Israele, un paese affamato di cultura di Francesco Rosso

Israele, un paese affamato di cultura Teatro, concerti, libri anche nel deserto Israele, un paese affamato di cultura (Dal nostro inviato speciale) Gerusalemme, maggio. Ógni volta che ritorno in Israele mi sorprende il numero delle librerie, a poca distanza l'una dall'altra, sempre affollate di acquirenti. Definiti « il popolo del Libro», per la millenaria perseveranza nell'esegesi della Bibbia, gli israeliani sono oggi il popolo dei libri. In nessun altro paese, credo, anche di elevatissimo livello culturale, si nota una così autentica fame di lettura, un desiderio di rimanere inseriti in tutti i movimenti culturali. Le statistiche non sono sempre possibili, soprattutto in materie tanto imponderabili; tuttavia ci si può accostare con buona-approssimazione alle cifre reali dei libri venduti in Israele, che toccano limiti vertiginosi se si pensa al numero degli israeliani, quasi due milioni e trecento mila. I libri stampati qui, in lingua ebraica, sono circa due milioni e mezzo ogni anno. Quelli importati dall'estero (americani, inglesi, tedeschi, spagnoli, francesi, pochissimi italiani) si aggirano, mi dicono, sui tre milioni e mezzo l'anno. Fatto un calcolo approssimativo, risulta che gli israeliani comperano in media quasi tre volumi ciascuno, includendo nella media anche i neonati. Un'idea più esatta sull'amore degli israeliani per la lettura me la sono fatta un mese addietro, quando fu inaugurata a Gerusalemme la «Fiera internazionale del libro ». La cerimonia inaugurale avvenne nel grande auditorio, non ancora ultimato nelle strutture esterne, ma coi suoi tremila posti a sedere già in funzione. Era una cerimonia noiosa come tutte quelle consimili; con sei discorsi di gravi signori che illustravano le necessità dello spirito e l'imperativo di alimentarlo con la lettura. I tre mila posti dell'auditorio erano esauriti da un pubblico attentissimo, per nulla annoiato dalla rettorica degli oratori. Al termine, tutti visitarono attentamente i libri esposti, tra i quali gli italiani non sfiguravano per la raffinatezza delle edizioni, ed alla chiusura della mostra, visitata da oltre trentamila persone, tutti i libri furono acquistati dai librai israeliani, tranne quelli italiani perché, non avendo noi accordi culturali col piccolo paese divoratore di libri, i dazi doganali li rendono pressoché proibitivi. II discorso sui libri potrebbe durare ancora, soprattutto per illustrare la nuova mentalità culturale che si va affermando in Israele. Fino ad alcuni anni addietro, soprattutto i giovani nati qui rivelavano una sprezzante indifferenza per ciò che accadeva fuori dai loro confini; l'esasperato nazionalismo cui li costringeva l'ostilità dei paesi arabi, il ricordo delle persecuzioni subite, li rendeva ostili ad ogni manifestazione della cultura straniera. Affermavano in questo modo la volontà di sopravvivere anche se isolati, rifiutando persino di parlare con il forestiero le lingue straniere imparate a scuola. Oggi, acquistata maggior sicurezza all'interno ed all'estero, hanno riallacciato i fili col mondo che gli è congeniale; nelle librerie i volumi scritti in tutte le lingue del mondo si accatastano vicini a quelli in lingua ebraica in perfetta universalità culturale. Ciò non significa che gli israeliani abbiano perduto il mordente del tenace nazionalismo che gli consente di resistere alla pressione degli arabi: hanno soltanto compreso che era inutile chiudersi nella torre di avorio di una presunta superiorità nazionale; anzi, era dannoso perché alla fine si sarebbero isteriliti. Alcuni giorni addietro sono giunti in Israele alcuni esponenti del teatro francese guidati da Eugenio Ionesco. La Francia è l'amica più affezionata degli israeliani; gli manda i reattori Mirages IH ed i missili anticarro, ma gli fornisce tonnellate di libri, organizza convegni culturali di teatro, cinema e musica che fanno il giro di Israele visitando anche i più lontani, sperduti kibbtmm. Era sorprendente vedere i componenti di un kibbuz chiudere di fretta le pecore nell'ovile, deporre gli attrezzi usati nel lavoro dei campi, ripulirsi con sollecitudine della polvere, percorrere in bicicletta, o su un camion, alcuni chilometri per andare nel teatro più vicino ad ascoltare la conferenza di Ionesco sul teatro moderno, partecipare poi con viva immediatezza al dibattito che seguiva tra pubblico e oratori. Israele è oggi un crocevia non soltanto della politica mondiale, la sua fame di cultura lo ha piazzato in prima fila tra i paesi di più alto livello. Per varie cause, non ha creato ancora il grande artista nazionale, un nome eh-? si inserisca d'imperio nel ciclo artistico mondiale. Gli ebrei che sono approdati in Israele dopo la guerra sono stati, in grande mi- sura, valenti professionisti, grandi matematici, fisici, chirurghi; gli artisti di gran fama, mettiamo uno Chagall, pur rivelando ossequi per il sionismo, hanno preferito rimanere nell'ambiente europeo, o americano, che li ha espressi. Israele ha dovuto costruire il suo popolo con un materiale umano in maggioranza di scarsissima cultura, le grandi ondate di popolazione gli sono giunte da' ghetti marocchini, tunisini, egipani, libici, dove gli ebrei si erano adeguati a vivere nelle condizioni degli arabi, cioè fuori dalle correnti di pensiero che rinnovavano il mondo. Aver fatto di questa gente un popolo avido di cultura è, penso, il più grande prodigio di Israele, più grande della riconquista del deserto. Tempo addietro, avevano organizzato un incontro internazionale di scultori nel Neghev; avrebbero dovuto pensare e creare le loro opere nella deserta pietraia e lasciarle sul posto. Quelle sculture avveniristiche proiettare sul paesaggio biblico davano sensazioni contrastanti; la follia immaginativa trovava, però, una sua validità nel delirante scenario del deserto, le composizioni astratte ripetevano in forme precise la disperazione del Neghev sitibondo, la sua contorta convulsione pietrificata. Non si può dire quanti israeliani siano andati a visitare l'improvvisata galleria d'arte astratta all'aperto; furono certo alcune centinaia di migliaia, gli stessi che, alternativamente, affollano i musei, le gallerie, i teatri e gli auditori. Gerusalemme è una piccola città con centoventimila abitanti, poco più grande di Novara, ed ha un auditorium con tremila posti a sedere, sempre esauriti ad ogni concerto. La musica, ancor più che la lettura, esprime il temperamento degli israeliani, tutti melomani fanatici. Quattro grandi orchestre di valore internazionale si esibiscono ininterrottamente nei dodici mesi dell'anno spostandosi da un teatro all'altro perché tutti gli israeliani possano saziarsi di musica. Oltre ai grandi auditori di Gerusalemme, Tel Aviv e Caifa, novemila posti complessivamente, sono stati-costruiti teatri chiusi' ed all'aperto in ogni angolo del paese, in posizioni che siano facilmente raggiungibili dagli abitanti dei kìbbinivi i quali, con notevole frequenza, possono assistere all'esecuzione di programmi musicali di altissimo livello, diretti da maestri famosi e con la partecipazione di solisti come Casals, Menuhin, Benedetti Michelangeli, ecc. Nei teatri di campagna, ampie gradinate semicircolari che possono ospitare anche duemila spettatori, si alternano anche le com- pagnie di prosa : la celebre « Habima », considerata gloria nazionale, fondata in Russia nel 1919 e passata tra gli applausi delle platee di tutto il mondo, continua nel repertorio classico rappresentando Mirra Efros e il Dibuck. Ma questo genere non dice più nulla ai giovani, interessati alle correnti del teatro moderno e volti.ad altre formazioni come la « Kameri » e la « Ohel » che, oltre ad opere di autori israeliani, mettono in scena drammi e commedie straniere di ogni tendenza, inserite nel nostro tempo, appunto come desidera la irrequieta gioventù israeliana. Il contrasto tra le generazioni che hanno fondato Israele combattendo contro gli arabi, rinunciando al benessere personale, ed i giovani che hanno trovato tutto già definito, si è lentamente smorzato nell'amalgama nazionale, fatto soprattutto di cultura comune. Si stampano ancora libri e giornali in jiddish, persiano, tedesco, spagnolo per i patriarchi dello Stato israeliano che hanno conservato un ideale legame coi paesi d'origine; ma nei quindici anni di vita lo Stato ha davvero formato un popolo con membra sparse e dissimili, un popolo unito, aperto sul mondo, e che tuttavia pensa e agisce in israeliano. Francesco Rosso II capo dei comunisti polacchi Wladislaw Gomulka, al centro con gli occhiali, durante la festa per il raccolto

Persone citate: Benedetti Michelangeli, Casals, Chagall, Eugenio Ionesco, Gomulka, Ionesco, Menuhin, Mirra Efros