Riabilitazione fallita

Riabilitazione fallita LA FINE DEI BORBONI DI NAPOLI Riabilitazione fallita Grande famiglia quella Acton. Primeggia lord John DalbcrgActon, lo storiografo, il cattolico liberale, il consigliere di Gladstone, riluttante al Sillabo ed al dogma della infallibilità; vi apparteneva donna Laura Mughetti, la grande intelligentissima signora con relazioni in tutta Europa, sopravvissuta molto al marito, di cui rammento un delizioso medaglione scritto alla sua morte da Francesco Raffini. Gli Acton che vennero alla marineria italiana da quella napoletana: Emerico, valoroso combattente a Lissa, poi ammiraglio; Guglielmo e Ferdinando, entrambi ammiragli, ministri della marina e senatori; Alfredo, ammiraglio nella prima guerra mondiale. Ma forse il più noto resta ancora quel Giuseppe Edoardo, nato in Francia nel 1736, che dopo aver servito nella marina francese ed in quella toscana, divenne non tanto il riorganizzatore della marina napoletana, quanto il consigliere di fiducia di Ferdinando IV e di Maria Carolina, sempre vicino a questa nell'odio implacabile contro la Francia della rivoluzione e di Napoleone : a sessantaquattro anni sposò una nipote di tredici, e ne ebbe due figli, di cui uno fu il cardinale Carlo. Un Acton d'oggi, Harold, si occupa di storia italiana; ad un volume sugli ultimi Medici han no fatto seguito due, / Borboni di Napoli, e Gli ultimi Borboni di Napoli: suffragati da adeguata, bibliografìa, con indicazione di fonti, e tuttavia libri nell'insieme di piacevole lettura, che spiegano il successo editoriale della loro traduzione dall'inglese in italiano. I volumi sui Borboni sono scritti con spirito decisamente antifrancese, antilibcralc, antisabaudo; e tuttavia non possono dirsi assolutamente tendenziosi, con sostanziali alterazioni dei fatti. Non possono paragonarsi alla storiografìa di eguale tendenza del secolo scorso. Certe rettifiche delle leggende liberali o giacobine erano da gran tempo accettate; nessuno più parlava di Maria Carolina, la figlia di Maria Teresa e sposa di Ferdinando IV, come della donna licenziosa e crudele che già aveva evocato il marchese De Sade e ch'era stata presa di mira da tutta la libellistica risorgimentale: ottima madre, specie per le figlie, e con una serie così inùv terrotta di gravidanze da garan tire per sé la sua virtù. E pur giusto che storia, ed anche letteratura, cominciassero a vedere pure il profilo dei vinti; ricordo di aver molto gustato, oltre vent'anni or sono, L'alfiere di Alianello: il 1860-61 visto da parte borbonica. Ma le pagine dell'Acton non portano davvero il lettore a dividere i suoi sentimenti. Se mai destano pietà per quella povera razza reale, dove gli uomini a quarantacinque anni appaiono dei vegliardi, per quelle principesse che muoiono giovani, di tubercolosi o di parto, per quelle madri che vedono scendere prima di loro nella tomba la più gran parte dei figli. Le famiglie reali non fruivano proprio di alcun privilegio sotto questo riguardo; probabilmente erano più decadenti, per i matrimoni tra consanguinei, per la vita anti-igienica. • Poi, questi libri fanno riflettere a ciò che fu di nefasto il passaggio per la Spagna del ramo secondogenito dei Borboni. Già a distanza di due generazioni non c'è confronto per dignità, per educazione, per cultura, tra i principi del ramo primogenito, da Luigi XV al conte di Chambord, ed i cugini spagnoli: i personaggi di Goya, e questi napoletani. Ferdinando IV è di una volgarità intollerabile; del figlio ■ Francesco adolescente, la madre dice che è di temperamento cosi vivo, che non si arrischia lasciarlo un momento solo con le sorelle. Tutti sono inferiori alle mogli di altre dinastie; Ferdinando IV a Maria Carolina, Ferdinando II a Cristina di Savoia, Francesco II a Sofia di Baviera. E stranamente Acton non accenna all'unica scena in cui un Borbone di Napoli emerge: Francesco II già spossessato che ad Albano nel 1867 assiste la matrigna Maria Teresa che mai lo aveva1 amato, morente di colera, abbandonata dai figli. Acton demolisce, talora palesemente, talora senza averne l'aria, tutti i liberali, quelli del 1799 come quelli del '21 e del '48: con particolare accanimento verso i repubblicani della Partenopea: Domenico Cirillo, Pietro Collctta, Vincenzo Cuoco, Guglielmo Pepe, Luigi Settembrini, Carlo Pisacane; appena si salva Carlo Poerio. Tutte le sentenze pronunciate dai tribunali borbonici furono giuste »c non miti. I repubblicani del 1799 avrebbero scritto brutte pagine di tradimento ai danni dei lazzari e dei soldati fedeli; i liberali del '59 erano contro il po polo, amantissimo del suo re. Ci saranno punti di dettaglii che si possono accettare; ma resta che non si dà nel campo lrscenmddPtccgPdSeScficrnrrpnbodai legittimista un solo nome che ricòrdi un grande animo, a cui sia legata un'opera. Tutto quel che c'è di vivo nel Mezzogiorno ed in Sicilia, a partire dalla fine del Settecento, è contro la monarchia. Nessun uomo, tra i devoti ai re, che abbia i tratti di quel De Blasi, giustiziato a Palermo nel £795, che di recente Leonardo Sciascia ha rievocato in quel felice racconto, La congiura d'Egitto; di Mario Pagano, di Domenico Cirillo, di Pietro Collctta, di Sigismondo di Castromrdiano, di Pasquale Stanislao Mancini, di Bertrando e Silvio Spaventa, di Antonio Scialo]» ' '*• Francesco De San-; ctis. E nel 1860 tutto ciò nelle file monarchiche ch'è vivo, a cominciare dagli ufficiali di marina Acton, e dai generali Pianell e Nunziante, tutti i migliori funzionari, vincono le naturali antipatie per i piemontesi, per i garibaldini, perché sentono che dalla parte dei gigli borbonici è la morte, e da quella opposta è la vita. Ci sarà ancora mezzo secolo di legittimismo borbonico, fino alla prima guerra mondiale, ma iiiiiimiiiiiimtimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiHiiimiiii non un solo nome emerge e si è salvato dalla dimenticanza. Acton termina la sua opera ricordando che l'ultima regina di Napoli visse tanto da vedere la nemesi antiliberale: Mussolini, il fascismo. E rammenta che nel '31 lo storico inglese Marriott esaltava Mussolini come quegli che possiede «l'idealismo di Mazzini, unito alla pratica sicura di governo di Cavour ed all'eroica tempra di Garibaldi ». Acton avrebbe potuto aggiungere che se anche Mussolini non era comparabile a nessuno dei tre grandi, tuttavia la sua figura appariva ed era certo più alta di quella degli ultimi Borboni; ed ebbe vicino a sé qualcuno (basta ricordare Gentile) di una statura che gli ultimi Borboni non videro mai tra i loro. Ma va aggiunto altresì che, se pure la sconfitta del liberalismo fosse stata( definitiva, esso, avrebbe avuto tali campioni che mai piegarono — basti menzionare Croce ed Einaudi — da rendere impossibile ogni confronto col tramonto dei Borboni. A. C. Jemolo iiiiiiwiiHiiiiH