Un siluro lanciato contro il ciclismo di Vittorio Varale

Un siluro lanciato contro il ciclismo Un siluro lanciato contro il ciclismo (Dal nostro inviato speciale) Pescara, 22 maggio. Qualsiasi discorso voglia farsi a commento della decisione presa i6ri a Roma nella riunione del consiglio direttivo dell'Uvi, un punto d'avvio non-] può, da chicchessia, ed insistiamo su questa definizione, non esser tenuto presente: il Giro d'Italia è la corsa del popolo. E' sempre stata così bella, così semplice eppure così avvincente la corsa dei corridori ciclisti — tanto più quella che, radunando ad ógni primavera il meglio del ciclismo, sovente internazionale, trasvola di città in città sempre sollevando l'interesse, che dico, la passione delle folle. E non solo dei ragazzi, né dei semplici di spirito: scommetto che ieri stesso a Roma, leggendo i giornali della sera, o stamattina con questo od altri fogli d'informazione in mano, non ci sia ministro del governo in carica che non dica, con un sorriso affettuoso: c Oh, il Giro d'Italia... Quanto mi ci appassionavo quand'ero giovane... Ricordo Ganna e Gaietti, ricordo Girardengo, ricordo Guerra e Binda, e poi Coppi e Bartali... Cos'è questo scandalo di cui si parla? Tanto grave è che vogliono far sospendere il Giro? O via... scherziamo? >. Eh, no. Il comm. Adriano Rodoni, che ha convocato d'urgenza i governanti dell'ente che presiede all'attività ciclistica nazionale, il signor Rodoni, ieri pomeriggio, ha premuto un bottone, e il siluro contro il Giro d'Italia è meccanicamente, puntualmente scattato. Non corre in fretta, però, il siiuro-Rodoni. Si sa, è nella natura del Presidente dell'Uvi di agire con calma sorniona, proteggendosi le spalle il più possibile da ógni accusa d'arbitrio e d'illegittimità, pur senza, talvolta, riuscirvi. E stavolta, checché egli ne dica, o faccia dire, il siluro che entro la giornate dovrebbe mandare a fondo il Giro d'Italia, è carico di quanto di più illegittimo, di più arbitrario, e di più odioso, anche per la forma e il momento scelti per lanciarlo, si possa immaginare. Rifare la storia dal principio, e della farsa delle due maglie tricolori, e, più ancora lontana, della impossibilità ultradecennale di favorire un accordo per l'entrata dei professionisti nella famiglia dell'Uvi non più come oggetti, sibbene come soggetti coscienti dei loro interessi e ben decisi a tutelarli, non è più il momento. Il nocciolo della questione, ci sembra, è ben diverso, e più semplice: è che per una questione di malinteso prestigio dell'ente da lui presieduto e dell'autorità in cui egli s'identiflca, Rodoni da null'altro sembra animato se non da una caparbietà resistente ad ogni sollecitazione, non solo provocata dalla voce multanime del popolo che vede messa a repentaglio la <sua> corsa ma anche da personaggi di rango e di qualità. Lo conosciamo da molto tempo — il presidente Rodoni. Sincero, entusiasta sportivo nella sua gioventù e poi nella maturità, purtroppo mutatosi, e non in bene, col passar degli anni. Vogliamo dire che si è fatto più autoritario, quasi tirannico nella conduzione della federazione a lui cara, ostinato oltre ogni limite pensabile, e tenacissimo negli odi. Ha fatto, sì, a suo tempo del bene al ciclismo; escludiamo nel più categorico dei modi ch'egli ne stia facendo oggi — sotto la maschera del duro, dell'inflessibile tutore della legge. Il siluro che dovrebbe far saltare il fronte della solidarietà spontaneamente creatasi nella convulsa- mattinata di ieri l'altro a Potenza, è in viaggio. Domani, appena ultimata la tappa che arriva a Viterbo, i corridori sono comandati a scegliere: o ritirarsi dal Giro o adattarsi a subire l'inesorabile sanzione della sospensione che l'Uvi è pronta a comminare. Le prossime ore vedranno se, sotto tale minaccia, i corridori che per loro natura di professionisti dipendono dall'Uvi ma anche dai loro datori di lavoro — 6i vedrà se cederanno. Oppure se, come qui dicevamo l'altra mattina, anch'essi accetteranno la prova di forza cui tanto bruscamente l'Uvi li invita. Abbiam già detto che nelle comunità talvolta ei arriva a tali limiti di intollerabilità nei rapporti, che la < ribellione > è non solo naturale, ma spontanea ed indifferibile. Dal male, sovente, in questi casi, nasce il bene: nel caso odierno, se si giungerà finalmente alla chiara separazione del professionismo dal dilettantismo rappresentato dall'Uvi. Eppoi, c'è qualcosa d'altro che dà da pensare sulla gravità della mossa dell'Uvi per affossare il Giro d'Italia con la scusa di salvare il ciclismo. Quale ciclismo? — c'è da chiedersi. Questo qualcosa è appunto la corsa del popolo, che non è soltanto una sollazzevole manifestazione di folclore 0 d'altro genere, Bibbene un fatto ormai d'importanza sociale, di costume, di innegabile contenuto e peso economico. Così com' è congegnato il Giro d'Italia rappresenta un complesso d'interessi ormai esposti nel crogiolo dell'attività in atto, che non è esagerato valutare nell'ordine di qualche miliardo almeno. Superfluo, oggi, qui elencarli. Nessuno ne può negare l'evidenza, il pericolo che di punto in bianco vadano in fumo, per una questione che, se all'origine, con uno sforzo di buona volontà, poteva trovare l'Uvi dalla parte della ragione, oggi la vede messasi cocciutamente al polo opposto. Ha bel dire, il presidente dell'Uvi, ch'egli è forte delle duemila società dilettantistiche da cui derivano la sua carica e. la sua autorità. Ma 1 - corridori professionisti, le ditte che li mantengono, gli organizzatori delle gare classiche — che l'Uvi trova tutti i cavilli per lasciar fuori dal suo feudo se non si dichiarano « schiavi > — devono poter in un'assise libera e democratica far valere i propri sacrosanti interessi. Le duemila società che fanno la forza dell'Uvi e ad ogni assemblea, sollecitate dai galoppini elettorali, mandano in ben sigillati pacchetti le loro deleghe in bianco, sono ben conosciute. Come quelle create ad arte unicamente perché rappresentano un voto, oppure come quelle chiamate a rispon dere in pretura per il gioco d'azzardo che solitamente si fa nelle loro sedi. E' questo il ciclismo che l'Uvi intende difendere? Si tolga di mezzo, invece, almeno per qualche settimana. Lasci tranquillo il Giro d'Italia andare verso i traguardi che lo aspettano; lasci il passo alla corsa del popolo. Vittorio Varale

Persone citate: Adriano Rodoni, Bartali, Binda, Coppi, Ganna, Girardengo