Il vigile Cosseta scarcerato dopo la condanna a due mesi e venti giorni con la condizionale

Il vigile Cosseta scarcerato dopo la condanna a due mesi e venti giorni con la condizionale Ritenuto responsabile soltanto di omicidio colposo Il vigile Cosseta scarcerato dopo la condanna a due mesi e venti giorni con la condizionale Concesso anche il beneficio della non menzione - La sentenza significa che è stata esclusa la volontà dell'imputato anche solo di ferire il fuggiasco • La difesa ha sostenuto con efficacia la tesi della non punibilità della guardia perché la morte del giovane fu dovuta ad un caso fortuito Su questi argomenti si baserà il ricorso in appello per ottenere l'assoluzione piena - L'abbraccio della moglie all'imputato dopo la lettura del verdetto Alle 20,30 di ieri sera, alla Corte ' d'Assise di Torino, il presidente doti Moscone ha letto la sentenza nel processo contro il- vigile urbano Millo Cosseta, imputato di omicidio preterintenzionale di Pasquale Torres, di 27 anni, sorpreso mentre fuggiva dalla « Flaminia > rubata al sindaco ing. Giancarlo Anselmetti. L'accusa era di omicidio preterintenzionale e il p.m. dott. Moschella aveva chiesto 6 anni di reclusione. Nell'aula l'attesa era quasi spasmodica. Gli animi erano tesi ed eccitati anche perché la Corte era rimasta :in camera di consiglio circa 3 ore e mezzo. «Il fatto attribuito a Millo Cosseta — ha detto . il dott. Moscone — va considerato omicidio colposo. Cosi modificata la rubrica, il Cosseta viene condannato a 2 mesi e 20 giorni di reclusione, -cori Ja concessione delle attenuanti generiche e del danno risarcito. All'imputato viene concesso il doppio beneficio. della condizionale e della non menzione e se ne ordina l'immediata scarcerazione». Un lungo mormorio, che stava per tramutarsi in applauso, è stato interrotto con la consueta energia dal presidente. «Se il pubblico non mantiene il più. rigoroso silenzio farò sgombrare l'aula >. Più nessuno ha osato fiatare, ma appena la Corte si è ritirata sono esplosi i commenti e le' manifestazioni di gioia. Superiori e colleghi si sono stretti attorno al vigile, tremante di emozione e incapace di parlare, e gli hanno stretto la mano. Molti avevano gli occhi lucidi. La signora Cosseta e la sorella del vigile si sono aperte un varco faticosamente nella calca ed hanno abbracciato a lungo, teneramente, il protagonista di questa vicenda che ha appassionato l'opinione pubblica come da tempo non ci era dato di constatare. Nel cortile del palazzo di giustizia Millo Cosseta, sull'auto che lo conduceva per l'ultima volta alle «Nuove», è statoisalutato con un lungo e affettuoso ap plauso. La sentenza significa che il vigile urbano è stato ritenuto responsabile della morie del Torres «per imprudenza o per imperizia» nell'uso .dell'arma, ma con assoluta esclusione della volontà, da parte del Cos seta, anche soltanto di ferire il fuggiasco. I difensori, gli avv. Giorgio Delgrosso e Gian Vittorio Gabrl, pur avendo ri portato un successo di notevo le Importanza giuridica e pra tica, ricorreranno certamente in appello. Essi, infatti, puntano sull'assolutoria con for mula piena; 11 Cosseta, sostie ne sostanzialmente la difesa, non è punibile perché la mòrte del Torres fu dovuta ad un fatto fortuito. La battaglia è stata dura e difficile. Il p.m. dott Moschella aveva motivato le sue richieste con argomenti che non mancavano di forza e di suggestione. Egli, infatti, si basava non soltanto su testimoni personalmente ascoltati nel corso dell'istruttoria sommaria, ma anche sui risultati della perizia balistica redatta dall'ing. Festa. A parte- le testimonianze, che sono clamo rosamente mancate all'accusa nel corso del dibattimento, per una serie dì evidenti incertezze e di palesi contraddizioni, il dott Moschella ha tentato di dimostrare che il vigile Cos seta mentiva nell'affermare che due- colpi di pistola gli erano sfuggiti inavvertitamente dall'arma nel suo ultimo tentativo, riuscito, di caricare la pistola. «Per accettare questa tesi — ha più volte affermato il p.m. — bisognerebbe ammettere che la pistola calibro 7,65 in dotazione al Cosseta può sparare a raffica, con una sola pressione del dito sul grilletto; ma tale circostanza è esplicitamente esclusa dalla perizia e dagli esperimenti condotti dall'ing. Festa». La difesa doveva soprattutto controbattere questa recisa presa di posizione, che com portava di necessità l'accusa di omicidio preterintenzionale, se non addirittura di omicidio volontario, e lo ha fatto con passione e con competenza. Gli avv. Gabri e Delgrosso hanno tra l'altro saputo divi dersi i compiti proprio In base alle loro naturali attitudini. Al mattino ha parlato l'aw Gabrl. Egli ha esordito ricordando le benemerenze dei vigili urbani di Torino, in ogni tempo, anche nei difficili momenti della lotta di Liberazione. « Si è tentata una speculazione indegna sul fatto che l'auto rubata era quella del sindaco. Il furto della " Flaminia" detl'ing. Anselmetti fu segnalato come tutti gli altri nella tabella delle evidenze, l'apposita lavagnetta esposta nei locali del comando. Non bisogna dimenticare che i vigili torinesi, nel solo 1962, hanno recuperato ^63 veicoli ed hanno arrestato 151 persone». L'aw. G6.bri ha proseguii • ricordando che il ladro del «Flaminia», Vittorio Bertoc- chi, quando vide l'autoradio del Cosseta e del Riva che tentava di fermarlo, in corso Giulio Cesare, non esitò a spingere la grossa macchina contro quella dei vigili. «L'urto frontale fu evitato soltanto dalla manovra del Cosseta, che tuttavia non riuscì del tutto ad evitare l'investimento ». Il difensore ha quindi descritto la drammatica scena dell'inseguimento, a 120 chilometri all'ora, verso Settimo, con la sirena urlante, con un crescendo di intensità emotiva e di tensione nervosa che doveva culminare nel rìtrovamjento della «-Flaminia», in und viuzza laterale. Cosseta scende dall'auto, scorge quattro-individui in fuga e decide di inseguirne due. Solo in quel momento si avvicina all'autoradio, spegne la sirena e afferra la pistola. Vuole sparare in aria per intimorire i fuggiaschi che hanno ormai un discreto vantaggio e non si fermano alle Intimazioni. Comincia l'inseguimento e intanto il Cosseta tenta di caricare l'arma. Ma non vi riesce: tre pallottole gli sfuggono in questi tentativi ed una sarà ritrovata proprio da un vigile ancora sulla' strada, ma a pochi metri dalla breve scarpata che scende nel prato. «Non si dica— ha detto l'aw. Gabri — che quella non era una pallottola del Cosseta. Solo lui, quel 17 febbraio, usò la 7,65; il suo collega Riva aveva una pistola 6,35». La corsa continua nel prato, su un terreno coperto di fango e di neve, irregolare e scivoloso. Il vigile, tra l'altro, ha indumenti che non sono certo adatti per compiere una fatica del genere e per giunta al termine di un inseguimento affannoso. E ad un tratto partono i due colpi, uno dei quali raggiunge il Torres al centro del cuore, a circa 30 metri di distanza. Cosseta ha sempre detto: «Nel momento in cui riuscii a caricare l'arma mi partirono inavvertitamente due colpi. Non avevo alcuna Intenzione di ferire il Torres ». Nessun elemento contrario a queste affermazioni — ha detto l'aw. Gabri — è stato fornito dalla pubblica accusa. Il difensore si fa consegnare l'arma del Cosseta e vi introduce un caricatore con pallottole senza carica. Fa il gesto di caricarla e al terzo tentativo, per strana coincidenza, l'arma si inceppa ed una pallottola viene espulsa. Proprio come accadde al. Cosseta" L'avvocato spiega, richiamandosi proprio alla perizia dell'ing. Festa, che in determinate condizioni anche la 7,65 potrebbe sparare due colpi consecutivi con una sola pressione sul grilletto. E' un fatto raro, ma non impossibile quando un .corpo estraneo, anche di dimensioni minime, si introduca negli ingranaggi. Ma v'è un'altra considerazione. Il tiratore può anche aver poggiato e poi lasciato il dito sul grilletto involontariamente e insensibilmente, provocando due distinti e consecutivi spari. Questa ipotesi è in stretta relazione con il concetto di equilìbrio. Il Cosseta correva su un terreno accidentato, coperto di neve e di fango, e la sua corsa non era regolare. Certamente, in quelle condizioni, il suo corpo era istintivamente portato, ad ogni passo, a correggere il proprio equilibrio, con la con seguenza di subire tutta una serie di contrazioni muscolari, 11 ipercotentisi specialmente sul- cdtcaLzlpscppttaptGscSpivttGpsd le b.ancia e sulle mani. Queste iecmvgdaqdccrsdn—sqmdpudccedmnvtgdcptrutnacrialdgqdzl1 contrazioni, che soi.^. un dato di fatto rigorosamente scientifico, possono spiegare 1 due colpi che Cosseta ammette di aver inconsciamente sparato. L'aw. Gabri ha concluso, senza alcuna tesi subordinata, per la piena assoluzione del vigile. Subito dopo, -alle 11,30, ha preso la parola l'aw. Delgrosso. Egli si è anzitutto preoccupato di mettere a fuoco una pericolosa conseguenza che si potrebbe trarre dalla requisitoria del p. m. « Si contesta tra l'altro, al Cosseta di aver abusato della sua qualità di pubblico ufficiale e di aver fatta] uso illegittimo delle, armi. Guai se - questi concetti fos-> sera accettati, in rapporto al caso che stiamo esaminando. Sarebbe come dire ai corpi di polizia giudiziaria: "Misurate il vostro senso del dovere e il vostro spirito di sacrificio " ». Per l'aw. Delgrosso, il tentativo di investimento da parte della «Flaminia» in corso Giulio Cesare era, inoltre, un palese e flagrante reato di resistenza a pubblico ufficiale. Il difensore, in aperto contrasto imiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiMiiiiiiiimiiiM con il p. ni., ha poi sostenuto che 1 vigili urbani sono agenti di polizia giudiziaria, anzi di pubblica sicurezza. <ll Cosseta, quindi, dopo aver avvistato la macchina rubata, non aveva la facoltà', ma il dovere di inseguirla e di assicurare alla giustizia, nei limiti del possibile, i responsabili del furto. Il vigile, secondo l'accusa, non avrebbe dovuto nemmeno sparare a scopo intimidatorio, perché questa azione non è legittima. A parte il fatto che nessuna legge vieta gli spari intimidatori, in determinate condizioni che appunto si riscontrano nei prati di Settimo, vi è una prassi costante in casi del genere, che non è mai stata riprovata. Il regolamento della Guardia di Finanza consiglia addirittura i membri di questo corpo a sparare in aria nello svolgimento di azioni per la repressione del contrabbando ». Cosseta, nel tentativo dì catturare un individuo che presumibilmente era un ladro, aveva il dovere dì servirsi di tutti i mezzi possibili. Ed ha fatto ricorso, almeno nell'intenzione, agli spari intimidatori perché il Torres era ormai lontano e non poteva essere raggiunto se non si fosse spontaneamente fermato appunto per la «coazione psichica» dell'arma da fuoco. L'aw. Delgrosso, riferendo si anche alle dichiarazioni di quei testimoni che «se non hanno visto hanno potuto udire», ha poi escluso, che il Cosseta abbia sparato più di due colpi. «Il p. m., per dimostrare il contrario, ci ha detto tra l'altro che non si sono trovati i proiettili inesplosi persi dal Cosseta in mezzo al fango e alla neve. Ma noi possiamo ri spondergli che non si sono trovati nemmeno i bossoli, elementi sui quali si potrebbe fondare la certezza d'un maggior numero di colpi sparati», Il difensore ha quindi definito una assurdità giuridica la tesi dell'omicidio preterintenzionale. « Era impossibile, in quelle condizioni, come ha sostenuto il p. m., prefiggersi di sparare in una parte non vitale del fuggiasco, che lo pre¬ cedeva di 30 metri. A quella distanza, su quel terreno, contro un bersaglio mobile e con un'arma a canna corta la mira è impossibile. Un'affermazione simile non doveva essere detta. Ve lo assicura uno che ha fatto l'ufficiale degli alpini per 6 anni e di caricatori di pistola ne ha sparati». Ma per l'aw. Delgrosso non regge nemmeno la tesi dell'omicidio colposo. «Il Cosseta, nel prato di Settimo, non ha peccato di imperizia o di imprudenza, condizioni essenziali del reato colposo. Egli ha dovuto tentare di caricare l'arma mentre stava correndo, In condizioni certamente disapprovate dai manuali di istruzione, perché la cosa gli era imposta dalla necessità e dal dovere. Se il Cosseta avesse impiegato, nel corso della sua azione, la prudenza e la diligenza che si richiedono, nel maneggio delle armi, durante le esercitazioni al poligono, avrebbe subito rinunciato all'Inseguimento, mancando ad un precìso dovere». L'aw. Delgrosso ha concluso la stia arringa con. molta semplicità, evitando accuratamente le alate perorazioni. « Se il preterintenzionale è un assurdo —, ha detto —, se il colposo non regge all'esame dei fatti e del ragionamento, dobbiamo concludere necessariamente che la morte del Torres fu dovuta a pura fatalità. Badate, signori giudici popolari, che quel colpo al centro del cuore non è utile nemmeno alla difesa; esso ci induce tuttavia a riflettere che talvolta le azioni umane trovano la loro spiegazione soltanto nel destino. Ci conforta il ricordare che se fu eccezionale la precisione della pallottola che uccise il Torres, non è invece raro il caso di colpi sparati fortuitamente. La stessa cosa, per fortuna senza conseguenze, toccò anche al Riva, pochi istanti prima». Anche l'aw. Delgrosso ha pertanto concluso chiedendo che il Cosseta fosse dichiarato « non punibile». Il P. M. ha replicato brevemente e con altrettanta concisione. }, difensori lo hanno controbattuto. Alle 17 1 giurati sono entrati in camera di consiglio. La Corte, come abbiamo detto, ha ritenuto che una colpa, sia pure minima, del luttuoso evento debba essere attribuita a Millo Cosseta. Rimane tuttavia affermato che il vigile non ha avuto nemmeno l'intenzione di ferire il fuggiasco colpito a morte. Gino Apostolo Millo Cosseta, al cui fianco è la giovane moglie, è salutato da amici e colleghi all'uscita dal Tribunale

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