Aperto colloquio con il giovane, impassibile ministro da cui dipendono la salvezza e l'avvenire d'Israele di Francesco Rosso

Aperto colloquio con il giovane, impassibile ministro da cui dipendono la salvezza e l'avvenire d'Israele MENTRE NASSER RIPETE OGNI GIORNO LA MINACCIA DI DISTRUZIONE • ________________ __________ Aperto colloquio con il giovane, impassibile ministro da cui dipendono la salvezza e l'avvenire d'Israele Shimon Peres appartiene alla nuova generazione: ha trentotto anni appena, è un tecnocrate, ha più fiducia nella ragione che nei sentimenti - «Per dieci anni non avremo pace, perciò dobbiamo, prevenire la guerra. I missili egiziani sono un pericolo; non ci resta che creare una forza di dissuasione ed avere idee chiare sul caso in cui la impiegheremmo» - Il suo ideale è di trasformare il paese in un grande « kibbuz » militarizzato, di efficienza perfetta - Ha già realizzato molto: le sue fabbriche vendono armi leggere alla Germania (Dal nostro inviato speciale) Tel Aviv, maggio. La grande paura scatenata in Medio Oriente dalla crisi giordana si è un poco attenuata a mano a mano che re Hussein rinsaldava il proprio trono con pesante fermezza. Però, è opportuno sottolineare che la crisi è solo stata rinviata, non risolta, e gli israeliani ne sono tanto convinti che continua¬ no a prepararsi metodicamente per il piorno in cui l'uragano dovesse ancora affacciarsi alle loro frontiere. Tale certezza gli deriva dall'atteggiamento di Nasser, il quale ripete con frequenza ormai quotidiana il suo refrain consueto « distruggere Israele*. , < Penso che non vi sarà pace in Medio Oriente nei prossimi dieci anni — mi di- ceva Shimon Peres, vice ministro della Difesa israeliana. — La nostra preoccupazione, quindi, è di prevenire la guerra ». Shimon Peres è il più giovane e discusso uomo politico israeliano. Ministro della Difesa è Ben Gurion, il quale, però, ha tanta fiducia nel suo collaboratore che gli lascia molte iniziative. Non ha ancora trentotto anni, ed è mischiato ai problemi militari da gran tempo. Parlando con molti israeliani, l'ho sempre sentito indicare còme il successore più. sicuro di Ben Gwrion. Gli' ho domandato se davvero si considera il delfino dell'anziano patriarca di Israele, ed egli ha risposto: « Sciocchezze, in una democrazia come la nostra le successioni sono impossibili ». Shimon Peres ragiona per sillogismi, la struttura matematica della sua mente lo libera dalla passionalità, il metodo cartesiano guida le sue azioni chiare come teoremi. Ha la levatura di un uomo di stato eccezionale, ma senza gli'improvvisi abbandoni familiari e sentimentali, le curiosità umanistiche che rendono popolare Ben Gurion. E' soltanto raziocinio puro e per questo, forse, molti israeliani non lo amino pur ammirandolo. Ha più amici all'estero. Il radicale francese ServantSchreiber l'attaccò sulle colonne deU'Express per l'impresa di Suez; oggi ne parla con stima e simpatia. E' in buone relazioni con Bob Kennedy, fratello del Presidente americano, e quando si reca a Washington non deve fare anticamera per essere ricevuto alla Casa Bianca. Nel mese scorso ebbe un lungo colloquio col Presidente ed ottenne una fornitura di missili americani Hawk. Nel suo ufficio al ministero della difesa mi parlava con esemplare semplicità degli argomenti attuali della vita, israeliana. «Non ci sono missili buoni e cattivi, mi diceva,.ma una buona e cattiva politica. Le ,armi ve»-' . gono dopo. Anche in Merfi3?|Oriente è arrivata la tecno logia militare, e ciò è estre- j mamente pericoloso. I missili possono essere un vantaggio per gli egiziani, ma lo sono anche per Israele, che è un Paese piccolo, dove non c'è spazio per gli aeroporti. I missili non sono soltanto aerei senza pilota, sanno fare anche a meno dell'aeroporto. Inoltre, noi contiamo sul fattore e sulle qualità dell'uomo, ed in ciò crediamo di essere superiori all'Egitto. La corsa agli armamenti è |' j li risultato di una politica di guerra che l'Egitto fa da sempre. Un governo responsabile non avrebbe fornito agli egiziani missili di quella potenza. Il consenso agli scienziati tedeschi di costruirli per Nasser ha aggravato la minaccia». Per chiarezza, sarà opportuno aggiungere che i missili egiziani cadono direttamente sull'obiettivo, mentre quelli di cui dispongono gli israeliani hanno solo funzione antiaerea. Shimon Peres, tuttavia, non sembra preoccupato della presunta, momentanea inferiorità. 8i direbbe che egli abbia la certezza di colmare il divario. Per garantire la sicurezza del suo paese assediato, egli ha alcuni punti fermi: potenziare le forze armate, procurarsi rapidamente una < forza di dissuasione » (non mi ha detto quale), svolgere una politica che fissi senza equivoci quali azioni degli arabi in Medio Oriente sarebbero considerate cause di guerra dagli israeliani, delimitare con chiarezza le frontiere, ottenere il libero transito delle navi israeliane nel Canale di Suez e nel Mar Rosso, fare amicizia in Medio Oriente e in Africa con tutti i popoli non arabi, né musulmani, né nasseriani. Forse, questa è la « nuova frontiera > ch'egli immagina per Israele, ma alla domanda ha risposto in tono divertito: « Quel!' espressione non mi piace, preferisco "nuovi orizzonti". Ci sono molti modi di vedere le situazioni. La mia generazione sa che esistono problemi e alternative molto pericolose e intende risolverli alla sua maniera ». Shimon Peres è considerato un tecnocrate, alcuni lo accusano di Statolatria, se non di tendenze dittatoriali, ed a tale proposito mi ha detto: «La popolazione di Israele è in aumento, la superne* del paese è limitatissima, quindi lo sviluppo tecnologico è molto importante. La sicurezza: deriva dall'organizzazione. Giungere ad uno Stato senza classi sociali diversificate è essenziale per la nostra esistenza ». Non mi sembra necessario interpretare il suo pensiero. Lui e quelli della sua équipe considerano l'eguaglianza sociale del kibbuz come un modello di organizzazione politica statale. L'idea di ridurre tutto Israele ad- un grande, unico kibbuz militarizzato gli procura molti avversari, ma egli si giustifica con la necessità di avere la saldezza all'interno per difendersi alle frontiere. Gli sono partico ili i ili larmente ostili quei socialisti legati all'economia liberista che, finora, hanno retto la concorrenza validamente contro le imprese statali e, soprattutto, contro quelle dei sindacati. Da alcuni anni si è inserita una quarta forza nello schieramento economico israeliano, l'industria militare avviata e potenziata appunto da Shimon Peres, che tende a predominare. Le fabbriche di armi, mi dicono, sono le più efficienti del Paese, al punto che Israele fornisce mitragliatrici ed equipaggiamento all'esercito tedesco. Anche nel settore industriale, il giovane vice-ministro è convinto che lo « sforzo collettivo » sia determinante: «Lo spirito dei tecnici e degli operai — mi ha detto — che sanno di servire la nazione, è il fattore principale del rostro successo. Per questo fabbrichiamo buone armi ». Tecnocrate o anche autocrate? E' difficile rispondere. Israele è il risultato dell'atteggiamento polemico assunto dagli ebrei che nel 1948 combatterono per costruirsi una patria vergine, libera dal fardello culturale ch'essi avevano portato dai paesi di provenienza. Volevano davvero partire da zero, incominciare come il buon selvaggio di Rousseau. I professori universitari, i medici, gli ingegneri che andarono nel kibbuz a fare il kaprai0' sono ^__*"_*** di un anU-xntellettualismo programmatico: Israele doveva essere il prodotto di una rinuncia totale al benessere, alla cultura, alla sicurezza personale; doveva nascere dal lavoro umile e l'orgoglio primo era di mostrare i calli sulle mani. La stesso Ben Gurion, periodicamente, abbandona la politica, Platone e Vico per ritirarsi in un kibbuz a curare le pecore. Eppure, il romantico patriarca rivela una tendenza paterna per il suo giovane vice ministro che gli avversari accusano di tecnocrazia esasperata, tendenze autoritarie ed eccessivo intellettualismo politico. < Israele 1963, mi diceva Shimp.» Peres come conferma delle sue tesi, non è più quello del 1948. Tutto cambia nel mondo, persino il Vaticano di oggi non è più quello di ieri. L'apertura politica in Italia non è soltanto a sinistra, è un'apertura totale. Esiste una differenza sostanziale fra la realtà e le ideologie politiche ». In questi anni torbidi, inquietanti, un uomo come Shimon Peres nel Medio Oriente può esercitare un peso determinante sugli avvenimenti. La sua concezione dello Stato lo induce a fare di Israele una potenza industriale e militare, che si muova col sincronismo d'una macchina perfetta. Egli arriverà sicuramente, se glie ne danno il tempo, a procurarsi quella < forza di dissuasione » che indurrà i Paesi arabi a rimanere tranquilli dentro i loro confini. Se per giungere a tanto egli debba sacrificare in parte, o totalmente, l'esemplare democrazia israeliana, non saprei. Avendolo pregato di definire se stesso ha risposto sorridendo: «Non sono tanto buono come sostengono i miei amici, né tanto cattivo come affermano i miei avversari». Poiché, durando Ben Gurion nella direzione del Paese, o diventando egli stesso attore principale se il patriarca dovesse ritirarsi definitivamente nel suo kibbuz sperduto nel deserto del Neghev, Shimon Peres resterà alla ribalta della vita israeliana, sentiremo ancora parlare a lungo del giovane vice ministro, che oppone alla disordinata rabbiosa veemenza araba la sua fiducia totale nel freddo rigore tecnologico applicato all'esercito, all'industria e persino all'umanità. Francesco Rosso