I venticinquemila italiani rimasti in Istria

I venticinquemila italiani rimasti in Istria ORMAI INSERITI, CON QUALCHE NOSTALGIA, NELLA VITA DELLA JUGOSLAVIA I venticinquemila italiani rimasti in Istria Sono pochi, in confronto ai profughi; dopo la guerra scelsero di restare per motivi ideologici od economici - Finiti gli anni difficili, hanno gli stessi diritti che il regime concede alle altre minoranze - Oltre alle scuole elementari, ci sono 4 licei italiani, un giornale ed un quindicinale nella nostra lingua; e le feste organizzate nei 15 Circoli italiani attraggono anche l'«élite» slava (Dal nostro inviato speciale) Fola, maggio. Un servizio che mi metteva a disagio. Venivo dall'interno, da Zagabria, e man mano che mi avvicinavo a Fiume, a Pota, alle località già italiane dell'Istria, provavo un senso di trapidazione. Mi avevano sconsigliato, treni (€Sono lentissimi — mi avevano detto — si fermano ad ogni stazione») e viaggiavo su veloci autopullman, che però si fermavano anch'essi ad ogni paesino caricando contadini, vecchie vestite di nero, ragazze rubizze ed esuberanti che si stipavano nel corridoio senza brontolare, sorridenti, 'come se fossero abituate da sempre a quei trasferimenti stile < immediato dopoguerra ». Man mano che le foreste di querce e di abeti cedevano il posto alle pietraie carsiche, alle viti, agli olivi, alla terra istriana rossa come quella di Siena, non potevo non pensare al tragico esodo da Pola, al doloroso flusso dei compatrioti che avevano lasciato queste regioni pur di continuare a vivere in Italia. Allora tendevo l'orecchio per sentire se, fra il parlottare continuo dei compagni di viaggio, potevo cogliere qualche accento familiare, qualche parola del dialetto istriano, così simile a quello triestino. Niente. Lingua croata, lingua slovena, neppure una parola di italiano. Una volta sui pianori fra Abbazia e le miniere dell'Arsa salirono due reclute ancora in abiti borghesi che ostentavano con un certo orgoglio il lungo fucile militare avuto in dotazione. Sul pullman c'erano diversi loro coetanei che li aocolsero con grande entusiasmo chiamandoli per nome: « Carlo, Gino! ». Nomi italianissimi, ma la conversazione che seguì, punteggiata di risate e di manate sulle spalle, fu tutta in lingua slovena. Allora cominciai a rendermi conto di una situazione che, nei giorni seguenti, ho potuto analizzare a mio agio. Il dramma dell'Istria non è qui a Pola, a Fiume, a Rovigno; è da noi, in Italia, nella memoria degli istriani che hanno abbandonato le loro città, che non riescono a dimenticare la strada che percorrevano ogni giorno, il mare che vedevano dalla finestra, il cimitero dove riposano i loro cari. La situazione di coloro che sono rimasti (circa venticinquemila in tutta l'Istria, Fiume compresa; poca cosa rispetto agli esuli, poca cosa soprattutto rispetto alla massa della popolazione slava della regione) è piuttosto calma e distesa, e in generale non presenta problemi angosciosi. Per comprenderla, è necessario rifarsi ai molivi per cui, al momento in cui fu loro concesso di scegliere fra le due cittadinanze, quasi 25 mila persone optarono per quella jugoslava La parte attualmente più qualificata, quella che oggi ricopre le cariche pubbliche v dà il tono alla vita della minoranza di lingua italiana, operò la sua scelta in base a un criterio politico. Erano partigiani che avevano combattuto nelle < brigate proletarie » di Tito, vecchi comu¬ nisti abituati a considerare la borghesia come « l'unico nemico», nuovi comunisti che ponevano l'ideologia marxista al di sopra degli ideali nazionali. Naturalmente accanto a costoro c'è chi ha scelto di restare per comprensibili, umanissime ragioni economiche e sentimentali: contadini che avevano qui il loro campo (la Costituzione jugoslava permette la proprietà privata fino a dieci ettari), piccoli artigiani attaccati al loro negozio (sono permesse le aziende private fino a un massimo di sei dipendenti), calafati o portuali per i quali il porto di Fiume o di Pola costituiva l'intero mondo. Tuttavia, poiché nell'immediato dopoguerra vi furono anche contadini, artigiani e portuali che preferirono passare in Italia, vien fatto di domandarsi se quelli che sono restati non siano stati spinti anch'essi da ragioni politiche. In un certo senso, sì; ma in questo caso non si può parlare di marxismo, bensì di una generica speranza in una maggiore giustizia sociale (si tratta sempre di poveri) e soprattutto di un internazionalismo di marca absburgica. E' gente che direttamente o indirettamente ricorda quel mosaico di popoli che fu l'impero austroungarico; che spesso, anche se di umile condizione, parla disinvoltamente tre o quattro lingue; che nel corso della sua vita ha avuto contatto con austriaci, ungheresi, boemi, serbi, croati, dalmati. In questo crocicchio di popoli e di civiltà, i vari nazionalismi possono accendersi ed esasperarsi, ma talora possono anche sbiadirsi e fondersi in un internazionalismo educato e un po' scettico. Non sempre la speranza di queste categorie in un miglioramento economico è stata pienamente realizzata, e pertanto su di loro le notizie del boom economico italiano esercitano una certa presa; che però per forza di cose si limita a un lieve rammarico, a un sogno che poco ha a che fare con la realtà quotidiana. Una categoria a parte è costituita dai giovani e dai giovanissimi. Nati dopo la fine della guerra, educati in clima comunista, i giovani istriani di lingua italiana, salva qualche eccezione, partecipano attivamente alla vita delle organizzazioni giovanili comuniste, alle manifestazioni sportive e culturali, alle periodiche grandi parate. Insomma, sono inseriti nella vita pubblica d'uno Stato collettivista. Questo inserimento è stato facilitato dalla politica del governo jugoslavo, aliena in questi ultimi anni da eccessi nazionalisti. Certo, l'annessione ut città italiane come Pola, Rovigno, Capodistria non sta a dimostrare che t governanti di Belgrado si librino in cieli superiori ad ogni nazionalismo. Tuttavia bisogna riconoscere che, una volta definita la questione dei confini, il governo jugoslavo ha adottato, nei confronti della minoranza di lingua italiana, una politica tollerante. La collettività italiana ha un suo quo¬ tidiano — La voce del popolo — c7ie si stampa a Fiume, un suo quindicinale a rotocalco, un suo mensile per bambini, una sua Casa editrice che stampa i libri di testo. Ogni paese istriano, accanto alle scuole jugoslave, ha le elementari inferiori (quattro anni) in lingua italiana; moltissimi centri hanno anche le elementari superiori (altri quattro anni) italiane; alcune città — Fiume, Pola, Rovigno, Pirano — hanno anche il ginnasio-liceo in lingua italiana; Radio Capodistria ha un programma di sci ore giornaliere in italiano; diverse strade di Fiume e di Pola sono intitolate a partigiani italiani caduti combattendo contro il nazifascismo. Abbiamo dato uno sguardo ai testi usati nei ginnasi-licei. Per la storia si usano per lo più opere di Pepe, Saitta, Chabod, illustri italiani di larga apertura democratica c di ispirazione progressista. Per la letteratura, uno dei testi più usati è quello di Natalino Sapegno. Nelle antologie sono compresi brani di Hemingway, Richard Wright, Massimo Gorlci; fra gli italiani Manzoni, Carducci. Pascoli, Matilde Serao, Verga, Grazia Deledda. Non manca D'Annunzio (à vero che nel libro da noi esaminato si trattava di una poesia non certo politica, € La pioggia nel pineto »). Fra i contempora¬ 11111111111 i 11911 i 1 ■ 11J114 M11 ) 11 r 1111 ! 111111 ■ 11111111111 ■ 1 nei Marino Moretti, Vittorini, Pratolini. Naturalmente queste letture vengono inquadrate in una linea di insegnamento, che si ispira in ogni caso a principi marxisti. Nell'illustrare il Risorgimento i professori pongono l'accento sui garibaldini anziché su Vittorio Emanuele II, nel raccontare l'inizio di questo secolo stigmatizzano l'impresa libica e l'interventismo per sottolineare il consolidarsi del movimento operaio italiano. Insomma nelle comunità italiane di Jugoslavia, nei quindici Circoli italiani di Fiume e dell'Istria, ritroviamo all'incirca la stessa atmosfera che regna nelle federazioni italiane del partito comunista, nelle sedi delle Camere del Lavoro, dei Partigiani della pace e di altre simili organizzazioni. Con una differenza: mentre da noi questi ambienti hanno sempre un aspetto modesto e sono spesso un po' squallidi, nella Repubblica Jugoslava i circoli della minoranza italiana, pur non arrivando a certe raffinatezze estetiche borghesi, costituiscono spesso l'ambiente più chic. Una conferenza al Circolo italiano, un ballo nella comunità italiana, uno spettacolo al teatro italiano sono sempre un avvenimento di livello, cui tiene moltissimo a partecipare anche la popolazione slovena e croata. Il che, do- po tutto, non può non farci ^ iimv, nv» /«rti piacere. Gaetano Tumiati 1111M111111111111 t M111 ■ 1111111111111111111111111111