Debussy non amava Wagner né Ravel

Debussy non amava Wagner né Ravel Rive iati i pungenti gin di mi del musicista francese Debussy non amava Wagner né Ravel Il maestro tedesco gli appariva turgido e concettoso; a stento ne riconosceva la forza drammatica -Del giovane connazionale non apprezzava l'« abile americanismo», le astuzie da giocoliere Non spiace che, trascorso l'anno '62, avvengano Inattese pubblicazioni di memòrie e di testimonianze sull'arte e là vita di Claudio Debussy. Lentamente, con discrezione, gli archivi privati, le cartelle del ricordi, si schiudono. Il pensiero, l'animo, la persona di lui ne risultano ritoccati e precisati. Negli epistolari, seppur mutili e unilaterali, si colgono talvolta domande o risposte Illuminanti. Sono or ora apparse nel Debussy, numero special della Revue de musicologie (ed. Heugel, Parigi) inedite lettere di Debussy a Louis Laloy, quelle, pure Ignote, Inviategli da Pierre Louys, da Godet, ed altre carte, e già s'annunzia una nuova raccolta di giudizi su Maurice RaveI nel Festschrift in onore di F. Blume. In una lunga e cordiale missiva, ottobre 1896, Pierre Louys volle concludere un recente colloquio con Debussy, rimasto tronco per il troppo contrasto intorno ad un argomento ancora scottante: Wagner. Conversando, Debussy aveva evidentemen¬ te Insistito nella ripulsa dell'arte del tedesco, che gli pareva concettosa, turgida, greve. Parere di .musicista, non di critico. Il letterato invece, che molto ammirava l'autore di Pelléas et Mélisande e ne attendeva l'intonazione delle sue Chansons de Bilitis, procedette quella volta da critico esperto e sensibile, mirante non alle teorie e alle forme wagneriane, ma all'essenziale, alla drammaturgia. Consentiva: Bizet, Mussorgskl, avevano superato Wagner nel toccante accento delle frasi espressive di stati d'animo. Ma da parte qualsiasi confronto tecnico, strumentale o vocale, e riconosciuta nel Pelléas la corrispondenza delle frasi scritte con quelle cantate, scorgeva in tanti momenti drammatici, ala nelle maggiori opere di Wagner, sia nel Pelléas, un requisito eccellente, quel lo del mouvement, cioè, diremmo, della varia vibrazione musicale dell'ambiente. E citava «la respirazione del Prelude à l'après midi d'un faune, e nel Pelléas 11 colpo d'aria all'uscita del sotterraneo, 11 vento del mare, la funebre monotonia nel quinto atto». Wagner aveva già intuito, ma diversamente cantato appunto il mouvement, di fremito: l'apparizione di Lohengrin, 11 vagare delle Ondine, la cavalcata delle Walchirie, le fiamme, l'arrivo di Isotta, la morte di Tristano; ed altri passi anche menzionava. «In ciò Wagner è Wagner ». Soggiungeva: «Son convinto che non si farà mal nulla di simile... Il movimento è la vita». Era questa una concezione e locuzione impressionistica, quasi bergsoniana, allusiva al fluire del tempo, all'incessante mutamento del sentimenti e della natura. Ma, notiamo, se l'Impresalo- nismo rinnovò ed accentuò l'entità di quel tono, di quell'ambiente, che 11 Romanticismo tedesco aveva denominato Stimmung, sempre nelle opere d'arte un personaggio potente pare immerso nel suo ambiente patetico, sempre ne è emanazione ed eccitazione. Dramma, infatti, è di\ ire, non stasi. Nel carteggio pòi con Louis Laloy, ann.^ 1907, torna più volte il nome di Ravel, e s'ha la conferma che questi, già noto e caro al pubblico per VHeure espagnole, per Ma mère l'oye, per la Pavane pour une infante defunte, sembrava a Debussy privo d'un severo ideale dell'arte. Stupito che si solesse applaudire Ravel quanto Beethoven, Debussy rimproverava il Laloy, «uomo di gusto, d'aver sacrificato In un articolo nel Mercure de France l'Istintiva purezza della Camera dei fanciulli di Mussorgski al volontario americanismo di Ravel, Innegabilmente abile». E poiché il Laloy aveva in un'altra occasione esortato Ravel a dare ascolto ai consigli d'un qualche « folletto burlone », Debussy volle Ironicamente sperare che, ascoltando, Ravel avrebbe finalmente «trovato la sua strada. Certo, Ravel è assai ben dotato, ma il suo atteggiamento di gluocatore di bussolotti (.faiseur de tours) mi irrita». L'immagine del farfadet moqueur suggerì a Debussy anche una digressione per una curiosa ed interessante questione d'estetica: « Credete sinceramente che ci aia una musica umoristica? In sé, non esiste; occorre sempre un'occasione, un testo, una situazione. Due accordi, con le gambe in aria, o in una qualsiasi altra stramba posizione, non saranno mai umoristici, o lo diverranno in modo soltanto empirico». E' l'antica questione della cosi detta musica comica, umoristica, e via dicendo. Debussy non ne ammetteva l'efficienza, poiché giustamente stimava lirica l'arte, in ogni caso, e non edonistica, buffonesca, divertente, eccetera. D'altra parte, se la cosi detta comicità è intesa come una facoltà psicologica, uno stato d'animo, non tragico, pare ammissibile che il sentimento comico, spontaneo oppure ispirato da un incentivo verbale, compia, come qualsiasi altra1 umana esperienza, la sua metafora in espressione musicale. Esatta, saggia, dunque la asserzione di Debussy. A. Della Corto

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