L'orgoglio dei pastori e le regine dell'isola

L'orgoglio dei pastori e le regine dell'isola VIAGGIO IN SARDEGNA —- L'orgoglio dei pastori e le regine dell'isola Cagliari, gennaio. La pianura del Campidano è piena di greggi. Li si incontrano sulla strada, li si vedono nei pascoli vicini, appaiono lontani come pietre grigie, disseminate sull'erba verde-chiara dell'inverno. Sono le greggi che scendono qui a svernare dagli alti pascoli delle Barbagie, dalle terre dell'interno, dal Gennargentu, dalla montagna di Oliena, da Orgosolo, su queste terre altrui, per la cui povera erba si svena in affitti il pastore che ha'le "pecore ma non i pascoli, recinte dai muri di pietre nemiche, dalle « chiudende », dalle alt: siepi di fichi d'India, veri alberi coi tronchi e le pale di spine. I frutti ancora rosseggiavano malgrado la stagione troppo avanzata: ne cogliemmo alcuni al bivio della strada di Mandas, che lasciammo sulla destra per proseguire sulla Carlo Felice I paesi si seguono, semplici come greggi di case, con le loro povere storie: Nuraminis, Villagreca; Serrenti, dove le case, anziché di fango intonacato, come altrove, sono, per una cava locale di granito, di pietra, in un campo si leva enorme una roccia di forma bizzarra, la prima delle infinite che costelleranno come animali giganteschi le lan de del nord.. Lasciamo la Carlo Felice, e a destra la strada verso la Trexenta, e Furtci: e da ogni parte le greggi, e Villamar nota per le lunghe lotte dei braccianti, e Villanovafranca: zone sempre più spopolate per l'emigrazione. Il vento violento va accumulando le nuvole, comincia a cadere. la pioggia. A Lasplassas i ruderi di un castello appaiono su un monticciuolo conico che domina la pianura: i compagni vanno raccontando del conte Ugolino. Più avanti comincia il piano della Giara, dove galoppano liberi i cavallini selvatici. Ed eccoci a Barumini famoso per i recenti scavi del suo villaggio nuragico « Su Nuraxi ». Il paese pare deserto: chiusa la chiesa, le ville di nobile architettura, le case. La terra è coperta di un'erba pelosa: un vecchio pastore che passa col gregge e coi cani, solo essere umano in quel deserto, mi dice che si chiama « Chiù Chiù » : « La mangiano i maiali. Ne sono matti ». Il nuraghe è poco più avanti, sulla strada di Tuili, e. domina le distese circostanti fino ai ruderi del monte di Lasplassas, che sembra rispondergli di lontano come un avamposto abbandonato. Visto dall'alto, il villaggio, con i resti delle sue mura circolari, le basi delle più antiche capanne rotonde su cui si possono supporre i tetti conici di tronchi e di frasche, con in mezzo un pàio come nelle capanne dei pastori di oggi (pinnetas), e di quelle più recenti, dopo la di struzione e la strage cartaginese, simili a quelle assai precedenti di creta, (sicché Lilliu, l'archeologo che ha scoperto e illustrato « Su Nuraxi », parla di « natura recessiva dell'ambiente e della cultura sarda») sembra costruito da un grande serpente che abbia lasciato sulla - terra, strisciando e dibattendo la coda, la sua impronta. Corriamo, saltando sulle gran di pietre di quei vicoli preistorici, verso il castello centrale, le quattro torri e le mura che 10 circondano. Nr" vento, saliamo arrampicandoci fino alla cima altissima di quel torrione, che era forse una reggia. Ci sporgiamo ai terrazzi delle antiche difese, vi scendiamo nel buio la strettura delle scale a chiocciola nell'interno dei muri giganteschi, dove lo spazio cosi ridotto e precipitoso che vi si passa a stento, verso il conile interno, col suo pozzo, con gli stretti vani di abitazione o di guardia, h feritoie chiuse, le volte coniche di pietre aggettanti, 11 buio di un tempo remoto all'immaginazione. E' un enorme blocco di pietre dentro cui sono lasciati per gli uomini spazi straordinaria mente piccoli e tenebrosi, come se quegli antichi re volessero co struirsi, con sforzi immani, un oscuro segreto grembo materno di pietra, per vivere, inattaccabili e protetti, dentro quella nera caverna, dentro quelle viscere di pietra, pietre essi stessi in un mondo magico di riti di pietra. Forse erano questi i punti fermi, le certezze celate di quelle orde mobili e ritrose di pastori guerrieri, che vi ritrovavano, dopo l'ondeggiante, infido, indeterminato passo degli animali su una terra senza confini e la sua misteriosa incertezza, la certezza pensata e buia della feroce grotta materna. Forse per questo i tijoo nuraghi che coprono i campi della Sardegna non sono sepolcri degli avi, come quelli che coprono la Cina, ma simboli di un mondo pastorale presente: e la via di oggi ha una forma, che in qualche modo richiama quell'arcaico bisogno di certezza. La giornata avanzava: il ven- to, «al nuraghe, ci aveva asside¬ rmcrppcèclhvilt rati. Cercavamo qualcosa da mangiare: ma a Barumini non c'era nulla. Più avanti, a Gcsturi, nella Giara, chiediamo a dei pastori dove si possa trovare del pane. Troveremo gni cosa, dicono, dalla signora Mafalda, che è una donna valente. La cerchiamo girando nei vicoli, tra le case e i cortili recinti che hanno carattere di reggia dove vive una regina, con il chiuso, il nascosto, l'ombra nuragica; e l'aspetto semplice, elegante, nitido, e curiosamente moderno perché arcaico senza forme di passaggio. La signora Mafalda non c'è: le figlie ci ricévono in una stanza con i fiori finti sul tavolo: e mangiamo il pane c il formaggio, e i fichi d'India che avevamo colti sulle siepi. Lasciamo Gesturi e corriamo, per Nuragus e Nuralko, verso Laconi e le sue pendici variate di querce, di lecci, di ulivi, sulla strada dove passano gli asi nelli e le greggi che scendono; e siamo ormai nella Barbagia di Beivi, sulla montagna che si fa sempre più deserta e nuda, .verso Aritzo, e Tonara, nel cuore del Gennargentu. Dieci anni fa vi avevo cercato, con gli amici di allora, i famosi tappeti, tessuti qui calle don ne. Era giorno di festa, e nella casa ci avevano accolto gli uomini, dicendo che le donne erano tutte in chiesa per un discorso elettorale del Vescovo; che i tappeti erano cose delle donne; che le aspettassimo se volevamo vederli, che essi erano pastori di greggi di pecore, e che il pastore delle donne era il prete. Quando le donne tornarono, coi neri occhi scintillanti pieni di intelligenza e vitalità, vedemmo che davvero non erano pecore: ci riferirono con libertà e con riso allegro i consigli elettorali ricevuti, e le minacce d'inferno: ma dissero che tuttavia avrebbero fatto, pur liberissime nel giudizio, per una regola antica, quello che diceva il loro pastore. Poiché oggi non riconoscevamo più la casa di allora, chiedemmo dei tappeti a un vecchio pastore che passava. Ci guardò con aria offesa : c Tapitos? No, non ci sono ». E poiché insistemmo, ci fissò con sprezzante degnazione, ancora: «Sono cose delle donne». Ritrovai infine quelle donne, e i loro stupendi tappeti: le stanze ora piene di telai e di giovani lavoranti, che cantavano, lavorando, canzoni sarde iiiiMiiimiiiimmimiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii d'amore. Sono tappeti tradizionali e moderni di gusto non corrotto. Nei loro costumi antichi, la madre e le figlie disegnatrici ci parlano esperte del ■ mercato italiano e di quello internazionale, dei grandi magazzini e delle loro esposizioni a New York. E intanto ci offrono ospitali i dolci che esse stesse hanno fatto, gli amaretos e le meravigliose caschete* e pardulas che sembrano fiori immaginari dai petali bianchi. Ci mostrano, con sapienza, i metodi della lavorazione, le erbe per tingere le lane, che danno colori diversi a seconda della stagione o del terreno dove sono raccolte. Il mondo arcaico e quello moderno coesistono con naturalezza nella loro vita di sconosciute regine. Carlo Levi

Persone citate: Carlo Felice, Carlo Felice I, Carlo Levi, Lilliu, Mafalda