II paralitico premeditò il delitto convinto di essere stato defraudato di Giorgio Martinat

II paralitico premeditò il delitto convinto di essere stato defraudato La tragedia della vigilia di Natale a Cartelli II paralitico premeditò il delitto convinto di essere stato defraudato Il contratto di cessione dei beni a favore dei due nipoti era formalmente valido - Non essendo riuscito a farlo annullare, li attirò in casa per ucciderli - Interrogato all'ospedale il ferito, che va migliorando - « Quando lo zio ha sparato a Carlo, sono balzato in piedi : in quel momento sono stato raggiunto dalla seconda pallottola » 4Da4 Rfli**«s Canolli, 27 dicembre, Le condizioni di Renzo Zamboni, il rappresentante d'automobili ferito dallo zio con un colpo di pistola, vanno lentamente migliorando all'ospedale di Canelli. Non può ancora essere dichiarato fuori pericolo, ma, da oggi, si è aperto uno spiraglio di speranza. bombola d'ossigeno, il polmone forato gli impedisce di parlare. Ha potuto pronunciare, ansimando, solo qualche frase, a lunghi, penosi intervalli. Gli hanno detto della morte del cugino, Carlo Lavezzaro, padre di tre figli: Irvana, di 16 anni, Adriano, di 6 e Viviana, di uno. Ha chiuso gli occhi: e a i e , : rato — bisognerà fare qualcosa per loro >. I suoi familiari hanno subito aperto una sottoscrizione per gli orfani, raccogliendo le prime offerte. Renzo Zamboni ha anche potuto dare qualche sommario ragguaglio sui tragici istanti della sparatoria. « Lo zio — ha detto — ha tirato fuori la pistola e ha sparato a Carlo, che si è alzato di scatto. Anch'io sono balzato in piedi e in quel momento sono stato raggiunto dalla seconda pallottola. Sono caduto contro il letto, accanto al quale era seduto lo zio. Lì dietro, ero al riparo. « Alzo le mani, non sparare più », ho implorato. <Vai pure, non ti farò più nulla >, ha risposto. Allora sonp - uscito, dietro a Carlo. L'fio visto per terra, sui gradini dell'ingresso. Sono riuscito a raggiungere, attraversando la strada, il negozio di un mio amico mereiaio e gli ho detto di portarmi all'ospedale >. / cnrabmferi hanno dovuto rinviare l'interrogatorio formale del ferito, l'unico che possa chiarire esattamente le cause della tragedia, spiegando che cosa si è detto nel colloquio che ha preceduto i colpi di pistola. Il contratto che è all'origine della controversia risulterebbe formalmente valido. Era stato firmato il 12 novembre, ni capezzale di Silvio Zamboni, presente il notaio Osvaldo Barone. L'invalido cedeva tutti i suoi averi ai pronipoti Renzo Zamboni e Carlo Lavezzaro; questi, in cambio, si impegnavano ad assisterlo fino alia fine dei Suoi giorni. Si erano tinche dirisi le mansioni: Renzo avrebbe avuto compiti di segretario, sbrigato le pratiche, riscosso i soldi delle pensioni; Carlo, se necessario, sarebbe stato l'infermiere, con iiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiiii ^/'nh1,h'."*W*' J7"T7J" l^ngfteral letto dello zio. Dopo la morte di questo, eguale assistenza avrebbe dovuto essere prestata alla vedova, Francesca Meschiati: una clausola strana, poiché i due coniugi, pur abitando sotto lo stesso tetto, vivvano praticamente separati, l'affetto era morto da molti anni. « Mia moglie mi vuole morto — soleva dire lo Zamboni con astio — ma non riuscirà a farmela, tutto quel che mangio lo faccio assaggiare prima a Jei». Il contratto, comunque, non poteva essere rescisso. Né Renzo Zamboni e soprattutto Carlo Lavezzaro sembra avessero intenzione di rinunciarvi. Il loro atteggiamento avevajoortato lo zio, pentito degli _ j.. _V7> J!=~ accordi concilisi, riìPesasperazione. Sembra certo che abbia premeditato il delitto. Una settimana fa, aveva chiesto al Lavezzaro di tirargli giù, dalla sommità di un armadio dove era custodita, la pistola. « Caricala », gli aveva ordinato. Il nipote, preoccupato, aveva raccontato l'episodio alla moglie che lo aveva rimproverato: « Hai fatto male a obbedirgli, è un uomo iroso, autoritario, non è molto a posto con la testa. Chissà che cosa può fare ». Sembra che, dopo queste osservazioni, il Lavezzaro sia tornato di nascosto nella camera dello zio ed abbia scaricato l'arma, gettando via le cartucce. Se è vero, il fatto che la pistola sia ricomparsa carica tra le mani di Silvio Zamboni dimostra che questi non ha ucciso in un impeto di collera, ma aveva preparato il delitto. Sapeva che non sarebbe arrivato a Natale. Alla vigilia, la moglie gli aveva chiesto che cosa desiderava per il pranzo del giorno dopo. < Nulla di speciale — aveva risposto l'invalido, in tono infastidito — quel che fai tutti i giorni*. Qualche ora più tardi, dopo aver ordinato ai nipoti di venire da lui in obbedienza alle clausole del contratto, si era seduto accanto al letto, una coperta sulle ginocchia e, sotto, la pistola projita a sparare. Nella casa di via Alba, ora è rimasta solo Francesca Mischiati, tra i cimeli raccolti dal marito. Per Silvio Zamboni, il tempo si era fermato sulla trincea del Carso dove una pallottola lo aveva ridotto a un povero minorato. Ad una parete, il brevetto della medaglia d'argento al valor militare che gli era stata concessa; in anticamera, un'altra medaglia con un diploma che, dopo i due colpi di pistola sparati freddamente, con precisione, acquista un tono sinistro: è il diploma di tiratore scelto Su un tavolo, un portacenere d'argento, che reca incise queste parole: « Sempre e dovunque! Per la grandezza d'Italia e la gloria della mia casa. Amedeo di Savoin • Milano, maggio 1915 ». Silvio Zamboni era stato congedalo con il grado di sergente degli arditi: la prima guerra mondiale era l'unico argomen- a farlo parlare. Ora, il suo corpo è stato portato via quasi di nascosto: due uomini hanno caricato il feretro sul carro funebre, che ha subito raggiunto il cimitero. Dietro, su un'automobile, sei persone: due amici e quattro carabinieri. Tra questi, il brigadiere Orrù, che ha assistito agli ultimi istanti di vita di Silvio Zamboni: < Forse — ha detto — avrei potuto salvarlo, se avessi avuto il coraggio di sparare prima di lui. Avevo la pistola in mano, cercavo di valutare la possibilità di colpirlo a un braccio e disarmarlo. In quel momento mi ha chiesto ancora un minuto, un minuto di vita.' Poi, si è portato la pistpla n}la tempio, "J>a premuto il grilletto ». Giorgio Martinat slwcsafintDSgtai!IIMIlllIiililUtMMIIIIritllflU[]IIIIMCtMlirilllllM Il brigadiere Graziano Orrù: prima che il sottufficiale potesse intervenire l'omicida Silvio Zamboni si'è ucciso ■iiiiiiiiiiiitiitiuiiiitiiiiiiiittiiiiiiiiiiiiiriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiriiiiiiiiii

Luoghi citati: Carso, Italia, Milano