Atene anno zero

Atene anno zero Atene anno zero di Francesco Della Corte al Gobetti 'T'" ■•V"1' taBjrfWS^fe]tlvo, illustrativo, ironico e pó-Nella primavera del '61 Francesco Della Corte, professore di letteratura antica all'Università di Genova e pensoso umanista, trasse da una delle più smaglianti prose di Apuleio quel Processo per magia che, protagonista Renzo Giovatnpietro, ebbe gran successo. Si trattò allora di trarre un'azione scenica da un discorso giudiziario già in se stesso tutto drammatico e che, nella dialettica acuta, sottintendeva un dialogo: il Della Corte ci riusci in modo impeccabile, con energica grazia intellettuale. Quest'anno si è accinto a un compito molto più diffìcile : comporre di sui testi antich1 il quadro di un'età della Grecia particolarmente ricca di sommovimenti e travolgimenti, la crisi della democrazia ateniese nel IV secolo avanti Crito. Sparta ha vinto Atene, l'ha prostrata in una pace ignominiosa, il predominio spartano opprime brutalmente tutta la Grecia, la tirannide dei Trenta si esercita in eccidi orrendi: la patria di Socrate è ritornata all'anno zero, una stupenda civiltà, frantumata dalla violenza, deve essere rifatta da capo. Lo scontro storico e la disputa morale si appuntano su questo tragico dilemma, se nella vita del mondo debba prevalere la violenza o la legge. E' la disputa classica dell'illuminismo greco. Ed è proprio nella luce dell'intelligenza greca, che fu anche, e sempre, sottilissima nel giudizio etico, che i fatti storici, economici, sociali trovano una comprensione, una specie di sovrana equità che soppesa il male, e lo mette al confronto della ragione e della saggezza. Il Della Corte, è naturale, ha inteso tutto ciò perfettamente, e con geniale rigore stilistico ce ne ha riproposto l'ideale realtà. I testi utilizzati ce li indica egli stesso, sono Senofonte, Platone, Lisia, Filostrato, Aristofane... Tale l'atmosfera poetica nella quale si è svolto lo spettacolo, Atene anno zero, presentato iersera al Gobetti dal Teatro Stabile di Torino. Gli avveni menti, le circostanze, i tipi e le figure umane hanno tali somiglianze con l'esperienza da noi vissuta durante e dopo l'ultima guerra, da sbalordire. E* la famosa attualità dell'antico; ma nell'arte c'è un'attualità sola, ed è quella dell'eterno. L'attualità di questo spet- tivo, illustrativo, ironico e pò lemico, ma, almeno a nostro gusto, nella ricerca severa e agile che ci restituisce intero ciò che fu ed è umano. SI, ì fatti di allora rispondono a molti fatti di ieri. Ci sono i vincitori e i vinti, e quelli che hanno fatto il gioco dei vincitori, i collaborazionisti; la democratica Atene è stata abbattuta dall'oligarchi ca Sparta, e gli oligarchi ate niesi, che erano stati messi al bando, ritornano in patria, con le spalle coperte dal nemico atroce, a compiere le vendette. Si forma il governo dei Trenta tiranni, che si butta a distruggere ferocemente ogni ultima traccia di libertà e dignità umana. Nel governo dei Tren ta c'è di tutto; c'è Tcràmene che ha venduto Atene agli stranieri, c'è Critia che, a capo degli esiliati politici, è uno di quei mostri che conosciamo; e c'è Eratòstene che riesce sempre a stare a galla. E c'è, sotto il giogo, il brulichio disperato di una popolazione che vive nel terrore e nel lutto. E quando i tiranni sono finalmente schiacciati, non c'è più che discordia; uniti nella battaglia, dispersi nella pace. Nella torbida confusione sì è anche promulgata un'amnistia generale. Quanti delitti rimarranno impuniti? Ma Lisia, il grande oratore, che ebbe assassinati il fratello e il cognato, chiama davanti ai giudici l'immondo Agorato ch'era stato il denunciatore, ed Eratòstene che aveva organizzato il delitto. Processo per omicidio, e non politico. E' giusto? Renzo Giovampietro ha tratteggiato il personaggio dì Lisia con la dignità e la forza espressiva che sono ben sue. Il fraseggio di questo attore è netto, chiaro, ma soprattutto ricco I di un'emozione interiore che si identifica in un senso squisito dei valori di un testo non solo scenici ma letterari. Con grande prestigio egli ha sostenuto l'accusa non soltanto rivolta ai due criminali, ma a tutto il male della storia umana. Qual è la via giusta, con- dannare senza pietà secondo il senso crudele della storia, o usare la pietà per dimenticare e disperdere? Un tormento lucido e accorato si agita nel buio: è l'anima stessa, la divina inquietudine del mondo. Siamo ritornati così al subli- me di quelle parole antiche. Che mai avevano questi greci, per incantarci cosi? E', come avrebbe scritto Barrès, un mistero in piena luce. E' il mistero della coscienza che cerca e riconosce se stessa. Lo spettacolo è stato bello e attraente; qualche taglio qua e là forse gli avrebbe giovato. Splendide le vesti bianche degli attori (scena e costumi di Eugenio Guglielminetti) che apparivano come grandi statue. Il ritmo spettacolare e quello della dizione si accordarono con aristocratica dignità. E' un grande merito del regista Gianfranco De Bosio, che è penetrato con elastica intelligenza nel senso concreto della rappresentazione. Ruggero De Daninos raffigurò Eratòstene con crudele sensibilità e Mario Ferrari fu un Teràmene di vasto respiro. Ricordiamo poi, tutti bravi, Andrea Bosic, il Gazzolo, il Cardea, Sergio di Stefano, Pietro Biondi. Vi erano anche due attrici: Donatella Ceccarello, com- posta e dolente, e la giovanis- sima Cecilia Sacchi che recitò con scrupoloso impegno di sentimento e d'arte. Tutti applauditissimi. Sala affollata, con fervidi battimani; sull'onda di una ben giustificata curiosità, ottimo successo: della commedia, del regista, degli attori. f. b.

Luoghi citati: Atene, Grecia, Torino