«Il Prigioniero» di Dallapiccola

«Il Prigioniero» di Dallapiccola Nella stagione del Regio al Teatro Nuovo «Il Prigioniero» di Dallapiccola Riascoltato iersera, tredici' anni dopo la presentazione nel Maggio fiorentino, II Prigioniero di Luigi Dallapiccola desta ancora una volta deboli impressioni e commenti sfavorevoli. E si che l'assuefazione al musicale linguaggio moderno, sia di lui, sia d'altri, ha molto attenuato ormai la difficolta di accogliere nuove e speciali combinazioni ^sonore. Siffatta esperienza di tecnicismo non scema, s'intende, l'esigenza estetica della liricità dell'opera d'arte, della concretezza e coerenza drammatica, insomma di quei requisiti e di quella sostanza variamente presenti in tutti i melodrammi che stimiamo esemplari, d&ÌVIncoronazione di Poppea a Pelléas et Mélisande. Componga il musicista come vuole, o tonale o seriale, il risultato artistico importa. Un esempio, senza preconcetti? Sia pure in parte, il Wozzech di Berg. Lasciata cosi agli analisti la morfologia della composizione, bisogna pur evitare la confusione, che, frequente negli incolti, s'avvera anche nelle menti di parecchi osservatori attenti: confondere cioè il libretto, latore di concetti, di idee, di sentimenti, di parole significanti, con l'espressione musicale, la quale è soltanto poetica, e nell'* opera in musica » è canto di passioni di determinati personaggi. Si ripensi, soltanto per averne lume, ad un capolavoro, il Fidelio di Beethoven. Quel libretto implica questioni sociali, morali, la prigionia, la violenza, l'iniquità, la prepotenza, la libertà, eccetera. Questi concetti ricorrono pure nel libretto del Dallapiccola. Si distingua il risultato artistico. Nel Fidelio i temi ideologici del libretto son traslati in sublime arte, commovente ed anche esaltante. Nel Prigioniero i temi ideologici del libretto restano parole, concetti; e gli elementi sonori intervengono, molto ingegnosi, razionalmente, con un preciso calcolo, matematicamente; al più allusivi, non commuovono, non eccitano. Questo elemento logico e questo procedimento allusivo si riscontrano evidenti cento volte nella partitura, le cui didascalie sono straordinariamente numerose e minuziose. della sottigliezza del musicista nel palesare i suoi intendimenti e prescrivere i modi dell'attuazione. Alla dosatura delle quantità sonore nell'orchestrazione mutevolissima s'aggiunge la ricerca, già largamente tentata, e forse esaurita, da i seguaci dello Schonberg, dei mezzi vocali, o antivocali, della intonazione volutamente imprecisa, della recitazione monotona, del « mezzo cantato », eccetera. Da siffatta congerie di espedienti, che incuriosiscono l'udito, non si ricava purtroppo ciò che è proprio dell'arte: l'emozione lirica, la quale, scrivemmo e ripetiamo, non manca nella precedente opera dello stesso musicista: Volo di notte. Per giunta, la percezione delle parole, alle quali, ed anche alla scena e alla mimica, molto s'affida il compositore, spesso difetta. La polifonia corale, già di per sé oscura, viene abbuiata dal barbaro uso di tonitruanti altoparlanti. E qui, poiché s'accenna al¬ l'esecuzione, conviene terminare il resoconto, dicendo in due parole: essa è certamente oen riuscita; ne fa fede l'approvazione dell'autore, che sa a memoria ad una ad una 'e nate della sua composizione e ha vigilato sulla concertazione del maestro Gianfranco Rivoli e sul contributo del coro istruito dal maestro Tagini, sulla regìa di Bronislaw Horovvicz, sulla messinscena di René Allio. In quanto ai solisti (tutti lodevoli, il baritono Scipio Colombo, che fu già protagonista nella rappresentazione del '50, il tenore Bertocci, come Carceriere ed Inquisitore, A. Benzi, e P. P. Latinucci come Sacerdoti), dobbiamo notare ohe anche stavolta avvenne di percepire nel canto di Magda Laszlo, <La Madre», una parola soltanto: il grido: «Piglio! ». Il successo dell'opera, al Nuovo, fu come altrove lusinghiero. Sette chiamate agli esecutori e all'autore. a. d. c.