"CLEO DALLE 5 ALLE 7,,

"CLEO DALLE 5 ALLE 7,, = SULLO SCHERMO = "CLEO DALLE 5 ALLE 7,, Altre «prime»: «Una faccia piena di pugni » e « La città prigioniera » (Romano) — Cleo dalle cinque alle sette, glorinola dell'ultimo festival della Croisette, è il film di una donna, dedicato a un'altra- donna, sul tema della morte. Alle cinque d'un pomeriggio Cleo, canzonettista- di night, club a Parigi, sospetta di essere malata di cancro; alle sette, un responso medico la toglierà d'incertezza. In quelle due ore essa è dunque virtualmente morta: sotto l'occhio dell'autrice Agnès Varda, che ne registra tutti gli atti. (Il lettore non arricci il naso all'argomento funesto, sul quale il film trascorre leggero e iridato come una farfalla). Considerata antesignana della nouvelle vaglie per il film La pointe courte del 19SS, la Varda ha applicato il primo canone della nuova scuola che è di guardare le cose dall'esterno (facoltà congeniale, del resto, al cinema in generale), dandoci, in cambio di un affannoso melo, una. specie di « documentario soggettivo », lo scorcio d'una giornata parigina filtrato dal sentimento della fine. Ma il rifiuto a entrare nel cuore delle cose presuppone, perché sia artisticamente valido, una. scelta rigorosa di particolari, una punta di osserva zione infallibile. Lo spettatore italiano non ha ancora visto, né sappiamo se vedrà, Vivre sa vie di Godard; ma può ripensare alla prima parte di Jules e Jim di Truffaut. Davanti a quei supremi conseguimenti di cinema in sicco non ci pare si possa dire che la Varda abbia tenuto la posizione con la stessa saldezza: nonostante certe lodi sperticate, eccedenti i suoi innegabili meriti, restiamo del parere che Cleo dalle cinque alle sette non vada oltre la mignardise e sia un film, hclas!, femminile tre volte. Cleo, da buona parigina, si reca da una cartomante, poi effonde lagrime sul petto della camerista, quindi torna al suo meraviglioso nido a ricevervi l'amante e i compagni di lavoro con cui prova una nuova canzone. Ma quel giorno il tem po le frutta straordinariamente; ed eccola di nuovo per le strade di Parigi, in quella Montparnasse dove la sua civetteria soleva cogliere piaceri e trionfi. E non è che le cose siano mutate; ma è mutata lei che le vede precarie e perciò tanto più apprezzabili. La forza locomotoria di Cleo è inversamente proporzionale alla sua capacità di raccoglimento: ancora la vediamo accompagnare un'amica a uno studio fotografico per pose di nudo, e poi errare in un parco finalmente sola con se stessa. Il che non vuol dir nulla: l'autrice ha felicemente intuito che i pensieri di una moritura sono brevi sparsi volatili, e che non fanno mai nodo. Ma si è poi contraddetta introducendo un episodio culminante — l'incontro con un reduce dall'Algeria — che dà alla graziosa elegia un violento precipitato moralistico-sentimentale. Quell' Antoine, che non è un Apollo ma parla coinè sanno gl'intellettuali dei film francesi, edifica Cleo per modo che alle 7 ella ha i crismi rettorie! per ascoltare impavida il responso dei medici, togliendo a noi la curiosità (pun¬ tualmente frustrata dalla regista) di sapere quale sia. Con tale fragilità pericolante e quel finale cedimento, un film, ad ogni modo, d'inconsueta finezza e. di splendide immagini; il quale ha trovato nella liscia e impenetrabile bellezza di Corinne Marchand, canzonettista essa stessa, la sua guida ideale. * * (Astor) - Una faccia piena di pugni, del giovane regista Ralph Nelson, è un buon film americano di pugilato, che arricchisce la galleria dei pugili suonati del vivido ritratto di questo Luis Rivera (ottimamente interpretato da Anthony Quinn), un ex peso massimo ridotto a rottame, dall'animo tuttavia innocente come quello d'un bambino. Egli si è fatto un idolo del suo manager, mi fior d'egoista che ha scommesso contro di lui d'accordo con una banda di gangster, e poiché il suo intemerato pupillo ha resistito oltre al previsto, deve renderne conto ai malfattori. Dopo aver inutilmente tentato d'inserirsi nella società borghese accettando l'aiuto di una donna gentile, il pugile si adatta, per sali-are il manager, a prender parte a uno spettacolo come buffone, i.,cntre il suo fedele «secondo* (Mickcy Rooney) vive accanto a lui quel dramma, della degradazione umana. Se non ci fossero troppi precedenti, il valore del film, spiccherebbe meglio; ma pur così, nei termini d'un crepuscolarismo obbligato, è un'opera, che si salva dalla maniera, rinfrescando un tema abusato con un'autentica partecipazione da parte del regista e dei sobri interpreti (oltre ai nominati: Jack Gleason e Julie. Harris). 1. p. * * (Corso) — Tra le case diroccate dì un'Atene ingegnosamente rifatta a Cinecittà dallo scenografo Chiari, La città prigioniera s'ispira ad un romanzo di John Appleby per narrare un episodio della guerra civile che, sul finire del 191,1), divampò nella capitale- greca sino a coinvolgervi gli stessi liberatori inglesi. Una sparuta pattuglia di costoro, rinforzata da pochi civili, é assediata dagli insorti in un albergo che deve essere difeso ad ogni costo a causa dei depositi d'armi nascosti nelle cantine. Costellata da fragorose sparatorie, la storia c tutta in questo assedio: la ingentiliscono Daniela Rocca e Lea Massari; la. ravviva la suspense in base alla quale solo alla fine si saprà chi è la spia che si cela tra. i difensori; l'appesantiscono le forzature ed esagerazioni, talora anche gros solane, disseminate qua e là. La lotta fra le diverse fazioni, ancorché non sia. chiara né convincente la spiegazione che l'accompagna, offre buoni appigli alla regia dignitosa, ma senza estro, dell'americano Joseph Antony e alla corretta in terpretazione di un gruppo di attori di varie nazionalità nel quale spicca David Niven ac canto a Ben Gazzara, Michael Craig, Artur Balsam, Odoardo Spadaro e molti altri. vice

Luoghi citati: Algeria, Atene, Parigi