I veneti emigravano soltanto per disperazione molti già stanno ritornando nella loro terra di Michele Tito

I veneti emigravano soltanto per disperazione molti già stanno ritornando nella loro terra -= LA PARTENZA E' TRAGEDIA, NON (COME NEL SUD) UNA SPERANZA --■ I veneti emigravano soltanto per disperazione molti già stanno ritornando nella loro terra Il Veneto ha perduto un quinto degli abitanti negli.ultimi dieci anni, perché la terra non offriva più alcuna possibilità di vita alle grosse famiglie - Ma ora un modesto «miracolo economico», di carattere artigianale, investe la regione: le fughe si arrestano, la tendenza s'inveite - A Padova, a Treviso, lungo il Brenta sono sorte a migliaia le piccole aziende; contadini coraggiosi si trasformano in imprenditori, i braccianti diventano operai - E' una prosperità conquistata a duro prezzo, ma con rigore esemplare, che sta mutando le condizioni della campagna: nella prossima stagione poche mondine venete arriveremo in Piemonte (Dal nostro inviato speciale) Padova, febbraio. Non dite ai veneti che il Veneto è il Mezzogiorno del Nord. Nel cuore del Polesine, tra Adria e Rovigo, c'era ieri una nebbia cupa, che rendeva più fosco un tramonto desolato: s'intravvedevano i casolari bigi, vecchie carriole sparse qui e là, bimbi che mangiavano in silenzio pane scuro e uomini che sedevano a fianco a fianco con lo sguardo perduto nel vuoto. Tristezza e abbandono, un senso struggente di abbandono. Investito da diciassette alluvioni in 10 anni, schiacciato dalla miseria, un terzo dei suoi abitanti sono portiti. E' la provincia d'Italia che più si è spopolata; la rodono il mare, le piogge e il Po.. Vi sono paesi ove si attinge direttamente l'acqua dal fiume; duo mesi or sono, a Porto'Tolte, che è il comune più esteso d'Italia, il mare risaliva il letto del Po: bisognava bere l'acqua salata, gli uomini avevano la febbre, il bestiame gemeva come in agonia. Ma qui e là sorgono casette nuove nuove, le hanno fatte costruire, lo hanno costruite d'estate con le loro mani, gli emigrati che si sono appena sfamati a Torino e a Milano: un giorno torneranno, non hanno rotto con la loro terra: « Tornano — mi dicono — .vogliono tornare quelli del Sud?». Non è vero che la gente scappi dal Veneto, la gente se ne va quando si sente letteralmente - scacciata: nel Polesine 'solo le alluvioni hanno potuto quel che non aveva potuto la miseria nei secoli; nella Bassa Padovana solo quando, per la trasformazione delle culture, i braccianti non hanno avuto più neppure la speranza di una giornata di lavoro all'anno, se ne sono andati: l'emigrazione massiccia, con lo spopolamento delle campagne, è un fatto che il Veneto conosce solo da dieci anni. I veneti non sono fatti per il " « cammino della speranza ». Vi sono zone del Sud ove si vive in attesa del momento della partenza, prima tappa per una vita meno squallida. I veneti vivono nell'angoscia della partenza: la loro è la più dolente e più sofferta emigrazione che vi sia in Italia. Bono appena sei mesi che da Ferrara e da Modena giungono ogni settimana carichi di lana da lavorare a maglia, n sottobosco del miracolo economico. Dà mille lire al giorno per un lavoro a domicilio di dodici e anche di Quindici ore. Nel triangolo Bergantino-Ceneselle-Mélara non meno di cinquemila ragazze consu- mano gli occhi a sferruzzare; non meno di tremila sono figlie di emigranti, son tornate, da Torino e da Milano, a vivere una malinconica vita, ma tra l'Adige e il Po. Lungo la riva del Brenta piccoli coltivatori che non avevano più speranze tentarono, dieci anni or sono, l'impresa di dar vita ad aziende artigianali. Oggi la riva del Brenta è disseminata di calzaturifici e fabbriche di abbigliamento, vi lavorano ventimila persone. Altre migliaia, ogni giorno, vengono dai dintorni e rimangono in attesa: passerà un anno, passeranno due, passeranno forse tutti gli anni che Dio ha dato nella speranza che il padrone della fabbrichetta, l'uomo potente, che anni fa era un amico e coltivava la terra, abbia un posto libero: è certo un alibi per non partire, ma tutto è meglio dell'addio. Su ogni cento comuni almeno quaranta, nella regione, hanno visto il numero dei propri abitanti diminuire. In provincia di Padova un terzo del comuni sono in via di spopolamento. In provincia di Treviso i parroci stessi, non avendo più parole di consolazione, hanno organizzato, negli anni scorsi, la emigrazione per nuclei familiari: si riduceva l'area coltivata a barbabietole, non c'era più neppure il lavoro stagionale per le donne, almeno si metteva la famiglia al riparo dai pericoli della disgregazione. La zona del triangolo bracciantile Piacenza - Vighizzolo - Sant'Ur bano, teatro una volta di grandi lotte contro gli agrari, e tutta ora coltivata a pioppo, è divenuta semideserta. In dieci anni, non ostante l'incremento demografico, il Veneto ha perduto un quinto della sua gente: come sempre, là più giovane. Insieme alla Calabria è la sola regione d'Italia che avrà, con la prossima legislatura, e nonostante l'aumento . del numero.. dei parlamentari, meno deputati:'Un quadro nero. >' Ma tra il Veneto e il Sud c'è questa differenza: che questo, nei mesi che stiamo vivendo, è il tempo in cui s'inverte la tendenza. Si sta svolgendo sotto i nostri occhi il processo della rapida evoluzione di una zona depressa. Sono stati, certo, determinanti gl'interventi dei grandi complessi industriali nel Vicentino, lo sviluppo di Porto Marghera (ove c'è la massima concentrazione di popolazione operaia d'Europa), la crescita industriale di Venezia, le cooperative nel Veronese, il ritmo quasi pianificato con cui si sviluppa la zona di Padova. Ha contribuito in maniera decisiva, certo, la vicinanza al triangolo industriale. Ma questa crescita, questo sviluppo di che cosa sono fattìf A Padova come a Treviso sorgono 1000-1200 nuove aziende all'anno: piccole, piccolissime aziende- di tipo familiare. Poi accade che crescano, tra gli stenti: occupano da principio poche persone, poi i dipendenti di ciascuna diventano decine. La loro forza è fatta del rifiuto dell'emigrazione: i nuovi operai giungono dalla campagna, ogni mattina, percorrono decine di chilometri, si riducono a volte in pensioni miserabili, vanno a casa il sabato sera e portano alla famiglia una busta-paga più che dimezzata: è poco, ma è meglio della partenza. Anche nel Veneto, ove si trovano dai quaranta ai cinquantamila nuovi posti di lavoro all'anno, si parla di miracolo economico: lo stra¬ ordinario infittirsi di officine nella fascia Padova-Venezia, la tendenza del Vicentino a congiungersi con la Lombardia attraverso una linea industriale continua, la mancanza relativa di mano d'opera in alcune campagne. Ma non è un miracolo economico: il 90% delle aziende non sono società, sono individuali, portano il nome e cognome, e le responsabilità e i rischi, di ex piccoli coltivatori, o di ex braccianti divenuti assegnatari di terra che non ce la facevano più, o di ex artigiani. Non c'è ancora miracolo quando le attività prevalenti sono quelle dell'edilizia, della lavorazione del legno, dell'abbigliamento. E, quando sono più ambiziose, sono tutte attività di carattere sussidiario alla grande industria che si accentra a Venezia. Ma è appunto questo pullulare di riuscite umane (cinquantamila nuove iniziative in dieci anni, cinquemila previste per il 'SS), ohe ferma il ritmo dell'emigrazione; ora la tendenza s'inverte, c'è una corsa contro il tempo: sono in programma nuovi sviluppi, il problema era di evitare che la regione si spopolasse ancora e che mancasse la mano d'opera. E' forse un caso unico nella storia italiana: le prospettive del Veneto dipendono dalla capacità di resistenza, nelle difficoltà attuali, della sua gente. Se i veneti continuassero a partire, e a lasciar partire i giovani, le speranze di progresso sarebbero scarse. Ora, ecco quel che accade: i veneti non partono più. Non partono più perché il grande salasso è già avvenuto, la disoccupazione diventa in alcune zone trascurabile; per i braccianti delle zone più povere non vi sono più quaranta giornate all'anno di lavoro, ve ne sono centosessanta; altri braccianti lavorano nelle industriette e il loro posto nelle campagne è preso dalle donne. E' ancora poco, anche questo, forse, è un alibi* Uà c'è il fascinoso esempio di altri contadini, di amici di infanzia, che son riusciti a diventar padroni in dieci anni. Decine di migliaia di scalate a un relativo benessere: sono tante in una regione depressa, da accendere l'immaginazione, da governare gli orientamenti della gente. Il Veneto vive sotto il fascino di questa avventura. Tutto, ora, ne dipende: in questo modo forse sarà vinta la corsa contro il tempo. Un giorno, certo, si parlerà di miracolo, che è stato fatto anche dalla fortuna di coloro che son rimasti dopo il salasso e dall'abbandono delle zone ove non xfè nulla da fare. E' una lenta conquista. Ciò che essa porta, ciò che determina di trasformazione all'interno della struttura sociale del Veneto, meriterebbe un discorso molto lungo. Non vi sono progressi fulminanti, -il Veneto' non è il Sud, ove U ritmo di sviluppo è lento, ma non è sicuro; e non è nemmeno il triangolo industriale ove la crescita è fulminea. Ma quest'anno, per la stagione del riso, solo alcune centinaia di ragazze venete si recheranno in Piemante; e nel '62 non c'è stata una sola azienda che, aiutata attraverso i contributi previsti dalla legge, non abbia mantenuto tutti i propri impegni, rimborsando neitermini previsti, nelle modalità fissate, ciò che era stabilito. Un caso unico in Italia. I veneti hanno probabilmente ragione di non voler più partire. Michele Tito

Persone citate: Veronese