Leggere i «Vangeli» tradotti dal Tommaseo è come "riscoprire" il sublime libro sacro

Leggere i «Vangeli» tradotti dal Tommaseo è come "riscoprire" il sublime libro sacro Leggere i «Vangeli» tradotti dal Tommaseo è come "riscoprire" il sublime libro sacro Anche il « Padre nostro » appare diverso dalla versione solita, e può sorprendere - Ma molti abissi e splendori sono rivelati proprio dal dotto accanimento, che il traduttore pone nella fedeltà al testo originario raaioin*^di-leggere u vino-— senza dubbio Si vede ogni giorno più a quanti eccessi può portare nello scrivere il culto della lingua parlata; e si salutano con gratitudine le sempre più rare infusioni di lingua colta. A quindici anni dalla prima edizione, è uscita presso la « Nuova Universale Einaudi » la ristampa dei Vangeli nella classica traduzione di Niccolò Tommaseo, scrupolosamente rispettata, sin nelle virgole, dal fine curatore Cesare Angelini. Per chi non crede che la classicità sia il diavolo, si offre una bella oclibro dipossibile il più diffuso nel mondo, respirato anche da quanti non lo leggono, fonte d'ogni buon pensiero e norma del vivere civile — in una commista chiave di devozione e di filologia, sentendovi rumoreggiare, come in nessun'altra ver¬ sione anche fedelissima, le fonti del greco e del latino. A prima vista non ci si ritrova, giacché l'accanimento filologico del Tommaseo, che era la sua seconda natura, getta lo scompiglio fra le tensioni più radicate nel cuore del credente e sembra trasferire il demone della preziosità sul terreno meno adatto. Chi oserebbe scardinare il Padrenostro dalla lezione succhiata col lattei Ma ecco il Tommaseo (Matteo, cap. IV) «Padre nostro nei cieli. Sia resa santità al nome tuo. Venga il regno tuo. Facciasi il tuo volere, come nel Cielo, e sulla Terra. Il pane nostro soprasostanziale da' a noi oggi. E rimettici i debiti nostri, come e noi li rimettiamo .a' debitori nostri. E non ci recare in cimento; ma liberaci dal Maligno. Perché di te è il regno e la potenza e la gloria ne' secoli. Cosi sia. » Dove già si possono notare ellissi, iperbati, elisioni, l'uso di e per « anche* (di poi ripetuto infinite volte), e aggiunte di parole o periodi che la pratica recide. Dappertutto ci si scontra nel suo genio per dnversione e la parola peregrina: « Infermi curate, lebbrosi mondate, morti resuscitate, demoni scacciate. Gratuito avete ricevuto, gratuito date » (Matteo, X); «Beati i mansueti; che essi Tederanno la terra »; «Or se il sale scipiderà, in che sarà insaporato? » (Matteo, V). Il gallo di Pietro non canta, ma « dà voce » ; il lavandaio diventa « curandaio », l'adattarsi un < avvenirsi ». E non sono Giudei di Firenze questi che di Maria sorella di Lazzaro, levatasi dalle ginocchia del Maestro, dicono anzi cantano così: «La va ai se¬ polcro per piangere quivi >f| Eppure bastano poche righe a sincerarsi che il Tommaseo non ò il padre Cesari, e che la cura linguaiolo non lo tange. Tutto è « scelto » in questi suoi Vangeli; ma d'una sceltezza che non risponde a vanità letteraria, bensì a un sincero anelito di comunicazione divina, a un autentico pathos scritturale. Dice bene l'Angelini: osservando la maggior indipendenza con cui il T. tradusse altri testi (le favole greche, per esempio), si coglie qui uno scrupolo di esattezza che è sentiménto religioso: non spostare nemmeno una parola dall'ordine anche materiale con cui esse uscirono dalla bocca del Signore o dallo stilo dell'Evangelista. « La collocazione puntuale egli sentiva come un elemento interno del testo, un impegno di suprema fedeltà, un'esigenza perentoria della verità ». Onde quel che pare raffreddamento è invece ardimento; e la pedanteria, venerazione del testo, forza spirituale. « Le inversioni o apparenti oscurità, sono ombre liturgiche che aiutano la fitta ispirazione, e le ellissi son voli lirici, intese veloci; proprio secondo un suo suggerimento: che il traduttore non deve sdraiarsi sull'idea, " ma baciarla e volare " Questa passione di letteralità, se da un canto raddrizza latinamente molti luoghi fraintesi, come « i poveri in spirito » e « «J mio regno non è da questo mondo» (cioè non ha origini da questo mondo), dall'altro aiuta a comprendere come i Vangeli siano tutt'altro che un libro facile, anzi pieno di abissi, oscurità e scandali. Aspra e faticata nella misura, stessa in cui è fedele agli originali greci ed alla Volgata di san Girolamo, la versione del Tommaseo induce a pesarvi ogni parola e ogni virgola, e davanti alla pagina così armata anche il lettore si arma, e meglio scalza la verità di Vangelo. Chi volesse poi leggere con occhio soltanto mondano po Irebbe divertirsi a cercare quanto di quell'uomo maligno sia passato nel libro di amore e di misericordia. Ma rischierebbe di non trovare nulla che il Tommaseo, con tutte le sue magagne, reggeva il tono mistico come nessuno Certo è un po' più duro degli altri nei luoghi duri, e un po' meno tenero nei teneri (nell'episodio dell'Adultera sostituisce uno stitico presente: « Ni io ti condanno* al ge- neroso futuro dell'originale < nec ego te condemnabo », quasi a mettere una pulce nell'orecchio a quante adultere traggono iniquo profitto dalla errata interpretazione di quel passo); ma anche questo non è male, se si pensa alle tante anime fiacche che riposano sulla presunta indulgenza del Vangelo. E in quanto alla poesia sparsa nei libretti di Marco Matteo Luca e Giovanni, quanto meno egli la sollecita, tanto più la fa rifulgere come diamante nella roccia. ' Leo Pestelli

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