Gli inglesi non sono né soli, né deboli possono attendere l'accordo con l'Europa di Alberto Ronchey

Gli inglesi non sono né soli, né deboli possono attendere l'accordo con l'Europa BILANCIO DI UN'INCHIESTA NELLE ISOLE BRITANNICHE Gli inglesi non sono né soli, né deboli possono attendere l'accordo con l'Europa Il paese, sempre più slegato dal Commonwealth, con l'industria in crisi di trasformazione, ha bisogno di collaborare con il Continente - De Gaulle ha posto il suo veto: per Londra è stata una sorpresa amara, non un dramma • L'Inghilterra ha tuttora il più alto reddito europeo, imprese gigantesche, importanti affari al, di qua della Manica, e il solido appoggio degli Stati Uniti - E' interesse di tutti che l'accordo sia raggiunto Aspettando le dimissioni di Adenauer ed un ripensamento di Parigi, Macmillan farà un passo verso l'Europa: adotterà il sistema decimale (Dal nostro inviato speciale) Londra, aprile. Un paese tutto industria e servizi, questo è l'Inghilterra: dalle nuove catene di produzione del sud alle più logore chioderie di Birmingham, dall'ansimante lotta di Manchester per dimenticare la crisi cotoniera con l'apporto della chimica moderna, alle centrali atomiche. Lungo le autostrade, presso ogni distributore di benzina, file di lustre automobili in vendita all'uso americano, coi prezzi dipinti sul parabrezza; e dovunque un gran discorrere sul piano per la riduzione della rete ferroviaria. Agricoltura pochissima: appena il 4,2 per cento del prodotto lordo (in Fran¬ IMMIIIlllllllIMlllllllllMIIItlMIIIIMilllllIllll II cia il 12,5). Materie prime: solo carbone, in guerra col petrolio d'importazione e a costi alti, nonostante la meccanizzazione delle miniere che lo sbriciola per le centrali elettriche e la siderurgia, mentre in un inverno rigido come quello passato vien meno il large coal richiesto dalle massaie di provincia. - In su e in giù per il paese, è come viaggiare attraverso due secoli d'industria; e adesso è tempo di concludere. Tutto riconduce alla disputa sul Mec. La Gran Bretagna è sempre più slegata dal Commonwealth, un mondo remoto e diseguale; vede riemergere la disoccupazione, accusa bassi ritmi MM IIIlHlllinillllMtlllllllliniIMlllllllltlI] di sviluppo e la sua economia di trasformazione industriale cerca spazio, ma è stata respinta dall'Europa, il grande mercato alle porte di casa. Tuttavia non vi è motivo di eccedere: il reddito procapite degli inglesi risulta ancora prospero. Tradotto in lire italiane, ha- raggiunto nel '62 la quota 002 mila, più che il reddito pro-capite francese (869 mila) e due volte più che il nostro (448 mila). Ecco perché l'umore britannico appare ancora fiducioso, e in alcune circostanze persino gaio. In termini politici, la Gran Bretagna ha tempo: più di De Gaulle. E le distanze si abbreviano, non aumentano per comodità di chi si aggiudica il comando di sodalizi esclusivi. Diranno ancora « no » alla Gran Bretagna quando gli oleodotti del bacino Volga-Ural avranno raggiunto Berlino, con cinquanta o cento milioni di tonnellate di petrolio russo all'annoT Si può immaginare, in simili circostanze, una Europa franco-tedesca repiiée sur elle-méme? E' questione di orologio e di ottica. Gl'inglesi, frattanto, non sono isolati: questo è ovvio. Chi nomina giganti come la « Rogai Dutch-Shell » (la terza azienda nel mondo secondo una graduatoria di Fortune) dice insieme Inghilterra, Olanda e America. Chi nomina la « Unilever », sesto colosso nella scala mondiale, dice Londra e Rotterdam, e così di seguito. A Whitehall è un pellegrinaggio di ministri continentali: anche troppi per la cautela britannica. Poi c'è l'America. Forse mai come in questo momento, dopo gli anni della guerra, da una sponda all'altra del < lago » Atlantico è stato messo l'accento sulla speciale parentela che lega inglesi e americani. Harold Wilson, ti nuovo leader laburista, è stato oggetto di particolari attenzioni del presidente Kennedy. Subito dopo, il Congresso degli Stati Uniti ha concesso la cittadinanza americana onoraria a Winston Churchill. Il venerando Churchill è di madre americana, come Macmillan. Un cittadino americano che arrivi a Londra avvertirà sempre una certa suggestione, al di là della lingua ■ in comune, osservando quante insegne di negozi ripetono il suo family name, in caratteri antiquati. Nelle ultime settimane, incontrai presso la redazione londinese della New York Herald Tribune Joseph Alsop, appena arrivato per descrivere i dissidi che turbano l'Europa, le ragioni e i torti. A osservarlo, era inevitabile domandarsi come potesse giudicare lasciando da parte, in un angolo della memoria, gli innumerevoli omonimi Alsop che figurano sulle insegne di IIIIIItlflIIIIIIIflIlllllllMIIMItllMIIIIIMIMIIIIIIIIlM Piccadilly, di Regent Street, dello Strand. La motivazione del veto di De Gaulle all'ingresso dei britannici nel Mec si riduce per l'appunto a questo: l'Inghilterra non è « continentale», è troppo legata agli Stati Uniti, è un'entità che porta con sé una proiezione gigantesca. Dietro alle élites britanniche, la tlvy League», la classe dirigente educata nelle grandi università della East Coast americana, fra mura di mattoni rossi ammantate di edera che ripetono i vetusti immobili di Oxford e Cambridge; dietro alla Ford di Dagenham, quella di Detroit. Il 14 gennaio, De Gaulle disse che l'ammissione britannica nel Mec avrebbe generato prima o poi una « colossale comunità atlantica soggetta all'America e diretta dall'America », ossia « per niente. affatto quello che la Francia vuole fare ». Avrebbe potuto dirlo prima dei negoziati, che lasciò correre per quindici mesi nella speranza d'un insabbiamento per difficoltà tecniche. Avrebbe dovuto spiegare perché, una volta collocata la disputa sul terreno del <chi dirige», i partners dovessero preferire all'egemonia del liberalismo anglosassone la guida francese o tedesca, con le sue inclinazioni o tradizioni autoritarie e senza neppure la prospettiva dell'Unione federale europea, alla quale si oppongono la concezione gollista e le controversie sui confini tedeschi orientali. Avrebbe dovuto dire perché una partnership con l'America troverebbe gli europei incapaci di tutelare i propri interessi economici, e perché sarebbe temibile la prospettiva a lunga scadenza d'una comunità atlantica, « in un mondo — come dice Acheson — in cui le distanze sono state eliminate, e in un secolo nel ) quale già due volte dall'Europa è stato invocato l'aiuto dell'America ». Ai sospetti di De Gaulle si unisce poi lo sdegno per il « trattamento preferenziale» usato dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna in materia nucleare: l'emendamento Mac Mahon alla legge americana sul segreto atomico aveva concesso qualche ausilio agli scienziati inglesi; nulla alla Francia. Ma in questo caso almeno, lungi dal manifestare una preferenza, l'America aveva compensato (e solo in parte) il contributo offerto dalla Gran Bretagna al « progetto Manhattan», quello della bomba atomica statunitense: gli specialisti inglesi, già alla ricerca dell'arma nucleare dal 1940 nell'ambito di un apparato clandestino sotto il nome di « Directorate of Tube Alloga », erano stati trasferiti in America coH tutti i loro segreti. Washington non ha mai visto quali diritti avesse da accampare De Gaulle, che in quegli anni era un profugo ospitato a Londra e non sapeva neppure che l'atomo potesse esplodere. Ma le ostilità di De Gaulle verso les anglosaxons, nate da un nazionalismo che oggi immagina persino rappresaglie autarchiche e peroniste contro gli investimenti americani nel Vecchio Continente, non hanno suscitato in Gran Bretagna le reazioni che sarebbe stato facile supporre. Stupisce anzi, nella stampa inglese, una certa longanime reticenza, quasi snobistica. Nessuno ha ricordato che quando la Maginot cadeva, De Gaulle considerava « continentale > Za Gran Bretagna, fino a proporre a Churchill una confederazione anglo - francese (il suggerimento fu di Corbin e Monnet, ma sopravvenne l'armistizio di Pétain). Il governo Macmillan si comporta come Churchill, che negli ultimi anni della guerra, dopò lunghe esperienze con De Gaulle, ebbe a dire rassegnato: « Ho molte croci da portare, ma la più pesante è quella di Lorena ». C'è stata, è vero, la cancellazione del viaggio della principessa Margaret in Francia: il minimo che potesse accadere. La Bbc ha diffuso un'intervista antigollista di Bidault, ma l'iniziativa, sia pure motivata in nome della libertà d'asilo e di espressione, è stata unanimemente giudicata goffa. Non ci fu nessun commento quando il ministro gollista Couve de Murville declinò un invito a pranzo di lord Home e quando allo stesso lord Home, giunto a Parigi per una riunione atlantica, venne sottratta la scorta protocollare. Anche fra i danni emergenti a causa del « muro » tariffario del Mec (un « blocco napoleonico » ammodernato) l'opinione britannica appare incline a tacere su De Gaulle, a trascurare l'argomento. Lo impone il costu¬ me e lo consentono alcune circostanze: l'Inghilterra non è sola, e nel prossimo autunno, quando Adenauer dovrà abbandonare la cancelleria di Bonn, cadrà un pilastro della concezione del Meo come entità chiusa, non comunicante col mondo anglosassone. E intanto, per dar prova di scioltezza, fra qualche tempo verrà forse annunciata la < decimalizzazione » della sterlina, insieme con la adozione dei pesi e misure continentali, quelli di Napoleone Bonaparte: non più 16 once per fare una libbra, 12 pollici per fare un piede, 8 piedi per fare una garda e altre eccentricità insulari. Insomma, gli inglesi aspettano. Alberto Ronchey