L'attualità: una idolatria

L'attualità: una idolatria L'attualità: una idolatria La letteratura non supera la crisi dedicandosi alla tecnica o alla scienza - Il fine dell'arte è sempre lo stesso: esprimere l'uomo E' tornata di moda una espressione che già ai tempi delle cortesi polemiche fra Sainte-Beuve e i Goncourt aveva avuto il suo bel quarto d'ora di celebrità: l'arte deve consolare o piuttosto deve fondersi soltanto con le immagini crude e disperate della realtà? Oggi sentiamo reclamare la fine del regno dell'arte come consolazione, ma ho l'impressione che sia una protesta fuori di luogo: quell'arte — ce lo diceva Sainte-Beuve — era già morta un secolo fa, avendo preso il suo posto l'arte come protesta, come illustrazione del male, come esercizio del raro e dell'eccezionale. Non c'inganniamo : quando oggi si mira all'arte e alla letteratura che consolano, si sottintende anche che si vuole la morte della letteratura spirituale, di quella superstite letteratura che ancora scorge qualcosa dietro l'immagine dell'uomo, che fa della interrogazione totale il suo scopo. Così non dobbiamo illuderci sul numero delle proposte che ci vengono fatte; per la maggior parte tutte partono da un'unica base: la società, la costruzione dell'uomo nuovo. Anche noi siamo disposti a riconoscere questo compito della letteratura, ma non siamo disposti ad accettare dei mezzi, degli strumenti a senso unico e che pertanto bloccano una libera soluzione degli stimoli e delle ambizioni comuni. Davvero, la letteratura per essere vera, per essere nuova, deve scegliere la sua materia nella attualità, fra le immagini a portata di mano, fra gli aspetti delle cose ? Se noi mettessimo sull'altare "ostia del moderno a tutti 5, cesti, fini rempo.^per . sosci^ure ,qna idolatria a un'altra idola trià: continueremmo, cioè, a fare questione di strumenti, mentre invece è tempo di sostanza, di fondo, di materia convertita dalla interpretazione e dall'esame. A meno che non si intenda schierare l'artista e lo scrittore nel numero degli sce nari, degli oggetti conchiusi e perfetti: farne cioè un oggetto. E ancora: si crede di di re qualcosa di nuovo? La battaglia fra naturalisti e simbolisti era partita dalle stesse ragioni: anche allora si combatteva per due scopi ben diversi. I naturalisti inseguivano delle ombre fatte di carne, i simbolisti mettevano nelle ombre qualcosa che andava interpretato e prima ancora scandaglia to. E poi, in parole povere, la cosa si risolveva cosi: lo scrittore è chiamato a dare uria spiegazione della vita o ha soltanto l'umile compito di registrare la posiziono delle cose che fanno la nostra vita? Tale questione, riferita al dato della consolazione, darebbe dei risultati curiosi: non c'è dubbio che Zola for niva a suo modo delle risposte e alla fine scioglieva sul suo mondo un velo di con solazione che portava il nome di lotta sociale, di progresso, insomma del suo « vangelo >. Mallarmé si perdeva nella interrogazione, sull'orlo del nulla. Ai mali così minuziosamente descritti e analizzati dai naturali sti c'era in fin dei conti il rimèdio: bastava un po' più d'amore e di giustizia sociale. Il male di Mallarmé era insanabile, il male era nella nascita dell'uomo e quell'uo mo non aveva nome, stato civile, condizione sociale era soltanto l'ultimo termi ne delle immagini, delle cen to immagini che Zola aveva schedato riempiendo i suoi cassetti di funzionario dello stato civile della Francia del Secondo Impero. Eppure si trattava dello stesso uomo. Perché Zola lo aveva guardato in un modo e i simbolisti lo vedevano in un altro? La diversità della posizione era determinata dalla diversità delle interi zioni. Zola — a ben guarda re — aveva fatto un grosso taglio nell'albero della realtà, escludendone tutta una parte di vegetazione che era poi quella delle amhizioni e delle aspirazioni: Mallarmé prendeva tutto l'albero, co minciava col chiedersi il per che della sua presenza, il sstNlrzsgprtpi suo probabile significato, insomma stabiliva un rapporto più Vasto e complesso. Non separava la lettera dallo spirito. Troppa parte della letteratura sta in quella separazione: il bersaglio della consolazione è un falso bersaglio, lo scopo vero è di imprigionare l'uomo nelle cose che fanno la sua vita interiore e la condizionano. Si tratterebbe quindi di vedere se per aiutarlo a liberarsi, per accrescerlo gli giovi questo regime delle cose sole: antiche o moderne, non importa. Credere che si trovi una via di uscita alla sua crisi in letteratura, persuadendolo meglio dell'importanza della tecnica, della scienza è in fondo fornirgli un altro pretesto di illusione, è un arricchirlo dall'esterno. Infatti non si tratta di esprimere soltanto l'uomo moderno o quello che fa l'uomo moderno, prima di tutto si tratta' di esprimere l'uomo. Ammesso questo, è chiaro che la letteratura non deve né consolare né deprimere ma soltanto aiutare l'uomo a inseguire la sua verità. Carlo Bo

Persone citate: Carlo Bo, Goncourt

Luoghi citati: Francia