macchine modenesi, la cui vittoria era stata prevista da tutti, ma non certo nelle proporzioni in cui si è verificata: i sei primi posti nella classifica assoluta, il nuovo record sulla distanza — oltre 4560 chilometri percorsi nelle 24 ore, — e quindi della media oraria: 190,071, e il nuovo record sul giro a 207,990 di media; quest'ultimo per merito dello sfortunato John Surtees. Mai, nella quarantennale storia della «24 Ore» di Le Mans, una Casa era riuscita a tanto. La Ferrari è ben degna di conservare il titolo di campione del mondo marche. Le auto di Modena trovano a fianco negli elogi, soltanto la Rover Brm a turbina che ha vinto il premio di tre milioni di franchi per aver terminato (sia pure correndo fuori gara) la corsa con 170 all'ora di media. L'equipaggio vittorioso è stato, finalmente, tutto italiano. Ludovico Scarfiotti e Lorenzo Bandini erano considerati alla vigilia niente più che rincalzi, forse neppure degli outsiders. Ora non c'è dubbio che senza l'incidente di Mairesse alla 18a ora di corsa, il pilota belga e Surtees avrebbero vinto la prova, ma è altrettanto incontestabile che i due ragazzi si sono costruita la loro affermazione ora per ora, chilometro per chilometro, con magnifica regolarità e decisione, sfruttando giudiziosamente, senza strafare, le enormi possibilità meccaniche della loro Ferrari « Prototipo ». L'aver largamente battuto il primato della « 24 Ore », basterebbe a convalidare la grande prova di Scarfiotti e Bandini. Uno dei quali — sia detto per inciso — potrebbe domenica ventuia sostituire nel Gran Premio d'Olanda di Formula 1 (terza prova valevole per il campionato mondiale piloti) l'infortunato Willy Mairesse, uno dei corridori che hanno pagato a caro prezzo questa drammatica « 24 Ore » di Le Mans. Perché sulla corsa ha pesato la tristezza e il raccapriccio per la serie di paurosi incidenti che si sono succeduti. Dal 1955 — anno della spaventosa tragedia che nessuno ha dimenticato — non si erano più verificati sul difficile velocissimo circuito della Sarthe gravi incidenti ai piloti (il pubblico, adesso, è assai meglio protetto di un tempo). Ma nelle corse automobilistiche, l'insidia è in agguato ogni metro, imprevista e imprevedibile eppure immanente; sono cose che si sanno da quando esiste lo sport del volante, eppure ogni volta assale un senso di sgomento di fronte al sangue versato, e purtroppo — talvolta — al sacrificio della vita. La ricerca delle cause, a posteriori, può avere un semplice significato statistico, ma insegna ben poco. Ogni incidente, la sua dinamica, le sue conseguenze, sono quasi sempre irripetibili. Sabato notte, sul circuito di Le Mans è morto un pilota, il brasiliano Christian Bino Heins, e il fatto umano trascende ogni considerazione tecnica. Una macchina — la Aston Martin condotta da Me Laren — «sbiella»: dal carter fuoriesce in quantità il lubrificante, che forma sulla pista una lunga chiazza scivolosa; arriva la macchina di Salvadori che si mette di traverso sulla strada, arriva l'auto di Jean Pierre Manzon (figlio del più famoso ' Robert Manzon) che per evitare la prima piomba sulle protezioni esterne (in quel tratto il circuito forma una leggera curva) e si impenna restando in bilico sulle ruo te posteriori; arriva la picco la « Alpine » dello sventurato Bino Heins, cui non riesce alcuna manovra di difesa: la vettura si schianta su un lato e prende fuoco. Gli altri tre piloti, indenni, riescono a saltare fuori, il brasiliano sviene (almeno lo si presume) e le fiamme lo carbonizzano. Perché tutto questo, ohe sembra assurdo e invece è una tristissima realtà? Non c'è un perché: o questo sport lo si accetta come è o lo si respinge. Altre alternative non ci sono. Più fortunato — se così si può dire — Willy Mairesse, che dalla macchina in fiamme (se ha preso fuoco prima o dopo l'urto laterale non è stato possibile accertare) è riuscito a fuggire, usUonato e con un braccio rotto; e del tutto incolumi Parkes, co-pilota di Fedro Rodriguez, e Carlo Mario Abate, anch'essi usciti di strada durante la notte (in quel momento il torinese era terzo assoluto). Ma è gente fatta di una tempra speciale. Ricomincerebbero domani. Ferruccio Bernabò La sperimentale vettura a turbina, con i piloti Ginter e Graham Hill che si sono alternati alla guida a Le Mans

Luoghi citati: Francia, Modena, Olanda