Tra ingiurie e tradimenti il patetico destino di Colombo

Tra ingiurie e tradimenti il patetico destino di Colombo Dissipò il terrore ehe l'Oceano ispirava agli uomini Tra ingiurie e tradimenti il patetico destino di Colombo Una nuova ricostruzione critica delle quattro spedizioni e delle scoperte del navigatore - Ne esce confermata, contro antichi e recenti critici e detrattori, Voriginale grandezza - La sua passione e la sua tenacia condussero, poi, uomini di ogni nazione a tentare nuove Vie ed a gustare il gioioso senso dell'avventura Molti ricorderanno (è cronaca di ieri) che nello scorso autunno un piccolo veliero, la Mina II, abbastanza simile a quelli, di poche decine di tonnellate di stfizza, di cui Cristoforo Colombo si servi nelle sue traversate oceaniche, ha*rifatto, in settantacinque giorni, il cammino percorso nel 149», in trentasei giorni, dal grande navigatore genovese dalle Canarie sino all'isola delle Bahama da lui battezzata col nome di San Salvador. Non molti sanno ohe tale impresa aveva già avuto un precedente settanta anni fa, nel 189», nel viaggio effettuato, da Santa Cruz de Tenerife a Puerto Rico, da una nave a vela spagnola, ta Santa Maria II, simile alla prima ammiraglia di Colombo: Né ohe una spedizione analoga, ma ancor più complessa e piti importante sotto Paspetto scientifico, era stata organizzata e condotta a compimento, nel 1939-40, con una goletta, la Capitana, e un ketch di 45 piedi, la Mary Othis, da alcuni studiosi dell'Università nordamericana di Harvard. I quali rifecero il percorso del primo bzleTindrmcscdeBsrpviaggio di ritorno di Colom- \ s bo, nel 1493, e della sua terza traversata, del 1498, dalle Canarie sino, all'isola di Trinidad e al golfo di Paria, inserendosi poi, all'entrata del golfo di -Darien, nella rotta del suo quarto e ultimo viaggio (ino»), lungo le coste del Panama e della Costa Rica sino alla Giamaica e rifacendo poi la rotta del suo primo viaggio di esplorazione attraverso le Bahama, da.. San Salvador sino a Cuba. Tale spedizione permise di ricostruire con sufficiente precisione, se non le rotte seguite da Colombo nelle sue traversate dell'Oceano (fuorché quella del terzo viaggio di andata), quelle da lui percorse lungo le coste nordorientali dell'America Latina e attraverso le isole del Mare dei Caraibi; di stabilire i punti dei suoi ancoraggi e d'identificare i luoghi cui egli dette un nome; e, piti in generale, di controllare sperimentalmente molte delle affermazioni dei suoi diari e lettere. Il suo ideatore fu uno storico nordamericano, professore a Harvard (e autore d'una monumentale storia di quell'Università): Samuel Eliot Morison. E frutto di essa fu un'ampia, magistrale opera su Cristoforo Colombo Ammiraglio, del mare Oceano (194»), che possiamo oggi leggere in italiano, nella traduzione di A. Ballardini, pubblicata dalla S. E. < lì Mulino »' di Bologna. Delle sue settecento fitte pagine, solo un centinaio o poco più sono dedicate alle vicende biografiche di Colombo sino al 149», alla genesi della sua ardita convinzione che, navigando , verso occidente, si potesse raggiungere in pochissime settimane la favolosa isola del Cipango e le terre del Gran Can descritte nel suo Milione da Marco Polo, e ai molti e vani tentativi da lui compiuti, per anni, presso i sovrani portoghesi e spagnuoli per ottenerne quegli aiuti necessari all'impresa che gli furono finalmente concessi da Isabella di Castiglià. La maggior parte dell'opera è consacrata alla minuta, precisa (e, insieme, suggestiva e commossa) ricostruzione critica delle sue quattro spedizioni e delle sue esplorazioni e scoperte.. E mira < a stabilire in- quali acque epli veleggiò e quale 'sorta di marinaio fu ». i . Ne esce confermata, innanzi tutto, l'attendibilità di quei diari di Colombo, a noi noti nella forma abbreviata conservataci dal Las Casas, nei. cui. confronti la .critica (e ipercritica) dell'ultimo Ottocento e del primo Novecento .aveva elevato tanti dubbi e riserve negative (« Nessuno che non fosse un uomo di mare, e nessun uomo di mare che non fosse stato con Colojnbo, sarebbe stato in condizione di falsificare quel documento, tanto precisi e accurati sono i rilevamenti, le rotte e le osservazioni » e tanto probante la presenza, in esso, di affermazioni o previsioni dimostrafe«7Hsl poi erronee). E, in se-' condo luogo, la grande perizia nautica del genovese (già altamente riconosciuta da un insigne esploratore francese, J.-B. Charcot, dallo storico nordamericano G. Nunn e da vari altri): il suo singolarissimo «sens mariti) o intùito di navigatore e la sua straordinaria valentia nella difficile stima delle distanze in mare aperto, nel divinare i tempi e gl'indizi utili, nel regolarsi con essi e nel far fronte con prontissima duttilità alle varie difficoltà che gli si ebbero via via a presentare nel corso dei suoi viaggi in mari e sotto latitudini sconosciute. Ma, soprattutto, ne esce confermata, e illustrata con nuovi validi argomenti, contro antichi e recenti critici e detrattori, la sua originale grandezza. Certo, quando, nell'agosto 1492, Colombo intraprese, con tre caravelle e un centinaio di uomini, quel viaggio che lo doveva condurre oltre tutti i limiti sino allora sperimentati creduti sperimentabili sino alle Bahama, lo intraprese sulla base di convinzioni, — come quelle che la distanza tra la penisola iberica e le coste orientali dell'Asia fosse di gran lunga inferiore a quella reale, che non esistessero terre o isole intermedie, e cosi via, — le quali erano francamente erronee. Ed egli non solo scoprì un « nuovo mondo* soltanto per caso, ma non si rese mai conto dell'effettivo significato e importanza delle sue scoperte, e restò sempre fermo nell'errata persuasione che le isole e terre da lui toccate fossero l margini insulari e continentali dell'Asia orientale; e prese, nel corso dei suoi viaggi, non pochi altri grossi abbagli (come quello che Cuba fosse una- penisola); e non cessò di mescolare alle sue considerazioni e osservazioni scientifiche interpretazioni e supposizioni fantastiche e arbitrarie, destinate a procurargli le irrisioni dei posteri. Ma il fatidico viaggio che lo portò, nell'ottobre del 1492, a sciogliere i « vincoli dell'Oceano » e alle « Indie » non fu frutto del caso (e di un fortuito concorso di circostanze favorevoli), bensì della sua intelligenza, del suo coraggio, della sua capacità di tradurr», il pensiero in ] azione, della sua fede piùforte di qualsiasi avversità o incomprensione (< quando si fu fatta la sua convinzione, scrisse il Las Casas,,— egli si sentì altrettanto certo di trovare quel che trovò che se lo tenesse chiuso sotto chiave in una camera »), della cura con cui preparò la spedizione, della perizia con cui la guidò e della serena fermezza con la quale seppe superare ogni difficoltà, tecnica o psicologica. E, d'altro canto, non va dimenticato che quel suo primo viaggio in un mare ignoto, avvolto da paurose leggende (ma dimostratogli, nei fatti, così cordiale e propizio), fu seguito da altre tre spedizioni: che, come osserva il Morison, oltre ad attestare la sua appassionata tenacia e la sua sete di conoscere, rivelarono in lui, forse ancor più della prima, il più grande navigatore del suo tempo » e che gli permisero, oltreché di ampliare e arricchire la cerchia delle sue scoperte, di < addestrare i capitani e i piloti che, negli anni a venire, avrebbero spiegato gli stendardi di Spagna su tutte le coste e le isole dell'America comprese tra il 50° parallelo nord e il 50" sud». «La facilità con cui egli dissipò il terrore che l'Oceano incuteva, la perizia con cui seppe sempre trovarvi il suo cammino, condussero poi migliaia di uomini d'ogni nazione dell'Occidente eurqpeo a tentare le vie dell'avventura e dell'esplorazione. TI Morison mette bene in luce come in lui agissero a un tempo la fede nella propria missione e «il gioioso senso dell'avventura », l'alto amore della gloria e il desiderio di onori e di profitti, l'ispirazione religiosa (e U so¬ gno di propagare oltre Oceano il Vangelo, attuando le parole bibliche: «Deus vooavit ierram a solis ortu usque ad occasum >) e la convintone razionale, la medievale tendenza al pensiero deduttivo e la moderna curiosità e capacità di osservare i fenomeni naturali. E, pur facendo, la debita parte, nella sua figura e nella sua opera, all'ambizione e al desiderio di vantaggi materiali, non perde mai di vista la parte preminente ch'ebbe in esse l'entusiasmo morale. Destino altamente patetico, quello di Colombo. Egli conobbe come pochi altri le alterne vicende della fortuna, la gioia del trionfo e l'amarezza della delusione, l'umana grandezza e virtù e l'umana ingratitudine e malignità. Corse più volte il rischio di esser ucciso da qualche suo compagno invidioso o nemico; vide la brama dell'oro tramutare in belve rapaci e crudeli quelli che sarebbero dovuti essere i messaggeri oltremare della respublica Christiana; sofferse ingiurie e tradimenti; e chiuse la; propria vita come un vinto, senza aver mantenuto le promesse fatte alla regina Isabella e a se stesso, e senz'aver nemmeno saputo assicurare il futuro dei suoi familiari. Tuttavia, ha ragione il Morison: a lui non si addice la pietà. Che « la profonda convinzione dell'onnipotenza, e infinita sapienza di Dio alleviò le sue pene ed esaltò i suoi trionfi». Ed <egli paté godere a lungo di quello stato di puro incanto che solo il marinaio può conoscere e di quei momenti di alta, orgogliosa esultanza che solo a uno scopritore è concesso dt sperimentare ». Paolo Serìnl