Andremo in Isvizzera o in Ispagna?

Andremo in Isvizzera o in Ispagna? DIFESA DELLA LINGUA Andremo in Isvizzera o in Ispagna? Questa sarebbe la forma corretta, tradizionale, con la « i » ad evitare lo scontro di consonanti - Il Carducci l'usava anche scrivendo alla moglie : <t La gatta non istà del suo meglio » - Ma ormai la trascurano anche i buoni scrittori Un lettore di provincia scrive accorato sulla « prostesi dell'I » che gli pare così negletta dall'uso italiano moderno da potersi dire dimenticata. Negletta sì, dimenticata no. Sappiamo di certi amici che volendo raccogliere in volume appunti e disegni d'un viaggio nella penisola iberica, dopo lungo ondeggiamento hanno divisato d'intitolarlo « Vacanze in Ispagna », disposti, se sarà necessario, a guastarsi con l'editore e coi tipografi. E ancora si legge, sebbene sempre più di rado, « in iscuola », <per istrada»; mentre non è escluso che nel parlato più famigliare, specie se martellato dalla passione, l'I prostetica non ricompaia talvolta tra i denti per effetto di bile: «Non istare a dir di no: c'è un uomo sotto il letto». Perché si tratta di quella figura grammaticale (prostesi: aggiunta) in forza di che, quando la parola finisce in consonante e quella che le viene appresso comincia da S detta impura, si accresce la seconda parola in principio d'un I per addolcire la pronunzia. I classici, che scrivevano per così dire ad alta voce, furono osservantissimi di questa regola, in poesia e in prosa; da padre Dante («Non isperate mai veder lo cielo»), al Boccaccio (di scoglio in /scoglio andando»), al Petrarca e giù giù fino al Leopardi e al Carducci, il quale scriveva alla moglie: «La gatta non istà del suo meglio ». E tanto poteva in loro l'eufonia che spesso mettevano quell'I anche non richiedendolo la voce precedente terminata in vocale («O isplendor di viva luce eterna», Dante); e non solamente i poeti per bisogno di sillaba, ma anche i prosatori più antichi («infedeli e isleali », Passavano), giusta un fenomeno — ci avverte uno studioso — che fu comune al latino voi gare o preromanzo. Ma il maggior esempio di pignoleria ce l'offre il Davan zati in «iscurare», dove il ver- tqsctlqho Oscurare prima è soggetto all'aferesi, cioè alla soppres-lsione della prima sillaba (oscurare), poi alla prostesi dell'i: acrobazie dalle quali siamo oggi lontanissimi. Abba- gliati dall'uniformità ortografica, le sacrifichiamo le ragioni della pronunzia. Chi di noi, con tutto il nostro amore per la velocità, fa ancora un'aferesi e dice o scrive Spedale (che pure a Ferdinando Martini pareva tanto naturale quanto ricercato invece Ospedale), Strione, Diflcio, Lodola, Resia eccetera? Forse soltanto nel linguaggio furbesco dei giovani se ne trova una: trigo (In-trigo). E così della prostesi dell'I, lasciamo stare i titoli di giornale («Il fiume di Bacchelli, rifatto in studio » Stampa Sera), ma non si danno più pensiero nemmeno letterati di prima lancia: «Anche i lettori non specializzati in storia dell'arte ecc.» (E. Cecchi); e soltanto la coltiva ancora qualche antiquario della lingua, quasi per ischerzo. Babbi che mantengono le figliuole in Isvizzera o in Iseozia hanno altri problemi che la i prostetica, cui del resto gli stessi antichi si sottrassero con un discreto numero di eccezioni (specie dopo la negativa Non), le quali sono diventate la nostra regola. Ma più ci scusa che la storia non si ferma: essendo piaciuto alla lingua moderna abbandonare quella tendenza e sfidare i cattivi suoni, non resta che prenderne nota, benedire entrambe le forme: in Ispagna (tradizionale) e in Spagna (innovatrice), e lasciare all'orecchio di risolvere, caso per caso. Il conformismo ortografico non deve però condurre all'errore. Duole che anche scrittori di professione scrivano € quelli uomini», «quelli stessi », dimenticando la regoletta per cui l'aggettivo dimostrativo Quello al plurale fa quei davanti a consonante, e quegli davanti a vocale, a s impura, a gn pn ps se x z; e che avendola dimenticata (come è urna no), l'orecchio non li aiuti a ritrovarla. D'altra parte è superstizione che la lettera N debba sempre mutarsi in M davanti alle labiali pei (onde labbiamo letto: bempensanti) dove è chiaro che nelle parole visibilmente composte di due (Panpesto), la n con cui finisce la prima resta n, e tale dovrebbe rimanere anche nei nomi propri Panbianco, Sanbenedettese e simili. Sono gli inconvenienti dello scrivere moderno, non tanto frettoloso come si dice, quanto sequestrato e muto, privato d'ogni riscontro e avvertimento orale. Leo Pestelli

Persone citate: Abba, Bacchelli, Carducci, Cecchi, Ferdinando Martini, Leo Pestelli, Lodola, Petrarca, Spedale

Luoghi citati: Ispagna, Isvizzera, Spagna